giovedì 11 agosto 2016

laicità

alcuni principi costituzionali in materia religiosa
L’ordinamento repubblicano è contraddistinto dal principio di laicità
non come indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, bensì come salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale
compito della Repubblica è «garantire le condizioni che favoriscano l’espansione della libertà di tutti e, in questo ambito, della libertà di religione», la quale «rappresenta un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall’art. 2»
Il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà di religione (art. 19)
è, pertanto, riconosciuto egualmente a tutti e a tutte le confessioni religiose (art. 8, primo e secondo comma), a prescindere dalla stipulazione di una intesa con lo Stato.
altro è la libertà religiosa, garantita a tutti senza distinzioni, altro è il regime pattizio (artt. 7 e 8, terzo comma, Cost.), che si basa sulla «concorde volontà» del Governo e delle confessioni religiose di regolare specifici aspetti del rapporto di queste ultime con l’ordinamento giuridico statale
il concordato o l’intesa non possono costituire condicio sine qua non per l’esercizio della libertà religiosa; gli accordi bilaterali sono piuttosto finalizzati al soddisfacimento di «esigenze specifiche di ciascuna delle confessioni religiose
concedere loro particolari vantaggi o eventualmente a imporre loro particolari limitazioni
dare rilevanza, nell’ordinamento, a specifici atti propri della confessione religiosa»
in materia di libertà religiosa «il legislatore non può operare discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese
la tutela giuridica deve abbracciare allo stesso modo l’esperienza religiosa di tutti, nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai diversi contenuti di fede; né in senso contrario varrebbero considerazioni in merito alla diffusione delle diverse confessioni, giacché la condizione di minoranza di alcune confessioni non può giustificare un minor livello di protezione della loro libertà religiosa rispetto a quella delle confessioni più diffuse
L’apertura di luoghi di culto, in quanto forma e condizione essenziale per il pubblico esercizio dello stesso, ricade nella tutela garantita dall’art. 19 Cost., il quale riconosce a tutti il diritto di professare la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato o in pubblico il culto, con il solo limite dei riti contrari al buon costume.
L’esercizio della libertà di aprire luoghi di culto, pertanto, non può essere condizionato a una previa regolazione pattizia, ai sensi degli artt. 7 e 8, terzo comma, Cost.: regolazione che può ritenersi necessaria solo se e in quanto a determinati atti di culto vogliano riconnettersi particolari effetti civili
in materia di edilizia di culto, «tutte le confessioni religiose sono idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loro appartenenti» e la previa stipulazione di un’intesa non può costituire «l’elemento di discriminazione nell’applicazione di una disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l’esercizio di un diritto di libertà dei cittadini», pena la violazione del principio affermato nel primo comma dell’art. 8 Cost., oltre che nell’art. 19 Cost. (sentenza n. 195 del 1993). vale il divieto di discriminazione, sancito in generale dall’art. 3 Cost. e ribadito, per quanto qui specificamente interessa, dagli artt. 8, primo comma, 19 e 20 Cost.; e ciò anche per assicurare «l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto, di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario»
Ciò non vuol dire che a tutte le confessioni debba assicurarsi un’eguale porzione dei contributi o degli spazi disponibili: come è naturale allorché si distribuiscano utilità limitate, quali le sovvenzioni pubbliche o la facoltà di consumare suolo, si dovranno valutare tutti i pertinenti interessi pubblici e si dovrà dare adeguato rilievo all’entità della presenza sul territorio dell’una o dell’altra confessione, alla rispettiva consistenza e incidenza sociale e alle esigenze di culto riscontrate nella popolazione.
La legislazione regionale in materia di edilizia del culto «trova la sua ragione e giustificazione – propria della materia urbanistica – nell’esigenza di assicurare uno sviluppo equilibrato ed armonico dei centri abitativi e nella realizzazione dei servizi di interesse pubblico nella loro più ampia accezione, che comprende perciò anche i servizi religiosi»
In questi limiti soltanto la regolazione dell’edilizia di culto resta nell’ambito delle competenze regionali. Non è consentito al legislatore regionale, all’interno di una legge sul governo del territorio, introdurre disposizioni che ostacolino o compromettano la libertà di religione, ad esempio prevedendo condizioni differenziate per l’accesso al riparto dei luoghi di culto. Poiché la disponibilità di luoghi dedicati è condizione essenziale per l’effettivo esercizio della libertà di culto, un tale tipo di intervento normativo eccederebbe dalle competenze regionali, perché finirebbe per interferire con l’attuazione della libertà di religione, garantita agli artt. 8, primo comma, e 19 Cost., condizionandone l’effettivo esercizio.
la Regione è titolata, nel governare la composizione dei diversi interessi che insistono sul territorio, a dedicare specifiche disposizioni per la programmazione e realizzazione di luoghi di culto; viceversa, essa esorbita dalle sue competenze, entrando in un ambito nel quale sussistono forti e qualificate esigenze di eguaglianza, se, ai fini dell’applicabilità di tali disposizioni, impone requisiti differenziati, e più stringenti, per le sole confessioni per le quali non sia stata stipulata e approvata con legge un’intesa ai sensi dell’art. 8, terzo comma, Cost.
Nella Costituzione italiana ciascun diritto fondamentale, compresa la libertà di religione, è predicato unitamente al suo limite; sicché non v’è dubbio che le pratiche di culto, se contrarie al «buon costume», ricadano fuori dalla garanzia costituzionale di cui all’art. 19 Cost.;
né si contesta che, qualora gli appartenenti a una confessione si organizzino in modo incompatibile «con l’ordinamento giuridico italiano», essi non possano appellarsi alla protezione di cui all’art. 8, secondo comma, Cost. Tutti i diritti costituzionalmente protetti sono soggetti al bilanciamento necessario ad assicurare una tutela unitaria e non frammentata degli interessi costituzionali in gioco, di modo che nessuno di essi fruisca di una tutela assoluta e illimitata e possa, così, farsi “tiranno” (sentenza n. 85 del 2013).
Tra gli interessi costituzionali da tenere in adeguata considerazione nel modulare la tutela della libertà di culto – nel rigoroso rispetto dei canoni di stretta proporzionalità– sono senz’altro da annoverare quelli relativi alla sicurezza, all’ordine pubblico e alla pacifica convivenza. Tuttavia, il perseguimento di tali interessi è affidato dalla Costituzione, con l’art. 117, secondo comma, lettera h), in via esclusiva allo Stato, mentre le Regioni possono cooperare a tal fine solo mediante misure ricomprese nelle proprie attribuzioni (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2012).


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