mercoledì 31 agosto 2016

condotta della vittima

l'art. 43 c.p., con il richiamo alla negligenza, imprudenza ed imperizia ed alla violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline, delinea una prima fondamentale connotazione della colpa: si tratta di una condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare
Accanto a tale tratto oggettivo, però, si ha una caratteristica di natura soggettiva: la colpa, infatti, è mancanza di volontà dell'evento
In positivo, poi, il profilo soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella capacità soggettiva dell'agente di osservare la regola cautelare, nella concreta possibilità di pretendere l'osservanza della regola stessa: nella esigibilità del comportamento dovuto

      Nel verificare la sussistenza di una responsabilità colposa occorre tener conto non solo dell'oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche della concreta possibilità per l'agente di conformarsi alla regola. Ciò in relazione alle sue qualità e capacità personali. 
                  Prevedibilità ed evitabilità dell'evento sono all'origine delle regole cautelari ed al contempo costituiscono il fondamento del giudizio di rimproverabilità personale.  
              Sotto il profilo dell'evitabilità dell'evento, l'art. 43 c.p. stabilisce che il delitto è "colposo quando l'evento non è voluto e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia". 
La norma evoca la causalità della colpa. La responsabilità colposa non può estendersi a tutti gli eventi derivati dalla violazione della norma ma deve ritenersi circoscritta ai soli risultati che la norma stessa mira a prevenire. Ciò significa che, ai fini della responsabilità colposa, l'accadimento verificatosi deve rientrare tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, deve costituire la concretizzazione del rischio
Vi è poi altro profilo inerente il momento soggettivo ed il rimprovero personale. Affermare, alla stregua dell'art. 43 c.p., che per aversi colpa l'evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole implica che il nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata — il comportamento alternativo lecito — non avrebbe comunque evitato l'evento
Invero non avrebbe senso richiedere un comportamento comunque inidoneo ad evitare il risultato antigiuridico. Ciò evidenzia la connessione tra le problematiche sulla colpa e quelle sul nesso causale per cui spesso le valutazioni inerenti lo sviluppo causale si riverberano sul giudizio di evitabilità in concreto. 
La causalità della colpa si configura non solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico, ma anche quando una condotta appropriata aveva significative probabilità di scongiurare il danno. 
               Proprio in tema di circolazione stradale, con riferimento alla norma di cautela inerente all'adeguamento della velocità alle condizioni ambientali, è stata ripetutamente affermata la necessità di tener conto degli elementi di spazio e di tempo, e di valutare se l'agente abbia avuto qualche possibilità di evitare il sinistro: la prevedibilità ed evitabilità vanno cioè valutate in concreto. A ben vedere il fattore velocità è un concetto relativo alle situazioni contingenti, quando si tratta di valutare il comportamento dell'imputato in chiave causale e non già di accertare la violazione di una norma contravvenzionale che prescrive limiti di velocità (Cass. Sez. IV n. 37606/2007 RV 237050). 
         Se l'esigenza della prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento si pone in primo luogo e senza incertezze nella colpa generica, poiché in tale ambito la prevedibilità dell'evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma cautelare violata; occorre rilevare che sussiste anche nell'ambito della colpa specifica. Certamente tale spazio valutativo è pressoché nullo nell'ambito delle norme rigide la cui inosservanza da luogo quasi automaticamente alla colpa; ma nell'ambito di norme elastiche che indicano un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, vi è spazio per l'apprezzamento della concreta prevedibilità ed evitabilità dell'evento (Cass. Sez. IV n. 26239/2013 RV 255695). 
Nel caso della vittima — che, sceso dalla propria autovettura, circolava su strada extraurbana senza giubbotto retroriflettente —  va valutata se la condotta fosse prevedibile e se le conseguenze letali dell'infortunio fossero evitabili 
 Sotto questo profilo merita precisare, infatti, che l'art. 141 CDS riguarda esclusivamente gli eventi che ricadono nella sfera di prevedibilità ed il comportamento di un pedone che procede in strada extraurbana, al buio, senza giubbotto retroriflettente e contromano costituisce una condotta che ben potrebbe esulare dalla suddetta sfera di prevedibilità 

lunedì 29 agosto 2016

RICORSO PER CASSAZIONE

Emessa infatti in grado di appello l'ordinanza-filtro dichiarativa dell'inammissibilità del gravame, ai sensi dell'art. 348-ter cod. proc. civ. il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione (o notificazione, se anteriore) dell'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità. 

CHIARO ED ESAURENTE

l'art. 434 c.p.c., comma 1, nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell'art. 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma, in ossequio ad una logica di razionalizzazione delle ragioni dell'impugnazione, impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il quantum appellatimi e di circoscrivere l'ambito dcl giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono; sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni che vengono formulate devono proporre le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo Giudice ed esplicitare in che senso tali ragioni siano idonee a determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte» (così Cass. 2143/2015 cit.).

sabato 27 agosto 2016

COMPETENZA PER FERMO AMMINISTRATIVO

Sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15354, pure riportati nella depositata requisitoria. In forza di tale pronuncia, la controversia avente ad oggetto il fermo amministrativo (o l'ipoteca prevista dal d.P.R. 602/73) non può più qualificarsi come opposizione esecutiva (né agli atti esecutivi, né all'esecuzione), dovendo al contrario essere inquadrata in un'ordinaria azione di accertamento negativo della legittimità del disposto fermo per la contestata fondatezza del credito cautelato: azione che va allora regolata dalla competenza per valore o per materia in dipendenza della causa petendi e, più in particolare, di quel giudice che sarebbe competente per materia e per valore sul merito della pretesa creditoria (in tali espressi ultimi termini, Cass. 27 novembre 2015, n. 24234).

FERMO AMMINISTRATIVO VEICOLO

il fermo amministrativo di beni mobili registrati ha natura non già di atto di espropriazione forzata, ma di procedura a questa alternativa, trattandosi di misura puramente afflittiva volta ad indurre il debitore all'adempimento. Pertanto l'impugnazione del fermo amministrativo costituisce una ordinaria azione di accertamento negativo della pretesa creditoria, e segue le regole generali del rito ordinario di cognizione in tema di riparto della competenza per materia e per valore
(Sez. U, Ordinanza n. 15354 del 22/07/2015, Rv. 635989).

schede cliniche

/ Agli effetti dell'art. 37, comma 1, lett. b, d. lgs. n. 196/2003, va notificato al Garante il trattamento di dati idonei a rivelare lo stato di salute a fini di prestazione per via telematica di servizi sanitari relativi ad una banca di dati o alla fornitura di beni, effettuata da una struttura sanitaria, pubblica o privata, e consistente, indicativamente, nella raccolta di schede o di cartelle cliniche per ogni paziente, accessibile a diversi soggetti e consultabile in rete telematica oppure on-une Cass. 15908/2016

sindacato di legittimità cassazione

riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto 17 Corte di Cassazione - copia non ufficiale l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.

venerdì 26 agosto 2016

mercoledì 24 agosto 2016

notifica ex art 140 cpc

 al fine di evitare la perenzione del precetto nel giorno in cui si perfeziona la notificazione del precetto e, quindi, nella data di ricezione di tale atto da parte del destinatario, evidenziandosi che la notifica ex art. 140 c. p. c. si perfeziona per il destinatario col ricevimento della raccomandata informativa, che rende conoscibile l'atto, essendo necessario il decorso dei dieci giorni dalla spedizione della raccomandata solo nel caso in cui questa non sia stata ricevuta (Cass., ord. 2710/2015, n. 19772; v. anche Corte Cost. 2010, n. 3). 
Come ben evidenziato nella sentenza della Corte Costituzionale del 4/12/2009, n. 318, il principio generale di scissione dei momenti di perfezionamento della notifica per il notificante e per il destinatario, con conseguente anticipazione di tale perfezionamento a favore del primo al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario (o all'agente postale), è correlato all'esigenza di tutelare il diritto di difesa del notificante, essendo, altresì, palesemente irragionevole che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di un'attività riferibile a soggetti diversi dal medesimo notificante (l'ufficiale giudiziario e l'agente postale) e perciò destinata a restare estranea alla sua sfera di disponibilità. La rado di tale effetto anticipato rimane, invece, estranea ai casi in cui il perfezionamento della notificazione vale a stabilire il dies a quo inerente alla decorrenza di un termine successivo del processo, qual è nella specie quello di cui all'art. 481 c.p.c.. Infatti, non viene in rilievo in tal caso — come in quello specificamente esaminato dalla Corte Costituzionale nella sentenza da ultimo richiamata e relativo al termine di dieci giorni dalla notificazione, stabilito a pena di improcedibilità, per il deposito del ricorso per cassazione — alcuna esigenza di tutelare il diritto di difesa del notificante, il quale ha peraltro interesse a verificare, allorché procede all'inizio dell'esecuzione, che la notifica dell'atto di precetto sia stata raggiunta nei confronti del destinatario.

martedì 23 agosto 2016

NOTIFICAZIONI

tempo delle notificazioni con modalità telematica. 
Ai sensi dell'art. 16-septies del d.l. 179/2012, quanto stabilito dall'art. 147 del codice di procedura civile si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche: la norma richiamata precisa che le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21. Il d.l. aggiunge che, quando eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo

