lunedì 22 agosto 2016
RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE
Per costante giurisprudenza di legittimità, l'equa riparazione per
ingiusta detenzione è esclusa, secondo l'espresso disposto dell'art. 314 cod.
proc. pen., qualora l'istante «vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o
colpa grave», con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia
anteriormente che successivamente all'insorgere dello stato detentivo e quindi
alla privazione della libertà (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D'Ambrosio, Rv.
247664; Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv.
203636; tra le Sezioni semplici, cfr. Sez. 4, n. 1264 del 22/02/2000, Boldini e
altro, Rv. 216671; Sez. 4, n. 849 del 13/03/1996, Spiniello, Rv. 204462).
1.1.3. Quanto alla valenza definitoria delle espressioni "dolo" e "colpa
grave", è stato già autorevolmente chiarito (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep.
1996, Sarnataro e altri, Rv. 203637) che «dolosa deve giudicarsi non solo la
condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi
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termini fattuali (indipendentemente dal fatto di con fliggere o meno con una
prescrizione di legge), difficile da ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche
la condotta consapevole e volontaria che, valutata con il parametro dei/1d quod
plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, sia
tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento
dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in
pericolo», sicché l'essenza del dolo sta, appunto, «nella volontarietà e
consapevolezza della condotta con riferimento all'evento voluto, non nella
valutazione dei relativi esiti, circa i quali non rileva il giudizio del singolo, ma
quello del giudice del procedimento ripara tono».
Il concetto e la conseguente area applicativa della colpa, invece, vanno
ricavati dall'art. 43 cod. pen., secondo cui, come noto, «è colposo il
comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza
rappresentarsene gli effetti (anche se adottando l'ordinaria diligenza essi si
sarebbero potuti prevedere) consegue un effetto idoneo a trarre in errore
l'organo giudiziario»: in tal caso, la condotta del soggetto, connotata da profili
di colpa volta per volta rinvenibili (negligenza, imprudenza, trascuratezza,
inosservanza di leggi, regolamenti, etc.), «pone in essere una situazione tale da
dare una non voluta ma prevedibile [...] ragione di intervento dell'autorità
giudiziaria con l'adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca
della privazione della libertà» (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996,
Sarnataro e altri, Rv. 203637; conformi le successive Sezioni semplici, tra le
quali, a mero titolo di esempio, Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Tucci, Rv.
242034). Ed in tal ultimo caso, la colpa deve appunto esser "grave", come
esige la norma, «connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza,
imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon
senso» (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv.
203637).
1.1.4. Posto, poi, che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere
l'indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti
specifici che abbiano "dato causa" o abbiano "concorso a darvi causa"
all'instaurazione dello stato privativo della libertà - sicché è ineludibile
l'accertamento del rapporto causale, eziologico, tra tali condotte ed il
provvedimento restrittivo della libertà personale - si deve rilevare che per
escludere il diritto in questione è necessario che il giudice della riparazione
pervenga al suo convincimento in base a dati di fatto certi: tale valutazione,
quindi, non può essere operata sulla scorta di dati congetturali, non
definitivamente comprovati non solo nella loro ontologica esistenza, ma anche
nel rapporto eziologico tra la condotta tenuta e la sua idoneità a porsi come
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elemento determinativo dello stato di privazione della libertà, in riferimento alla
fattispecie di reato per la quale il provvedimento restrittivo fu emesso.
Obbedisce, del resto, a principi di ordine generale, anche nel campo
civilistico (della cui connotazione partecipa il procedimento in questione),
l'affermazione secondo cui, una volta riconosciute sussistenti le condizioni per il
riconoscimento del diritto, questo può essere paralizzato soltanto dalla
comprovata sussistenza delle condizioni dalla legge assunte come impeditive
del riconoscimento in concreto dello stesso.
Si è, inoltre, precisato anche che la valutazione del giudice della
riparazione si svolge su un piano diverso, ed autonomo, rispetto a quello del
giudice del processo penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso
materiale: tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di un'ipotesi
di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all'imputato; il primo, invece,
deve valutare non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma «se
esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui
errore) alla produzione dell'evento "detenzione" [...] Il rapporto tra giudizio
penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo
rispetto al presupposto dell'altro [...] spettando al giudice della riparazione una
serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con
l'ausilio dei criteri propri all'azione esercitata dalla parte» (Sez. U, n. 43 del
13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv. 203638; cfr., tra le Sezioni
semplici, Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv.
