L’ordinamento
repubblicano è contraddistinto dal principio di laicità
non
come indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, bensì come
salvaguardia della libertà di religione in regime di
pluralismo confessionale e culturale
compito
della Repubblica è «garantire le condizioni che favoriscano
l’espansione della libertà di tutti e, in questo ambito, della
libertà di religione», la quale «rappresenta un aspetto della
dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile
dall’art. 2»
è,
pertanto, riconosciuto egualmente a tutti e a tutte le confessioni
religiose (art. 8, primo e secondo comma), a prescindere dalla
stipulazione di una intesa con lo Stato.
altro
è la libertà religiosa, garantita a tutti senza distinzioni,
altro è il regime pattizio (artt. 7 e 8, terzo comma, Cost.),
che si basa sulla «concorde volontà» del Governo e delle
confessioni religiose di regolare specifici aspetti del rapporto di
queste ultime con l’ordinamento giuridico statale
il
concordato o l’intesa non possono costituire condicio sine qua non
per l’esercizio della libertà religiosa; gli accordi bilaterali
sono piuttosto finalizzati al soddisfacimento di «esigenze
specifiche di ciascuna delle confessioni religiose
concedere
loro particolari vantaggi o eventualmente a imporre loro particolari
limitazioni
dare
rilevanza, nell’ordinamento, a specifici atti propri della
confessione religiosa»
in
materia di libertà religiosa «il legislatore non può operare
discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola
circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti
con lo Stato tramite accordi o intese
la
tutela giuridica deve abbracciare allo stesso modo l’esperienza
religiosa di tutti, nella sua dimensione individuale e
comunitaria, indipendentemente dai diversi contenuti di fede; né
in senso contrario varrebbero considerazioni in merito alla
diffusione delle diverse confessioni, giacché la condizione di
minoranza di alcune confessioni non può giustificare un minor
livello di protezione della loro libertà religiosa rispetto a quella
delle confessioni più diffuse
L’apertura
di luoghi di culto, in quanto forma e condizione essenziale per
il pubblico esercizio dello stesso, ricade nella tutela garantita
dall’art. 19 Cost., il quale riconosce a tutti il diritto di
professare la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale
o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato o in
pubblico il culto, con il solo limite dei riti contrari al buon
costume.
L’esercizio
della libertà di aprire luoghi di culto, pertanto, non può essere
condizionato a una previa regolazione pattizia, ai sensi degli
artt. 7 e 8, terzo comma, Cost.: regolazione che può ritenersi
necessaria solo se e in quanto a determinati atti di culto
vogliano riconnettersi particolari effetti civili
in
materia di edilizia di culto, «tutte le confessioni religiose sono
idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loro appartenenti»
e la previa stipulazione di un’intesa non può costituire
«l’elemento di discriminazione nell’applicazione di una
disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l’esercizio
di un diritto di libertà dei cittadini», pena la violazione del
principio affermato nel primo comma dell’art. 8 Cost., oltre che
nell’art. 19 Cost. (sentenza n. 195 del 1993). vale il divieto di
discriminazione, sancito in generale dall’art. 3 Cost. e ribadito,
per quanto qui specificamente interessa, dagli artt. 8, primo comma,
19 e 20 Cost.; e ciò anche per assicurare «l’eguaglianza dei
singoli nel godimento effettivo della libertà di culto, di cui
l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare
rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario»
Ciò
non vuol dire che a tutte le confessioni debba assicurarsi un’eguale
porzione dei contributi o degli spazi disponibili: come è naturale
allorché si distribuiscano utilità limitate, quali le sovvenzioni
pubbliche o la facoltà di consumare suolo, si dovranno valutare
tutti i pertinenti interessi pubblici e si dovrà dare adeguato
rilievo all’entità della presenza sul territorio dell’una o
dell’altra confessione, alla rispettiva consistenza e incidenza
sociale e alle esigenze di culto riscontrate nella popolazione.
La
legislazione regionale in materia di edilizia del culto «trova la
sua ragione e giustificazione – propria della materia urbanistica –
nell’esigenza di assicurare uno sviluppo equilibrato ed armonico
dei centri abitativi e nella realizzazione dei servizi di interesse
pubblico nella loro più ampia accezione, che comprende perciò anche
i servizi religiosi»
In
questi limiti soltanto la regolazione dell’edilizia di culto
resta nell’ambito delle competenze regionali. Non è
consentito al legislatore regionale, all’interno di una legge
sul governo del territorio, introdurre disposizioni che ostacolino o
compromettano la libertà di religione, ad esempio prevedendo
condizioni differenziate per l’accesso al riparto dei luoghi di
culto. Poiché la disponibilità di luoghi dedicati è condizione
essenziale per l’effettivo esercizio della libertà di culto, un
tale tipo di intervento normativo eccederebbe dalle competenze
regionali, perché finirebbe per interferire con l’attuazione della
libertà di religione, garantita agli artt. 8, primo comma, e 19
Cost., condizionandone l’effettivo esercizio.
la
Regione è titolata, nel governare la composizione dei diversi
interessi che insistono sul territorio, a dedicare specifiche
disposizioni per la programmazione e realizzazione di luoghi di
culto; viceversa, essa esorbita dalle sue competenze, entrando in un
ambito nel quale sussistono forti e qualificate esigenze di
eguaglianza, se, ai fini dell’applicabilità di tali disposizioni,
impone requisiti differenziati, e più stringenti, per le sole
confessioni per le quali non sia stata stipulata e approvata con
legge un’intesa ai sensi dell’art. 8, terzo comma, Cost.
Nella
Costituzione italiana ciascun diritto fondamentale, compresa la
libertà di religione, è predicato unitamente al suo limite; sicché
non v’è dubbio che le pratiche di culto, se contrarie al «buon
costume», ricadano fuori dalla garanzia costituzionale di cui
all’art. 19 Cost.;
né
si contesta che, qualora gli appartenenti a una confessione si
organizzino in modo incompatibile «con l’ordinamento giuridico
italiano», essi non possano appellarsi alla protezione di cui
all’art. 8, secondo comma, Cost. Tutti i diritti
costituzionalmente protetti sono soggetti al bilanciamento necessario
ad assicurare una tutela unitaria e non frammentata degli interessi
costituzionali in gioco, di modo che nessuno di essi fruisca di una
tutela assoluta e illimitata e possa, così, farsi “tiranno”
(sentenza n. 85 del 2013).
Tra
gli interessi costituzionali da tenere in adeguata considerazione nel
modulare la tutela della libertà di culto – nel rigoroso rispetto
dei canoni di stretta proporzionalità– sono senz’altro da
annoverare quelli relativi alla sicurezza, all’ordine pubblico e
alla pacifica convivenza. Tuttavia, il perseguimento di tali
interessi è affidato dalla Costituzione, con l’art. 117, secondo
comma, lettera h), in via esclusiva allo Stato, mentre le Regioni
possono cooperare a tal fine solo mediante misure ricomprese nelle
proprie attribuzioni (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2012).
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