Fonte: Pct: scopo raggiunto, atto sanato 
(www.StudioCataldi.it) 

pregiudizialità tra procedimento penale e quello disciplinare

Ai fini della valutazione della sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra il procedimento penale e il procedimento disciplinare a carico di un avvocato, allorché i due procedimenti abbiano ad oggetto i medesimi fatti, e quindi ai fini della sussistenza dell'obbligo di sospensione del procedimento disciplinare sino alla definizione del procedimento penale per quei fatti, la - 4 - Corte di Cassazione - copia non ufficiale Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 5 luglio 2016. circostanza che la contestazione dei fatti all'imputato sia avvenuta nel procedimento penale con l'esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale (nella specie, quella degli arresti domiciliari) assume carattere decisivo e comporta la necessità della sospensione del procedimento disciplinare. La sospensione così disposta si esaurisce con il passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento penale, senza che la ripresa di quello disciplinare innanzi al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati sia soggetta a termine di decadenza».
cfr CASS. 15206/2016

lunedì 22 agosto 2016

cadute su strade

responsabilità del Comune per danni sia nell'ambito applicativo dell'art. 2051 c.c. che in quello dell'art. 2043 c.c. a seguito di una caduta cagionata da una mattonella sconnessa presente su un marciapiede di quel comune.
 la manutenzione stradale costituisce per l'ente pubblico un dovere istituzionale non correlato a un diritto soggettivo dei privati, i quali possono far valere soltanto un interesse legittimo al corretto esercizio di tale dovere. Pertanto il difetto di manutenzione assume rilievo, nei rapporti con i privati, unicamente allorché la Pubblica Amministrazione non abbia osservato le specifiche norme e le comuni regole di prudenza e diligenza poste a tutela dell'integrità personale dei terzi, in violazione del principio fondamentale del neminem laedere, con conseguente sua sottoposizione al regime generale di responsabilità dettato dall'art. 2043 c.c. o sia stato cagionato da una situazione di pericolo occulto caratterizzata congiuntamente dall'elemento oggettivo della non visibilità e da quello soggettivo dell'imprevdibilità. In questo quadro, si afferma, la nozione di insidia stradale viene a configurarsi come una figura sintomatica di colpa elaborata dalla giurisprudenza al fine di distribuire tra le parti l'onere probatorio e l'utente di una strada pubblica che abbia subito un danno percorrendo tale strada, può invocare la tutela apprestata dall'art. 2043 c.c.

 Solo ove sussista impossibilità di controllo del bene demaniale non vi è custodia e quindi non vi è responsabilità della P.A. ai sensi dell'art. 2051 c.c.
quando l'attore abbia invocato in primo grado la responsabilità del convenuto ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., il divieto di introdurre domande nuove  non gli consente di chiedere successivamente la condanna del medesimo convenuto ai sensi degli artt. 2050 o 2051 cod. civ., a meno che l'attore stesso non abbia sin dall'atto introduttivo del giudizio enunciato, in modo sufficientemente chiaro, situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, in quanto compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata da detti articoli. A tal fine, tuttavia, deve ritenersi insufficiente un generico richiamo alle norme di legge che disciplinano le suddette responsabilità speciali, ove tale richiamo non sia inserito in una argomentazione difensiva chiara e compiuta (Cass., 20 agosto 2009, n. 18520).
La questione della responsabilità del danneggiante a norma dell'art. 2051 c.c.,
in presenza di un pericolo avvistabile con un minimo di attenzione, e facilmente evitabile, doveva escludersi la presenza di insidia o trabocchetto, addebitando l'incidente alla distrazione dell'interessata che camminava su un marciapiede dissestato senza la necessaria accortezza e tenendo conto che la zona era ben illuminata.
(par danno biologico temporaneo e permanente, per danno morale e per spese mediche)
 a carico dei prop già avuto ietari o concessionari delle strade ( e delle autostrade ) è configurabile la responsabilità per cosa in custodia, disciplinata dall'art. 2051 c.c., essendo possibile ravvisare un'effettiva possibilità di controllo sulla situazione della circolazione e delle carreggiate, riconducibile ad un rapporto di custodia ( v. Cass., 19/11/2009, n. 24419; Cass., 29/3/2007, n. 7763. E già Cass., 13/1/2003, n. // 298 ). tt, Si al riguardo posto ulteriormente in rilievo come, pl fine di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, ex art. 14 C.d.S. gli enti proprietari sono tenuti a provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze; c) all'apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta. Altresì precisandosi che (coma 3) che per le strade in concessione i poteri e i compiti dell'ente 4 Corte di Cassazione - copia non ufficiale proprietario della strada previsti dal codice della strada sono esercitati dal concessionario, salvo che sia diversamente stabilito ( v. Cass., 20/212006, n. 3651; Cass., 14/7/2004, n. 13087 ), e che ( comma 4 ) per le strade vicinali di cui all'art. 2, coma 7, i poteri dell'ente proprietario sono esercitati dal Comune. In caso di sinistro avvenuto su strada, dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente relativa manutenzione il proprietario (art. 14 C.d.S.) o il custode ( tale essendo anche il possessore, il detentore e il concessionario ) risponde ex art. 2051 c.c., in ragione del particolare rapporto con la cosa che al medesimo deriva dalla disponibilità e dai poteri di effettivo controllo sulla medesima, salvo che dalla responsabilità presunta a suo carico esso si liberi dando la prova del fortuito. In altri termini, il danneggiato che domanda il risarcimento del pregiudizio sofferto in conseguenza dell'Omessa o insufficiente manutenzione delle strade o di sue pertinenze invocando la responsabilità ex art. 2051 c.c. della P.A. è tenuto a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto ( cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651 ). Tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni, giacché la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato "anomalo", e cioè dell'obiettiva deviazione dal modello 5 Corte di Cassazione - copia non ufficiale di condotta improntato ad adeguata diligenza che normalmente evita il danno ( cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651 ). Facendo eccezione alla regola generale di cui al combinato disposto degli art. 2043 e 2697 cod. civ., l'art. 2051 c.c. integra invero un'ipotesi di responsabilità caratterizzata da un criterio di inversione dell'onere della prova, imponendo al custode, presunto responsabile, di dare la contraria prova liberatoria del fortuito ( c.d. responsabilità aggravata Il custode è s.jaià tenuto a dimostrare che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente dovuto. Deve cioè dimostrare di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative ( nel caso, art. 14 Cd ), e già del principio generale del neminem laedere (v. Cass., 20/2/2006, n. 3651). Siffatta inversione dell'onere probatorio incide indUbbiamente sulla posizione sostanziale delle parti, agevolando la posizione del danneggiato e aggravando quella del danneggiante, sul quale grava anche il rischio del fatto ignoto ( v. Cass., 10/10/2008, n. 25029; Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 20/2/2006, n. 3651. E già Cass., 14/3/1983, n. 1897 ). 6 Corte di Cassazione - copia non ufficiale Il danneggiato è dunque tenuto a provare l'evento dannoso e la sua derivazione dalla cosa; non anche l'insidia o il trabocchetto, né la condotta omissiva o commissiva del custode. L'insidia o trabocchetto, quale "figura sintomatica di colpa" ( v. Cass., 25/6/1997, n. 5670; Cass., 24/1/1995, n. 809 ), è stata ritenuta segnare invero il lipihtte dell'agire discrezionale della P.A., frutto dell'elaborazione giurisprudenziale «mediante ben sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità, col preciso fine di meglio distribuire tra le parti l'onere probatorio>> ( v. Corte Cost., 10/5/1999, n. 156 ). Onere probatorio che nella giurisprudenza, anche di legittimità, si era peraltro finito per addossare al danneggiato. Questa Corte ha al riguardo tuttavia ormai da tempo chiarito che l'insidia o trabocchetto determinante pericolo occulto non è elemento costitutivo dell'illecito aquiliano, in qganto non i previsto dalla regola generale ex art. 2043 c.c. ( v., Cass., 14/3/2006, n. 5445 ) né da quella speciale di cui all'art. 2051 c.c. (v. Cass., 17/5/2001, n. 6767), bensì frutto dell'interpretazione giurisprudenziale ( cfr. Cass., 9/11/2005, n. 21684; Cass., 13/7/2005, n. 14749; Cass., 17/5/2005, n. 6767; Cass., 25/6/2003, n. 10131 ), che al fine di limitare le ipotesi di responsabilità ha finito per indebitamente gravare del relativo onere probatorio il danneggiato, con correlativo ingiustificato privilegio per la P.A. ( v. Cass., 20/2/2006, n. 3051 ), in contrasto con il principio cui risulta ispirato l'ordinamento di generale favor per il danneggiato, titolare della posizione 7 Corte di Cassazione - copia non ufficiale giuridica soggettiva giuridicamente rilevante e tutelata invero lesa o violata dalla condotta dolosa o colposa altrui, che impone al relativo autore di rimuovere o ristorare, laddove non riesca a prevenirlo, il danno inferto (cfr., con riferimento a differenti ipotesi, da ultimo, Cass., 27/10/2015, n. 21782; Cass., 29/9/2015, n. 19213; Cass., 20/10/2014, n. 22222. E già Cass., 20/2/2006, n. 3651). A tale stregua, in quanto estraneo alle suindicate regole sia di "struttura" che funzionali, l'insidia o trabocchetto può ritenersi assumere semmai rilievo nell'ambito della prova da parte della P.A. di avere, con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto, adottate tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto ed arrechi danno ( v. Cass., 14/3/2006, n. 5445. E, conformemente, Cass., 20/2/2009, n. 4234. Cfr. anche Cass., 11/1/2008, n. 390 ). E con specifico riferimento alla responsabilità aggravata ex art. 2051 c.c. è sul piano del fortuito, quale esimente di responsabilità, che l'insidia o trabocchetto può se del caso assumere rilievo per superare, avuto riguardo alle circostanze concrete del fatto, la presunzione di responsabilità ivi prevista, qualora il custode dimostri che l'evento dannoso presenta i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità non superabili con l'adeguata diligenza del caso, ovvero che l'evitabilità del danno solamente con l'impiego di mezzi (non già di entità; meramente 8 Corte di Cassazione - copia non ufficiale considerevole bensì) straordinari (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651). Atteso che il custode presunto responsabile può, in presenza di condotta che valga ad integrare la fattispecie ex art. 1227, 1 ° no., c.c., dedurre e provare il concorso di colpa del danneggiato, senz'altro configurabile anche nei casi di responsabilità presunta ex art. 2051 c.c. del custode (v. Cass., 22/3/2011, n. 6529; Cass., 8/8/2007, n. 17377; Cass., 20/2/2006, n. 3651), ai diversi fini della prova liberatoria da fornirsi per sottrarsi a detta responsabilità è invero necessario distinguere tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della cosa. Solamente in quest'ultima ipotesi può invero configurarsi il caso fortuito, in particolare allorquando l'evento dannoso si sia verificato prima che l'ente proprietario o gestore abbia potuto rimuovere, nonostante l'attività di controllo espletata con la dovuta diligenza al fine di tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi ( v. Cass., 24/2/2011, n. 4495. V. altresì Cass., 12/4/2013, n. 8935; Cass., 12/3/2013, n. 6101; Cass., 18/10/2011, n. 21508; Cass., 6/6/2008, n. 15042; Cass., 20/2/2006, n. 3651 ).

RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE

 Per costante giurisprudenza di legittimità, l'equa riparazione per ingiusta detenzione è esclusa, secondo l'espresso disposto dell'art. 314 cod. proc. pen., qualora l'istante «vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave», con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all'insorgere dello stato detentivo e quindi alla privazione della libertà (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D'Ambrosio, Rv. 247664; Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv. 203636; tra le Sezioni semplici, cfr. Sez. 4, n. 1264 del 22/02/2000, Boldini e altro, Rv. 216671; Sez. 4, n. 849 del 13/03/1996, Spiniello, Rv. 204462). 1.1.3. Quanto alla valenza definitoria delle espressioni "dolo" e "colpa grave", è stato già autorevolmente chiarito (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv. 203637) che «dolosa deve giudicarsi non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi 3 Corte di Cassazione - copia non ufficiale termini fattuali (indipendentemente dal fatto di con fliggere o meno con una prescrizione di legge), difficile da ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche la condotta consapevole e volontaria che, valutata con il parametro dei/1d quod plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo», sicché l'essenza del dolo sta, appunto, «nella volontarietà e consapevolezza della condotta con riferimento all'evento voluto, non nella valutazione dei relativi esiti, circa i quali non rileva il giudizio del singolo, ma quello del giudice del procedimento ripara tono». Il concetto e la conseguente area applicativa della colpa, invece, vanno ricavati dall'art. 43 cod. pen., secondo cui, come noto, «è colposo il comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti (anche se adottando l'ordinaria diligenza essi si sarebbero potuti prevedere) consegue un effetto idoneo a trarre in errore l'organo giudiziario»: in tal caso, la condotta del soggetto, connotata da profili di colpa volta per volta rinvenibili (negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti, etc.), «pone in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile [...] ragione di intervento dell'autorità giudiziaria con l'adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà» (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv. 203637; conformi le successive Sezioni semplici, tra le quali, a mero titolo di esempio, Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Tucci, Rv. 242034). Ed in tal ultimo caso, la colpa deve appunto esser "grave", come esige la norma, «connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon senso» (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv. 203637). 1.1.4. Posto, poi, che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l'indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano "dato causa" o abbiano "concorso a darvi causa" all'instaurazione dello stato privativo della libertà - sicché è ineludibile l'accertamento del rapporto causale, eziologico, tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà personale - si deve rilevare che per escludere il diritto in questione è necessario che il giudice della riparazione pervenga al suo convincimento in base a dati di fatto certi: tale valutazione, quindi, non può essere operata sulla scorta di dati congetturali, non definitivamente comprovati non solo nella loro ontologica esistenza, ma anche nel rapporto eziologico tra la condotta tenuta e la sua idoneità a porsi come 4 Corte di Cassazione - copia non ufficiale elemento determinativo dello stato di privazione della libertà, in riferimento alla fattispecie di reato per la quale il provvedimento restrittivo fu emesso. Obbedisce, del resto, a principi di ordine generale, anche nel campo civilistico (della cui connotazione partecipa il procedimento in questione), l'affermazione secondo cui, una volta riconosciute sussistenti le condizioni per il riconoscimento del diritto, questo può essere paralizzato soltanto dalla comprovata sussistenza delle condizioni dalla legge assunte come impeditive del riconoscimento in concreto dello stesso. Si è, inoltre, precisato anche che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, ed autonomo, rispetto a quello del giudice del processo penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di un'ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all'imputato; il primo, invece, deve valutare non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma «se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) alla produzione dell'evento "detenzione" [...] Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell'altro [...] spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l'ausilio dei criteri propri all'azione esercitata dalla parte» (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv. 203638; cfr., tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867; Sez. 4, n. 1904 del 11/06/1999, Murina e altro, Rv. 214252; Sez. 4, n. 2083 del 24/06/1998, Nemala, Rv. 212114). Considerato che il giudice della riparazione deve seguire un iter logicomotivazionale autonomo rispetto a quello del processo penale (nei limiti suindicati), costituiscono compito del giudice del merito la ricerca, la selezione e la valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare o ad escludere la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, del dolo o della colpa grave. Ed il giudice del merito ha l'obbligo di dare, al riguardo, adeguata ed esaustiva motivazione, strutturata secondo le corrette regole della logica, giacché il mancato assolvimento di tale obbligo in termini di adeguatezza, di congruità e di logicità è censurabile in cassazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. 1.1.5. Passando ad esaminare le modalità di concreta estrinsecazione del diritto di difesa, non vi è dubbio che la facoltà da parte dell'indagato di non rispondere in sede di interrogatorio costituisce concreto esercizio di un proprio diritto, riconosciuto dalla Costituzione prima ancora che dalla legge ordinaria, funzionale alla propria difesa (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 29967 del ..,} (z\ Corte di Cassazione - copia non ufficiale 02/04/2014, Bertuccini, Rv. 259941; Sez. 3, n. 44090 del 09/11/2011, Messina e altro, Rv. 251325; Sez. 4, n. 40902 del 23/09/2008, Locci e altro, Rv. 242756): essa è, perciò, circostanza di norma del tutto neutra al fine della sua riconducibilità all'area del dolo o della colpa grave rilevanti in subiecta materia. Stesso discorso vale, di regola, anche per la reticenza (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv. 251928; Sez. 4, n. 4159 del 09/12/2008, dep. 2009, Lafranceschina, Rv. 242760; Sez. 4, n. 47041 del 12/11/2008, Calzetta e altro, Rv. 242757) e persino per la menzogna (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 46423 del 23/10/2015, Sperti, Rv. 265287; Sez, 4, n. 47756 del 16/10/2014, Randazzo, Rv. 261068; Sez. 4, n. 40291 del 10/06/2008, Maggi e altro, Rv. 242755), che costituiscono pur esse modalità e contenuti dell'esercizio del diritto di difesa. Nondimeno il concreto esercizio del diritto di difendersi tacendo, non collaborando e persino mentendo può eventualmente rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa grave ai fini che in questa sede interessano, nel caso in cui l'indagato sia in grado di rappresentare specifiche circostanze, non note all'organo inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di escludere e caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa che determinarono l'emissione del provvedimento cautelare, ed invece le taccia: in tal caso, infatti, pur nel rispetto del diritto di difesa e delle opzioni attuative dello stesso, esiste un onere di rappresentazione ed allegazione da parte dell'indagato, al fine di porre l'organo inquirente nelle condizioni di valutare quelle prospettazioni ed allegazioni, di comporle nell'unitario quadro investigativo ed indiziario, di rilevare, eventualmente, l'errore in cui si è incorsi nella instaurazione dello stato detentivo (v., tra le numerose pronunzie, Sez. 4, n. 46423 del 23/10/2015, Sperti, Rv. 265287; Sez. 4, n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv. 251928; Sez. 4, n. 40291 del 10/06/2008, Maggi e altro, Rv. 242755). Poiché a quel momento solo l'indagato è in grado di rappresentare utili e giustificativi elementi di valutazione, la circostanza che invece li taccia o che reticentemente ovvero falsamente altri ne prospetti contribuisce, concausalmente, al mantenimento del suo stato detentivo. Si è, quindi, precisato che è necessario che il giudice della riparazione accerti, innanzitutto, quali siano gli elementi taciuti o falsamente rappresentati, non potendo questi ritenersi assiomaticamente (con inammissibile presunzione) o in via congetturale, e che valuti, poi, il sinergico nesso di relazione causale tra tale circostanza e l'addebito formulato, dando motivata contezza di come essa abbia influito, concausalmente, nel 6 Corte di Cassazione - copia non ufficiale mantenimento dello stato detentivo (v., ex plurímis, Sez. 4, n. 16370 del 18/03/2003, Giugliano, Rv. 224774).