247867; Sez. 4, n. 1904 del 11/06/1999, Murina e altro, Rv. 214252; Sez. 4,
n. 2083 del 24/06/1998, Nemala, Rv. 212114).
Considerato che il giudice della riparazione deve seguire un iter logicomotivazionale
autonomo rispetto a quello del processo penale (nei limiti
suindicati), costituiscono compito del giudice del merito la ricerca, la selezione
e la valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare o ad escludere la
sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere,
sotto il profilo, appunto, del dolo o della colpa grave. Ed il giudice del merito ha
l'obbligo di dare, al riguardo, adeguata ed esaustiva motivazione, strutturata
secondo le corrette regole della logica, giacché il mancato assolvimento di tale
obbligo in termini di adeguatezza, di congruità e di logicità è censurabile in
cassazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
1.1.5. Passando ad esaminare le modalità di concreta estrinsecazione del
diritto di difesa, non vi è dubbio che la facoltà da parte dell'indagato di non
rispondere in sede di interrogatorio costituisce concreto esercizio di un proprio
diritto, riconosciuto dalla Costituzione prima ancora che dalla legge ordinaria,
funzionale alla propria difesa (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 29967 del ..,}
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02/04/2014, Bertuccini, Rv. 259941; Sez. 3, n. 44090 del 09/11/2011, Messina
e altro, Rv. 251325; Sez. 4, n. 40902 del 23/09/2008, Locci e altro, Rv.
242756): essa è, perciò, circostanza di norma del tutto neutra al fine della sua
riconducibilità all'area del dolo o della colpa grave rilevanti in subiecta materia.
Stesso discorso vale, di regola, anche per la reticenza (cfr., ex multis, Sez.
4, n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv. 251928; Sez. 4, n. 4159 del
09/12/2008, dep. 2009, Lafranceschina, Rv. 242760; Sez. 4, n. 47041 del
12/11/2008, Calzetta e altro, Rv. 242757) e persino per la menzogna (cfr., tra
le altre, Sez. 4, n. 46423 del 23/10/2015, Sperti, Rv. 265287; Sez, 4, n. 47756
del 16/10/2014, Randazzo, Rv. 261068; Sez. 4, n. 40291 del 10/06/2008,
Maggi e altro, Rv. 242755), che costituiscono pur esse modalità e contenuti
dell'esercizio del diritto di difesa.
Nondimeno il concreto esercizio del diritto di difendersi tacendo, non
collaborando e persino mentendo può eventualmente rilevare sotto il profilo del
dolo o della colpa grave ai fini che in questa sede interessano, nel caso in cui
l'indagato sia in grado di rappresentare specifiche circostanze, non note
all'organo inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di
escludere e caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede
investigativa che determinarono l'emissione del provvedimento cautelare, ed
invece le taccia: in tal caso, infatti, pur nel rispetto del diritto di difesa e delle
opzioni attuative dello stesso, esiste un onere di rappresentazione ed
allegazione da parte dell'indagato, al fine di porre l'organo inquirente nelle
condizioni di valutare quelle prospettazioni ed allegazioni, di comporle
nell'unitario quadro investigativo ed indiziario, di rilevare, eventualmente,
l'errore in cui si è incorsi nella instaurazione dello stato detentivo (v., tra le
numerose pronunzie, Sez. 4, n. 46423 del 23/10/2015, Sperti, Rv. 265287;
Sez. 4, n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv. 251928; Sez. 4, n. 40291 del
10/06/2008, Maggi e altro, Rv. 242755). Poiché a quel momento solo l'indagato
è in grado di rappresentare utili e giustificativi elementi di valutazione, la
circostanza che invece li taccia o che reticentemente ovvero falsamente altri ne
prospetti contribuisce, concausalmente, al mantenimento del suo stato
detentivo.
Si è, quindi, precisato che è necessario che il giudice della riparazione
accerti, innanzitutto, quali siano gli elementi taciuti o falsamente
rappresentati, non potendo questi ritenersi assiomaticamente (con
inammissibile presunzione) o in via congetturale, e che valuti, poi, il sinergico
nesso di relazione causale tra tale circostanza e l'addebito formulato, dando
motivata contezza di come essa abbia influito, concausalmente, nel
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mantenimento dello stato detentivo (v., ex plurímis, Sez. 4, n. 16370 del
18/03/2003, Giugliano, Rv. 224774).
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