obbligo informazione persona offesa

con la I. n. 119/2013 - recante conversione, con modificazioni, del d.l. 14.8.2013 n. 93 - è stata introdotta, nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, un'obbligatoria forma di interlocuzione con la persona offesa dal reato, individuata quale destinataria ex lege della notifica della richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari previste dagli artt. 282 bis, 282 ter, 283, 284, 285 e 286 cod. proc. pen., a pena di inammissibilità dell'istanza de libertate.
Il nuovo testo dell'art. 299, comma 3 cod. proc. pen. onera la parte che richiede la modifica dello stato cautelare, a pena di inammissibilità dell'istanza, di notificare la richiesta, contestualmente, al difensore della persona offesa e, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest'ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio.
 La facoltà di interlocuzione nel merito delle istanze de libertate è riconosciuta tanto nella fase delle indagini preliminari che in quella successiva alla chiusura delle stesse. L'informativa alla persona offesa, inoltre, è stata estesa ai conseguenti provvedimenti estintivi o modificativi delle misure cautelari emessi dal giudice (art. 299, comma 2 bis cod. proc. pen.).
 La ratio delle disposizioni in parola è, con ogni evidenza, quella di rendere partecipe la vittima di siffatti reati dell'evoluzione dello status cautelare dell'indagato, permettendo altresì alla stessa di presentare, entro un breve termine, memorie ai sensi dell'art. 121 cod. proc. pen., al fine di offrire all'autorità giudiziaria procedente ulteriori elementi di valutazione pertinenti all'oggetto della richiesta.
Tali previsioni si inseriscono nel più ampio ventaglio delle misure intese a rafforzare il diritto partecipativo della persona offesa, rappresentate dalla modifica dell'art. 101, comma 1 cod. proc. pen., che ha introdotto l'obbligo a carico dell'organo che riceve la notizia di reato di informare la persona offesa della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di richiedere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dall'obbligatorietà dell'avviso ex art. 408 cod. proc. pen. alla persona offesa dei delitti commessi con violenza alla persona, anche in assenza di esplicita richiesta, dall'inclusione tra i destinatari dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415-bis cod. proc. pen.) del "difensore della persona offesa o, in mancanza di questo", della "persona offesa" quando si procede per i reati di cui agli artt. 572 e 612-bis cod. pen..
rendere informata la persona offesa di ogni evoluzione della vicenda che la riguarda come vittima, nei diversi snodi procedi mentali.
La novella legislativa attua, in parte, la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2012/29/UE del 25 ottobre 2012 (recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato) e la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (maggio 2011), ratificata dall'Italia con L. n. 77 del 27 giugno 2013.
 La direttiva 2012/29/UE costituisce un atto programmatico assunto dagli organismi europei che, nel rivedere ed integrare i principi enunciati nella decisione quadro 2001/220/GAI, impegna gli Stati membri dell'Unione a "realizzare significativi progressi nel livello di tutela delle vittime in tutta l'Unione, in particolare nei procedimenti penali", assicurando alle vittime dei reati il diritto a ricevere  "informazioni dettagliate", al fine di "prendere decisioni consapevoli in merito alla loro partecipazione al procedimento", informazioni anche "relative allo stato del procedimento". Più in dettaglio, la vittima dovrebbe essere informata non soltanto della data e del luogo di celebrazione del processo e delle imputazioni per cui si procede, ma anche delle informazioni specifiche "sulla scarcerazione o evasione dell'autore del reato, almeno nei casi in cui possa sussistere un pericolo o un rischio concreto di danno per le vittime", così come delreventuale diritto di presentare ricorso avverso una decisione di scarcerazione dell'autore del reato, se tale diritto esiste nell'ordinamento nazionale".
La Convenzione di Istanbul, dal canto suo, nell'impegnare gli Stati ad adottare una serie di misure volte a garantire la protezione delle vittime della violenza di genere, stabilisce che le persone offese siano informate dell'eventuale evasione dell'autore del reato, nonché della liberazione di quest'ultimo in via temporanea o definitiva (art. 56 lett. b). Sempre la citata Convenzione, prevede che le vittime siano informate dei loro diritti, dell'esito della denuncia, dei capi di accusa, dell'andamento generale delle indagini e del procedimento, nonché del loro ruolo nell'ambito del procedimento e dell'esito del giudizio (art. 56 lett c).
La norma obblighi l'istante, a pena di inammissibilità della sua richiesta, a notificare la medesima al difensore della persona offesa (se nominato) ovvero alla persona offesa stessa (in mancanza di nomina di difensore) nel domicilio dichiarato o eletto, salva l'ipotesi che, oltre alla mancata nomina, vi sia stata anche omessa dichiarazione o elezione di domicilio: in questo ultimo caso, infatti, l'obbligo di informativa viene meno.
 Il regime informativo in parola non soffre limitazioni o deroghe a seconda della fase processuale, dal momento che l'incipit dell'art. 299, comma 4-bis cod. proc. pen. che allude espressamente alla fase successiva alla chiusura delle indagini disciplina esclusivamente l'iter procedimentale da seguire in presenza di istanza presentata nel corso dell'udienza ovvero fuori da essa. Appare evidente che la presentazione di istanza di revoca o modificazione intervenuta nel corso delle indagini e prima della loro conclusione, trova la sua regolamentazione esclusiva nelle regole generali dinanzi esposte che impongono un obbligo informativo alla persona offesa di carattere generalizzato (quindi indipendente dal fatto che l'istanza venga fatta in sede di udienza di convalida ovvero di interrogatorio di garanzia, udienze alle quali la persona offesa, tramite il suo difensore, non può partecipare ovvero nel corso dell'incidente probatorio ove detta presenza è facoltativa), con le sole eccezioni che si sono dette (nomina di difensore, intervenuta dichiarazione o elezione di domicilio).
 che succede quando, in fase di indagini, l'indagato ed il suo difensore sconoscono anche la sola identità di una (o più) persone offese (si pensi ai reati plurioffensivi, nei quali l'onere di individuazione della parte offesa, anche ai fini partecipativi del processo spetta alla pubblica accusa e, in via residuale, al giudice) ? Come sarà possibile per l'istante colmare questo difetto conoscitivo, in situazioni nelle quali gli atti del processo non sono depositati e non si potrà certo imporre al pubblico ministero di violare la segretezza anche al solo fine della comunicazione di un nominativo e di un recapito, che riguarda non un soggetto "qualsiasi" ma proprio la vittima del reato ? Come sarà possibile conciliare la tutela della vittima con questa - in qualche modo, indirettamente "favorita" - presa di contatto tra autore del reato e soggetto passivo ? Situazione, quest'ultima, la cui delicatezza non è difficile immaginare tanto più nell'ipotesi (non certo infrequente) di persone offese poste in località protette ovvero rivestenti la qualità di collaboratori di giustizia, in condizioni tali per le quali è la stessa legge a prevedere ed imporre un obbligo di "copertura" e di distanza tra offensore e offeso. Dal momento che non si potrà certo onerare l'istante della prova negativa in ordine alla mancata conoscenza dei "dati" che riguardano la persona offesa e tantomeno obbligare il pubblico ministero a rendere, di fatto, pubblici dati sensibili in una fase processuale coperta dal segreto, al fine di "comporre" una situazione che il legislatore non ha adeguatamente previsto, non potrà che essere lo stesso giudicante, adito in sede di istanza ex art. 299 cod. proc. pen., nell'ipotesi di omessa notifica della stessa a parte offesa notiziabile (ossia con difensore nominato ovvero con domicilio dichiarato o eletto) a verificare se detta omissione possa ritenersi colpevole o meno (ossia se il dato di ricerca potesse essere rilevato dagli atti  accessibili alla parte o meno) e solo nel primo caso, dichiarare l'inammissibilità della richiesta; di contro, nell'ipotesi in cui questa verifica comprovi l'esistenza di un'omissione del tutto incolpevole (o, comunque, scusabile), per essere la parte offesa non identificabile nei termini precedentemente esposti, l'istanza dovrà essere valutata nel merito per impossibilità di adempiere all'obbligo informativo. 3.3. In altre parole, la situazione di non identificabilità incolpevole della persona offesa finirà per estendere l'area di esclusione dell'adempimento in parola, finendo con il coincidere con la situazione della persona offesa che non ha nominato il difensore ovvero che non ha dichiarato né eletto il domicilio.

COLPA MEDICA NELL'ATTIVITA' D'EQUIPE

ogni sanitario, oltre che il rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, sarà anche astretto dagli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune unico. In virtù di tali obblighi il sanitario non potrà esimersi dal valutare l'attività precedente o contestuale svolta da altro collega sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza ponendo se del caso rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, e come tali rimediabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.

NESSO CAUSALE

escludere che l'errore dei sanitari, in particolare
nella prestazione di cure alla vittima di sinistro stradale, possa
ritenersi causa autonoma ed indipendente idonea a interrompere il
14
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
nesso causale tra il comportamento di colui che ha provocato
l'incidente e la successiva morte del ferito, posto che <di lesioni personali ( nella specie, provocate da incidente
stradale ) cui sia seguito il decesso della vittima, la colpa dei
medici, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed
indipendente -tale da interrompere il nesso causale ex art. 41, 2 °
comma, c.p.- rispetto al comportamento dell'agente, perché questi,
provocando tale evento (le lesioni), ha reso necessario
l'intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non
costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un'ipotesi che
si inserisce nello sviluppo della serie causale» E così Cass.
pen., sez. 4, 16/3/2011, n. 22165 ( dep. 1 ° /6/2011 ).
Conformemente v. altresì Cass. pen., sez. 4, 22/10/2013, n. 44763
( dep. 6/11/2013 ); Cass. pen., sez. 4, 18/1/2010, n. 9967 ( dep.
11/3/2010 ); Cass. pen., sez. 4, 11/7/2007, n. 39617 ( dep.
26/10/2007 ) l.
A tale stregua, il comportamento negligente o imperito dei
medesimi costituisce <potenziali errori di cura», laddove <nesso di causalità occorre un errore del tutto eccezionale,
abnorme, da solo determinante l'evento letale, conseguendone in
tal caso, l'applicabilità dell'art. 41, comma 1 e non dell'art.
41, comma 2, c.p.» [ così Cass. pen., sez. 4, 22/10/2013, n.
44763 ( dep. 6/11/2013 ). V. altresì Cass. pen., sez. 2,
18/3/2015, n. 17804 ( dep. 29/4/2015 ); Cass. pen., sez. 4,
21/6/2013, n. 43168 ( dep. 22/10/2013 ); Cass. pen., sez. 4,
19/2/2013, n. 10626 ( dep. 7/3/2013 ); Cass. pen., sez. 4,
30/1/2008, n. 13939 (dep. 3/4/2008) 1.
In siffatta ipotesi di responsabilità ( di tipo ) contrattuale
da errato intervento medico, si noti, al fine di limitare l'ambito
del danno risarcibile, o addirittura di escluderlo, non vale
allora nemmeno fare richiamo all'art. 1225 c.c., essendo in realtà
prevedibile che in conseguenza dell'inadempimento il
creditore/danneggiato rimanga esposto al rischio dell'altrui
condotta colposa ( e i realtà anche dolosa ) da detto antecedente
specificamente determ nata e resa necessaria, che di siffatto
rischio costituisca
differenti ipotesi, Ca
n. 8826). 

NESSO DI CAUSALITA' E SUCCESSIONE DI POSIZIONI DI GARANZIA

nel caso di successione di posizioni di garanzia, in base al principio dell'equivalenza delle cause, il comportamento colposo del garante sopravvenuto non é sufficiente ad interrompere il rapporto di causalità tra la violazione di una norma precauzionale operata dal primo garante e l'evento, quando tale comportamento non abbia fatto venir meno la situazione di pericolo originariamente determinata (principio pacifico, affermato fra l'altro da Sez. 4, n. 27959 del 05/06/2008, Stefanacci e altri, Rv. 240519; Sez. 4, n. 38810 del 19/04/2005, Di Dio, Rv. 232415; Sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990, dep. 1991, Bonetti e altri, Rv. 191805). Né può parlarsi, ai fini della esclusione di responsabilità, di "affidamento" quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, ciò nonostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini quella violazione o ponga rimedio a quella omissione (Sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990, dep. 1991, Bonetti ed altri, Rv. 191804; Sez. 4, n. 35827 del 27/06/2013, Zanon e altri, Rv. 258124).

quando l'obbligo di impedire l'evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto,
parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'articolo 41, comma primo, cod. pen. In questa ipotesi, la mancata eliminazione di una situazione di pericolo (derivante da fatto commissivo od omissivo dell'agente), ad opera di terzi, non é una distinta causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, ma una causa/condizione negativa grazie alla quale la prima continua ad essere efficace
 (Sez. 4, n. 43078 del 28/04/2005, Poli ed altri, Rv. 232416:

libero convincimento giudice

principio del libero convincimento 
- il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d'ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni della scelta, nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti. Con la conseguenza che, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità [Sez. 4 n. 8527 del 13/02/2015, Rv. 263435; Sez. 3 n. 4672 del 22710/2014 ud. (dep. 02/02/2015), Rv. 262469; Sez. 4 n. 34747 del 17/05/2012, Rv. 253512]. 

comportamento abnorme lavoratore

"In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale"(cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di "atto abnorme", si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313). L'abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall'avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del "comportamento abnorme", serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne al processo di lavoro - che connotano la condotta dell'infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento "...è "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare" (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094).

NESSO CAUSALE

Con la sentenza n. 27/2002 le SU CASS hanno individuato i criteri da seguire perché possa dirsi sussistente il nesso causale tra la condotta omissiva e l'evento, e sono stati enunciati taluni princìpi che, pur affermati, come detto, con specifico riferimento alla responsabilità colposa (per condotta omissiva) del medico, valgono evidentemente in generale per quel che riguarda la ricostruzione del nesso causale — quale elemento costitutivo del reato - in qualsiasi caso di reato colposo per condotta omissiva. I principi enucleabili dalla sentenza Franzese possono così riassumersi:
 1) il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica — universale o statistica — si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento "hic et nunc", questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva;
2) non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poichè il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica";
3) l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio;
 4) alla Corte di Cassazione, quale giudice di legittimità, è assegnato il compito di controllare retrospettivamente la razionalità delle argomentazioni giustificative — la cd. giustificazione esterna — della decisione, inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensì il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell'ipotesi sullo specifico fatto da provare. 
Può dunque affermarsi che le Sezioni Unite hanno ripudiato qualsiasi interpretazione che faccia leva, ai fini della individuazione del nesso causale quale elemento costitutivo del reato, esclusivamente o prevalentemente su dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica, in tal modo mostrando di propendere, tra i due contrapposti indirizzi interpretativi delineatisi nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, maggiormente verso quello più rigoroso (favorevole alla necessità dell'accertamento del nesso causale in termini di certezza) delineatosi in tempi più recenti. L

colpa professionale medico

colpa professionale (del medico), secondo il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità con riferimento alla diagnosi differenziale: "in ipotesi di omicidio colposo, versa in colpa, per imperizia, nell'accertamento della malattia, e negligenza, per l'omissione delle indagini necessarie, sia al fine di dissipare dubbi circa la esatta diagnosi del male portato dal paziente, sia per individuare la terapia di urgenza più confacente al caso, il primario ospedaliero che, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie, comunque, pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente." (in termini, "ex plurimis", Sez. 4, n. 11651/1988 - ud. 08/11/1988, dep. 29/11/1988 - Rv. 179815). C

responsabilità medica

<impone di avere presente che il sintomo dolore toracico deve essere trattato con
estrema attenzione proprio perché molte malattie non cardiache o comunque extra
toraciche danno una sintomatologia toracica ed entrano in diagnosi differenziale con
esso: come è noto, in tema di responsabilità professionale medica, nel caso in cui il
sanitario si trovi di fronte ad una sintomatologia idonea a porre una diagnosi
differenziale, la condotta è colposa quando non vi si proceda, mantenendosi
nell'erronea posizione diagnostica iniziale (v. Cass. Sez. IV sent.4452 del 29.11.05,
Campanile)» 

estensione domanda dell'attore al terzo

Nell'ipotesi in cui un terzo sia stato chiamato in causa dal convenuto come soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall'attore, la domanda di quest'ultimo si estende automaticamente ad esso senza necessità di una istanza espressa, costituendo oggetto necessario del processo, nell'ambito di un rapporto oggettivamente unico, l'individuazione del soggetto effettivamente obbligato. Cass. n. 5400 del 05/03/2013, n. 5057 del 03/03/2010 , n. 1522 del 26/1/2006, n. 15563 del 11.8.2004, n. 6771 del 10.5.2002)

Occorre tuttavia parimenti  ribadire il principio, reiteratamente affermato ( Cass. n. 1748 del 28/01/2005, n. 13131 dei 01/06/2006, n. 25559 del 21/10/2008, n. 13374 del 08/06/2007, n. 1693 del 23/01/2009, n. 12317 del 07/06/2011), secondo il quale l'estensione automatica della domanda dell'attore ai chiamato in causa da parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto  pretesa dell'attore, in ragione del fatto che il terzo s'individui come unico obbligato nei confronti dell'attore ed in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ma ferma restando, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo rapporto controverso. 
Il suddetto principio, invece, non opera allorquando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore come "causa petendi" ed in particolare, ove l'azione dell'attore sia di natura risarcitoria, qualora venga dedotto un titolo di responsabilità del terzo verso l'attore diverso da quello da lui invocato, al fine non già dell'affermazione della responsabilità diretta ed esclusiva del terzo verso l'attore sulla base del rapporto dedotto dal medesimo, bensì allo scopo di ottenere, in ragione del diverso rapporto richiamato, il rilievo dalla responsabilità invocata dall'attore con la domanda introduttiva della lite; e in questo secondo caso resta ferma l'autonomia sostanziale dei due rapporti confluiti nello stesso processo. 

domenica 21 agosto 2016

oltraggio a pubblico ufficiale

disposta l'abrogazione degli articoli 341 e 344 cod. pen., per effetto dell'articolo 18 della legge 25 giugno 1999, n. 205, il delitto di oltraggio è stato nuovamente introdotto nell'ordinamento a seguito della legge n. 94 del 2009, che ha però delineato una nuova figura di illecito, caratterizzato sotto il profilo della condotta materiale da un'azione consistente nell'offesa dell'onore e della reputazione della vittima, con la pretesa però di ulteriori requisiti oggettivi, in precedenza non richiesti. Tali elementi possono essere così sintetizzati: 1) l'offesa all'onore e al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di più persone; 2) deve essere realizzata in luogo pubblico o aperto al pubblico; 3) deve avvenire in un momento, nel quale il pubblico ufficiale compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni. Come argomentato puntualmente dalla dottrina, con osservazioni pertinenti e condivisibili, l'ambito oggettivo della nuova incriminazione è mutato, per l'inserimento nella fattispecie di presupposti fattuali qualificanti la condotta ed indicativi del fatto che ciò che viene riprovato dall'ordinamento non è la mera C.M.B. l, per il delitto di ingiuria commesso in danno Corte di Cassazione - copia non ufficiale OSCURATA lesione in sé dell'onore e della reputazione del pubblico ufficiale, quanto la conoscenza di tale violazione da parte di un contesto soggettivo allargato a più persone presenti al momento dell'azione, da compiersi in un ambito spaziale specificato come luogo pubblico o aperto al pubblico e in contestualità con il compimento dell'atto dell'ufficio ed a causa o nell'esercizio della funzione pubblica. In altri termini, il legislatore incrimina comportamenti ritenuti pregiudizievoli del bene protetto, a condizione della diffusione della percezione dell'offesa, del collegamento temporale e finalistico con l'esercizio della potestà pubblica e della possibile interferenza perturbatrice col suo espletamento.
cfr  Cass. 15367/2014

sabato 20 agosto 2016

espropriazione - occupazione usurpativa

 Cass. Sezioni Unite  con la sentenza n. 735 del 2015
...il principio enunciato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, secondo cui l'espropriazione deve sempre avvenire in "buona e debita forma".
 occupazione usurpativa (Cass. n. 1814 del 2000), caratterizzata dalla mancanza di dichiarazione di pubblica utilità e costituente un illecito a carattere permanente. 
Resta, dunque, esclusa l'acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica, e va riconosciuto al proprietario -rimasto tale nonostante la manipolazione, illecita, del bene da parte dell'amministrazione- la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell'ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell'immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione ecc), oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell'art 2043 cc. Trattandosi, dunque, sempre, di un'ipotesi d'illecito permanente, Io stesso viene a cessare, solo, per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell'occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente.

demanio idrico


"l'attraversamento del demanio idrico gestito dalle Regioni, ai sensi del D.Lgs, n. 112 del 1998, artt. 86 e 89, da parte di infrastrutture di comunicazione elettronica non è soggetto al pagamento di oneri o canoni che non siano previsti dal D.Lgs. n. 259 del 2003 o da legge statale ad esso successiva".".( v.anche Cass sentenze dal numero 17524 al numero 17541 del 2015).

l'art. 93 co 1 del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, Codice delle comunicazioni elettroniche
"divieto d'imporre altri oneri", 
le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre oneri o canoni per l'impianto di reti e per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, che non siano stabiliti dalla legge; il comma 2 impone agli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica l'obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l'Ente locale, ovvero l'Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche Corte di Cassazione - copia non ufficiale specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale. Aggiunge che nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell'esecuzione delle opere di cui al Codice o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l'applicazione della tassa (Tosap), oppure del canone (Cosap) per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, ovvero dell'eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie. Tutto ciò porta ad escludere che ulteriori oneri o canoni possano essere imposti dalla pubblica amministrazione per la posa in opera e l'utilizzo dei servizi di comunicazione elettronica.  

venerdì 19 agosto 2016

DE GASPERI

 Sergio Mattarella, Lectio degasperiana 2016

 PIEVE TESINO 18/08/2016
La nostra Repubblica ha settant'anni. ...
La Repubblica è sorta ricomponendo l'unità del Paese e, anche per questo, ha contribuito a ridefinire l'identità nazionale.
Dopo il duro ventennio fascista e la sciagura della guerra, un'Italia sconfitta riusciva ad entrare a far parte delle nazioni libere e democratiche. Ritrovata la libertà, con la partecipazione al voto di tutti, donne e uomini del nostro Paese, si realizzava una piena democrazia, imperniata sul Parlamento.
L'introduzione dell'autentico suffragio universale fece compiere all'Italia il vero salto di qualità, trasformandola in una nazione in cui tutti concorrono, in egual misura, a determinare, con il loro voto, le scelte fondamentali. 
Furono i cittadini a scegliere la forma di Stato con il referendum, ad eleggere i membri dell'Assemblea costituente, a determinare la formazione dei governi.
Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il coraggio e la visione da statista di Alcide De Gasperi che, più delle difficoltà materiali, temeva quelle morali e spirituali di un popolo oppresso, economicamente e socialmente prostrato, dalla sofferta esperienza democratica.

Sotto la guida dello statista trentino è stata garantita la continuità dello Stato italiano, sancendo contemporaneamente la discontinuità rispetto alla monarchia e al regime fascista e poggiando la nuova costruzione democratica su basi diverse da quelle incerte ereditate dallo Stato liberale.
Abbiamo resistito, in Italia allora, a difesa dell'unità di un Paese che era uscito sconfitto dalla guerra. Si pensi che le popolazioni di Trieste e Bolzano non poterono prendere parte al referendum. 
Si sono riconosciute le aspirazioni all'autonomia di singole Regioni. 
Si sono poste le basi per una politica di progresso sociale e si sono avviate grandi riforme. 
Si sono rafforzate le istituzioni democratiche senza rinunciare in alcun modo alla dialettica politica tra i partiti. 
Infine, si è data al Paese una chiara collocazione internazionale e la prospettiva europea.
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De Gasperi non fu soltanto il protagonista di tutto questo ma fu anche il costruttore tenace di una diversa idea di Patria.
Con la opzione repubblicana nasce un patriottismo basato sul legame indissolubile tra libera scelta democratica del popolo e istituzioni.
Un patriottismo che può essere giudicato sobrio e solido, dopo le ubriacature nazionalistiche della dittatura fascista. 
Un patriottismo autentico e sentito, non declamato. 
Rispettoso delle culture delle diverse comunità presenti nel Paese.

E' un patriottismo rafforzato negli anni duri della ricostruzione; un patriottismo dell'esempio e del sacrificio, e dunque non superficiale ed effimero, basato sulle esperienze concrete dell'esistenza quotidiana.
Un patriottismo che avverte in pieno la lezione degasperiana: ricostruire un'identità della nazione nel difficile passaggio dalle deluse aspirazioni nazionalistiche e di potenza alle esigenze di un ordinamento finalmente democratico, in un nuovo ordine internazionale che allora si stava affacciando.
E, oggi, possiamo dire che si tratta anche di un patriottismo veramente europeo, frutto, anch'esso della visione di uno statista che aveva vissuto, e colto, nel breve volgere di mezzo secolo un cambiamento epocale. 
La decisione degasperiana di un'Italia integrata con le democrazie occidentali e per un'Europa oltre ogni revanscismo, ha posto le basi per un percorso patriottico antiretorico che può abbracciare tutti i giovani europei, spingendoli anche a nuove forme di espressione politica condivisa e sovranazionale.
L'Italia ha risentito grandemente della divisione in blocchi raffigurata dalla "Cortina di ferro" e la Repubblica ha saputo tuttavia contenere e assorbire le spinte centrifughe e antisistema, esterne e interne (penso al terrorismo e allo stragismo), preservando le libertà democratiche.
Frutto anche, di una politica estera rigorosa che trova fondamento nelle scelte degasperiane: l'atlantismo e l'integrazione europea.
Sono passati soltanto settanta anni, che non sono molti per un Paes, ma, se guardiamo all'Italia del 1946, possiamo dire che di strada ne abbiamo fatta molta.

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De Gasperi assunse la guida della Repubblica con mano sicura. 
Aveva innato il senso dei tempi dei processi di cambiamento politici. 
La sua azione nel non facile passaggio alla Repubblica fu magistrale. Volle fermamente il referendum e riuscì a ottenerlo.
Si trovò di fronte alle impazienze di molti, anche all'interno del suo partito. 
Dopo la conclusione di una tesissima riunione della direzione di questo, disse a uno dei suoi vicesegretari - anch'egli fermamente repubblicano e dal quale l'ho direttamente appreso - «Non si vuol comprendere che bisogna preparare la svolta senza che il carro si rovesci».
Prese con decisione le redini della giovane Repubblica, proteggendola con cura, prima di tutto dall'insidia del passato, sempre in agguato. 
A buon diritto, possiamo riconoscergli l'attributo di "Padre" della nostra Repubblica.
Quando esitazioni e incertezze potevano produrre danni o gravi pericoli non gli mancava il coraggio di assumere decisioni forti. Il coraggio di De Gasperi non era quello di un uomo impulsivo, bensì di un uomo esperto e tenace.
Mario Bracci, ministro nel suo governo per il Partito d'Azione, lo aveva accompagnato al colloquio con Umberto II nella serata del 10 giugno e riferirà, a fronte delle tergiversazioni del Quirinale: "(De Gasperi) non vuole il conflitto (con la monarchia) ma è persuaso della giustezza della tesi del governo, sa che il popolo, nella sua maggioranza, ha voluto la repubblica e ne sente il comando di cui avverte più il peso morale che quello politico. E' quasi commovente quest'uomo mite, che non ha origini repubblicane e che ora, da galantuomo, affronta deciso e sereno la lotta contro la corona per obbedire al popolo".
Al Museo della sua casa natale abbiamo poc'anzi scoperto una piccola iscrizione che ci ricorda che De Gasperi assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato dal 13 alla fine di giugno del 1946.
Questo evento, di solito eclissato nella pubblicistica corrente, lega la figura di De Gasperi - primo Capo dello Stato repubblicano - in maniera ancor più significativa alla nostra Repubblica.
De Gasperi era consapevole delle titubanze di Casa Savoia e delle inconsistenti contestazioni di esponenti monarchici ed era preoccupato dalla notizia che per il Re era stato preparato un discorso alla nazione che avrebbe gettato una luce nefasta sul referendum istituzionale e sulla nuova classe politica, legittimata finalmente dal voto popolare. L'Italia era in bilico e i sanguinosi scontri di Napoli lanciavano segnali allarmanti.
Nella notte tra il 12 e il 13 giugno 1946, ad annuncio avvenuto della Cassazione sui risultati del referendum istituzionale, il leader trentino convocò il Consiglio dei ministri e, sostenuto anche dalle sinistre, ruppe gli indugi, assumendo, secondo la legge, la responsabilità delle funzioni di Capo dello Stato così come previsto dal decreto luogotenenziale del marzo precedente, che faceva parte della cosiddetta Costituzione provvisoria. 
Iniziava così la "Presidenza breve" di De Gasperi.
Giorni segnati da gesti affatto ordinari: il commissariamento del Senato di nomina regia, privo ormai - con la Repubblica - di funzioni e di legittimazione e la decretazione dell'amnistia proposta dal Guardasigilli Palmiro Togliatti.
Nel dare avvio alla Repubblica lo statista trentino aveva usato la bella formula "una Repubblica di tutti" che può essere accostata ad un'altra espressione che lo rappresenta bene: "Fare politica non al servizio di se stessi".

Troviamo tracce di questo nel suo discorso agli italiani dai microfoni della radio, da Capo provvisorio dello Stato, il 14 giugno 1946: "Non imprechiamo, non accaniamoci tra vinti e vincitori. Uno solo è l'artefice del proprio destino: il popolo italiano che, se meriterà la benedizione di Dio, creerà nella Costituente una repubblica di tutti, una repubblica che si difende sì ma non perseguita; una democrazia equilibrata nei suoi poteri, fondata sul lavoro, ma giusta verso tutte le classi sociali; riformatrice ma non sopraffattrice e soprattutto rispettosa della libertà della persona, dei Comuni, delle Regioni''.
La Repubblica, decisa dal voto del 2 giugno, a quel punto, era ormai in atto. Alla Costituente il compito di dargli forma.
Più avanti, nel corso dell'attività dell'Assemblea Costituente,resistendo anche alle perplessità del Vaticano, De Gasperi chiudeva la fase dei governi della Liberazione e formava il primo governo politico, legittimato dagli elettori. Teneva nelle sue mani anche il ministero degli Esteri e degli Interni.
Il leader trentino - mentre il mondo, in politica estera diventava bipolare - manifestava una visione "trialistica" della situazione italiana, con un centro democratico opposto a una sinistra e a una destra considerate anti-istituzionali, attento tuttavia, ha ricordato Leopoldo Elia proprio in questa sede, al rischio dell'assedio alla democrazia vissuto dalla Repubblica di Weimar.
La giovane Repubblica andava difesa da tutte le numerose insidie esterne, ma anche interne, prima tra tutte la violenza fratricida e i disordini. 
De Gasperi avvertiva acutamente l'esigenza, come disse nel Consiglio dei ministri del 29 agosto 1946, di non fare "la figura e la fine di Facta", alludendo al governo che nel 1922 non era riuscito a fronteggiare la violenza squadrista e non aveva difeso come avrebbe dovuto la dignità dello Stato.
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La politica non era per lui una passione solitaria, ma un'alta e generosa professione di servizio alla comunità.
Qualsiasi fosse la sua dimensione e la sua consistenza, - la minoranza italiana ai confini dell'Impero, le vaste popolazioni del Regno d'Italia o il popolo di cittadini di una nuova Repubblica europea - De Gasperi sapeva come rappresentare l'autentico spirito del popolo.
Aveva consapevole timore della meschinità umana, ma un più grande convincimento della forza che poteva svilupparsi dalla solidarietà tra cittadini liberi.
La lotta alla miseria non gli appariva la conclusione di un ragionamento ideologico, ma la premessa per vivere una vita dignitosa, condizione per una vera cittadinanza. 
Il punto di partenza è il riconoscimento del fatto che gli esseri umani "agiscono come liberi e non come schiavi". Riconoscimento fondato - diceva De Gasperi - "sul concetto dell'uomo come persona umana": ovvero sul fatto che l'uomo è "più un tutto che una parte".
La libertà era la cifra del suo impegno politico.
Il primo elemento di una coscienza democratica diffusa è dunque "il senso della dignità della persona umana", il cui frutto maturo è "l'uguaglianza di fronte alla legge e nell'organizzazione politica".
Come è noto, dava grande importanza alla politica estera e se ne occupò direttamente, riconoscendo alla diplomazia una funzione essenziale per la tutela dei diversi popoli, ma, prima di ogni accordo tra governi, metteva la concretezza dei bisogni umani. 
Tutti gli studiosi riconoscono oggi l'importanza delle riforme realizzate o anche soltanto impostate dai governi degasperiani.
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Il suo approccio alle relazioni umane lo spingeva a considerare il confronto pubblico un metodo universale di comportamento e sapeva che qualsivoglia regolamentazione non poteva prescindere dalla considerazione degli usi e dei costumi delle comunità.

L'Italia, che nella seconda guerra mondiale aveva sofferto tanto, nel 1943 si era riscattata lottando contro il nazifascismo, ma anche quest'ultima prova non avrebbe avuto un senso se non si fosse tradotta in una prospettiva politica nuova, dove le diversità, i vari interessi e le ideologie, si fossero rimodellati alla luce di esigenze superiori: la libertà, la pace, il progresso sociale. 
A questi principi dovevano corrispondere virtù politiche specifiche: semplicità di vita, sobrietà nei gesti e nella parola, tensione morale, capacità di ascolto.

Umanesimo integrale era la formula del filosofo cattolico Jacques Maritain, amato e tradotto da mons. Giovanbattista Montini, l'amico dello statista trentino. Ma l'integralità - concetto molto diverso da integralismo - per De Gasperi voleva dire anche «integrità», sostanza morale e rispetto della legalità e delle istituzioni.
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De Gasperi fu sempre contrario ad ogni negazione della dimensione spirituale in politica ed era consapevole che, se a un qualunque problema corrispondeva una soluzione tecnica, nessuna scelta poteva essere compiuta senza discernimento politico.

Il mondo democratico - come ha detto Vàclav Havel - "non è una griglia di parole crociate in cui vi è una sola soluzione corretta", ma qualche cosa di più complesso, dove non bastano le risposte tecnocratiche.

Da uomo nuovo nel Regno d'Italia, De Gasperi aveva compreso che solo l'avvento della democrazia politica avrebbe rappresentato, per l'Italia, l'occasione per completare il percorso risorgimentale, che si era spezzato, e per agganciare il Paese a una "Patria europea" necessaria per dare compimento al sogno democratico occidentale. 
Le sue radici affondavano nel movimento cattolico e aveva compreso che soltanto nella libertà e nella democrazia l'ispirazione cristiana avrebbe potuto esprimere fino in fondo il proprio potenziale, ma conosceva anche l'impreparazione dei cattolici e talune resistenze nella Chiesa. 
Alla figlia Lucia, religiosa dell'Assunzione, che gli chiedeva un parere su un filosofo reazionario del XIX secolo, Donoso Cortès, che prospettava la "catastrofe apocalittica della civiltà moderna", il 21 settembre 1948 rispose "che egli era apocalittico e pessimista e dava troppo poca importanza alla democrazia come metodo politico-parlamentare mentre per spingere i cattolici alla battaglia bisogna(va) avere fede nel sistema (democratico) ed essere ottimisti".
Queste parole di De Gasperi contribuiscono a spiegare anche come il suo rifiuto del proposito di bandire dalla politica la dimensione spirituale costituisse la base della sua autentica laicità, del suo senso della laicità della politica, manifestata in tanti passaggi significativi della sua esperienza.
Tra la complessità delle mediazioni che era chiamato a tessere e la forza d'animo vi era in De Gasperi una linea retta.
Quando si concluderà la preziosa impresa della edizione nazionale dell'epistolario degasperiano, appena promossa dalla Fondazione trentina che ci accoglie, sapremo certamente misurare ancor di più lo spessore della sua interiorità, la sua forza intellettuale e anche la efficacia del suo linguaggio e della sua scrittura.
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Alcide De Gasperi è anche uno dei Padri dell'Unione Europea.
Il suo non fu soltanto l'europeismo di chi cercava una sponda politica e commerciale internazionale, non fu un universalismo da vecchia Società delle Nazioni: esso aveva invece radici culturali e politiche molto profonde, che divennero la preoccupazione centrale degli ultimi anni della sua vita, tra il 1950 e il 1954, anni talvolta anche ingrati, quando affrontò momenti difficili.

De Gasperi aveva vissuto la crisi dei grandi imperi. Come altri grandi leader del Novecento aveva avvertito la stagione dei totalitarismi, non soltanto come una sconfitta politica, ma anche come una crisi di civiltà. 
Conosceva perfettamente il gioco politico tra le nazioni e, sull'esperienza del dopo primo dopoguerra, non si illudeva che, senza un impegno stringente, sarebbe automaticamente prevalsa la logica della pace e della cooperazione tra i popoli.

Era convinto, a ragione, che il mondo germanico e il mondo latino avessero entrambi da guadagnare nello stare vicini e che il mondo anglosassone e americano rappresentasse il miglior esempio al mondo di lungimiranza democratica. 
Sperimentata la strada di una Unione doganale italo-francese che rilanciasse una missione dei Paesi latini nel mondo, De Gasperi si mosse decisamente sulla via della integrazione occidentale, nel cui ambito la dimensione europea avrebbe ben presto acquisito rilievo.

De Gasperi intuiva che l'Europa non era una prospettiva da tempi ordinari, ma per tempi straordinari, e per leader autentici, e che, se si fosse lasciato passare troppo tempo, l'assestarsi del quadro economico internazionale e lo stesso venir meno della fase più dura della guerra tra i blocchi, avrebbe potuto sospingere le nazioni europee nelle braccia di politiche nazionaliste ed egoiste. 
Guerra e violenza dovevano, nella sua visione, essere bandite dall'Europa, ferma restando la rigorosa, incondizionata e ferma opposizione ad ogni totalitarismo nemico del genere umano.

Aveva sempre pensato che un'unità europea fosse possibile soltanto con un esercito comune e con una moneta europea, ma al momento opportuno intuì che l'ipotesi Schuman della costituzione della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (la Ceca) era una risposta efficace per legare la dimensione europeistica alla questione sociale, alla produzione materiale e alla circolazione dei lavoratori, a vantaggio del progresso, senza, per questo, cedere a visioni funzionalistiche dell'unità europea.
Nessuna prospettiva federalista europea avrebbe, inoltre, potuto affermarsi senza l'attribuzione di poteri costituenti a nuove assemblee politiche.

Si batté, quindi, con l'appoggio degli Stati Uniti e nonostante le resistenze britanniche, affinché nel progetto di trattato sulla Comunità europea di Difesa (la CED) si scrivesse che la sua assemblea parlamentare avrebbe agito come una specie di Costituente europea, per arrivare a una proposta politica in senso federale.
Siamo ancora lontani da questo obiettivo, ma esso era, e rimane, l'unico storicamente valido. 
Viene da pensare, con rammarico, alla recente fatica della Convenzione che ha portato, per gli insuccessi nei referendum francese e olandese, alla bocciatura della Costituzione Europea e al successivo Trattato di Lisbona, molto meno ambizioso.
L'Unione Europea non può ritrarsi dalle sue responsabilità e il cosiddetto metodo intergovernativo nelle decisioni non può surrogare il valore democratico delle istituzioni europee, specie del Parlamento di Strasburgo. 
Tanto meno questo può avvenire dopo la decisione nel referendum britannico che richiede un rilancio dell'integrazione e non una sorta di appiattimento sulle resistenze che hanno condotto a quel risultato negativo.
A sfide sempre più globali occorrono risposte politiche europee, concordate a tutti i livelli. 
Sia il terrorismo, siano le crisi finanziarie, sia il tema delle migrazioni, nessun Paese è in grado di affrontarle da solo, soprattutto in Europa. 
Cornice repubblicana e cornice europea, insieme, sono quindi l'ambito più efficace dell'iniziativa dell'Italia contemporanea.
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Anche l'autonomia del Trentino e dell'Alto Adige-Sud Tirol va letta in modo propositivo e nello spirito dell'unità nazionale ed europea.
De Gasperi era un trentino che aveva vissuto con la sua gente il disagio di essere troppo lontani da tutto, da Vienna e da Roma.
Sempre alla ricerca di un difficile equilibrio istituzionale e sociale si batté per dare a questa ricerca il supporto di un'autentica partecipazione democratica alla vita sociale: è stata una visione vincente come dimostrano i risultati che in queste Province sono stati raggiunti in molti campi.
De Gasperi fu tra i pochi che vide che i confini, anche quelli naturali, non bastano a garantire la convivenza e la pace: «Registrare al di qua e al di là del Brennero dei contrasti locali e regionali è cosa facile... - disse nel discorso tenuto a Trento il 25 novembre 1948 - ma la principale virtù della democrazia è la pazienza. Bisogna attendere alle cose con tenacia e vigilanza, con la coscienza che le cose debbano sempre maturarsi». 
La riconferma delle frontiere del 1919 fu una decisione delle quattro potenze alleate e De Gasperi seppe tradurla in una esperienza esemplare per la convivenza tra i popoli.
Le storie di confine sono sempre storie multilaterali. Questa consapevolezza e la lungimiranza di De Gasperi e del ministro austriaco Gruber condussero all'Accordo del 5 settembre del 1946. 
L'autonomia non è un fatto contabile o uno scudo contro presunte invasioni di campo. 
E' un investimento in positivo che richiede l'impegno di tutte le istituzioni, da una parte e dall'altra. 
Non è un privilegio immeritato, ma certo impone un supplemento di responsabilità.
Sudtirolesi, altoatesini, ladini e trentini sanno di dovere vivere la loro autonomia come esempio di responsabilità, d'intelligenza non localistica e anche d'innovazione politica, come qualcosa che non riguarda soltanto i loro interessi materiali. 
De Gasperi - come disse alla Assemblea Costituente - era contro le "repubblichette che pretendessero di disgregare l'unità della Repubblica" e comprese prima di altri il beneficio che una solida Repubblica unita avrebbe arrecato a tutte le minoranze, e ne avrebbe ricevuto, e fece ogni sforzo per migliorare i rapporti tra italiani e sudtirolesi, anche grazie all'impegno dei trentini.

Era convinto che l'ottenimento effettivo dei diritti naturali della minoranza etnica tedesca, e il loro rispetto, sarebbe stato aiutato dalla compartecipazione dei trentini, che avevano anche loro conosciuto - soprattutto nei duri anni della Prima guerra mondiale - il disagio, a parti invertite, di essere una minoranza incompresa.
De Gasperi voleva dimostrare che l'Italia era capace di «spirito di larghezza» e che - come ribadì il 29 gennaio 1948 nell'aula della Assemblea Costituente - "l'Italia democratica era ben diversa dall'Italia fascista e che il metodo del governo attuale era quello di fare appello alla fiducia dei popoli e alla libera collaborazione". 
L'ambizione era alta: il ministro degli esteri britannico, Ernest Bevin, non ebbe dubbi nell'auspicare che la questione sudtirolese diventasse un esempio di come i popoli possono evitare che il nazionalismo abbia il sopravvento sul buonsenso e sulla soluzione dei problemi concreti.
Un auspicio che, a giudizio degli studiosi, si è tradotto in un "unicum" per l'Europa, in termini di protezione delle minoranze e di collaborazione transfrontaliera. Un'autonomia la cui definizione e integrità costituisce motivo di orgoglio per la democrazia italiana.
Un esempio su cui riflettere e a cui guardare ancora oggi nella comunità internazionale.
Il depotenziamento della frontiera del Brennero, del tema etnico-nazionale, ha permesso di affrontare in modo costruttivo il rispetto e il riconoscimento delle attese delle popolazioni coinvolte.
Oggi, dopo l'ingresso dell'Austria nella Ue e con il Trattato di Schengen, si sono definitivamente superate e tradotte in collaborazione rivalità secolari e ferite della storia. Guai a porre in dubbio, per motivi contingenti, questo storico risultato.
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In un celebre discorso del 1948, a Bruxelles, su "Le basi morali della democrazia", De Gasperi ebbe a spiegare che la politica non si fonda sulla distinzione astratta tra l'uomo pubblico e l'uomo privato, ma sulle condizioni storiche date e sulle condizioni sociali su cui poter fare affidamento nell'impegno politico.
Il capitale politico di cui un Paese dispone non può essere separato da chi ne è titolare, dalla sovranità popolare, diversamente da quanto avviene per altre forme di capitale.
La democrazia, per De Gasperi, necessita di alcune virtù collettive: di una "attiva coscienza democratica" che deve essere "operante nel popolo": di una democrazia irriducibile a "un regime di istituti" solo formali, e che deve piuttosto diventare "una filosofia interiore che si alimenta non solo degli elementi razionali nell'interesse comune, ma anche e soprattutto degli elementi ideali che pervadono le tradizioni spirituali e sentimentali e la storia della nazione". 
Da queste sue parole consegue il riconoscimento - per ogni essere umano - della possibilità di mettere in atto uno "sforzo di liberazione interiore" fondato su una capacità di libertà che è al contempo un dono e un compito: qualcosa che si riceve, ma anche una responsabilità.

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Per De Gasperi, vi era un'altra virtù il cui esercizio era indispensabile per la salute della democrazia. Era la virtù della "pazienza" "di fronte alle lentezze dell'uomo". 
Non si trattava semplicemente di esser calmi e di mantenere i nervi saldi: si trattava di esercitare la speranza. 
De Gasperi è più sorprendente di quanto si creda: sempre nel discorso di Bruxelles del 1948 disse: "Non abbiamo il diritto di disperare dell'uomo, né come individuo né come collettività, non abbiamo il diritto di disperare della storia, poiché Dio lavora non solo nelle coscienze individuali, ma anche nella vita dei popoli". Così De Gasperi.
Non abbiamo il diritto di disperare!
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Le preoccupazioni e le esortazioni del grande statista restano valide anche oggi, particolarmente riguardo all'Europa.
L'unità europea, in un certo senso, è sempre un'impresa in salita, dove alle difficoltà e alle visioni anguste si devono contrapporre fattori ideali e politici. 
Senza una memoria condivisa sulla storia dell'Europa moderna, continente straordinario per innovazioni di ogni genere, ma anche in preda a forti tensioni, non sarà possibile cogliere il valore politico di una unione che va molto al di là delle convenienze minute e particolari.
La matrice umanistica dell'Europa non è soltanto di tipo estetico e letterario, ma civile: l'Europa moderna ha nel cuore un'idea fattiva e attiva del bene e del progresso economico e sociale e premia l'accordo tra la concretezza dei bisogni e il riconoscimento di sempre nuovi diritti.
Sprovvista delle sue autentiche ambizioni l'Europa non può esistere. 
Non sono le banche o le transazioni commerciali che hanno determinato l'Unione europea, ma uomini politici e parlamenti lungimiranti: non sono le crisi finanziarie che potranno distruggerla, ma soltanto la nostra miopia nel non riconoscere il bene comune.
Dare voce a chi, soprattutto tra i giovani, sente già l'Europa come il proprio ambiente di vita; tradurre in regole ciò che è già vissuto come naturale, talvolta persino avvertito come scontato; dare risposta a chi è in difficoltà, lavorando per una politica di solidarietà civile diffusa: questo è il compito dei politici per il futuro. 
Un compito di preveggenza, non di retroguardia, non di affannosa rincorsa di sfide inattese.
Un compito d' intelligenza, non di approssimazione o superficialità.
In una parola un compito ideale, a cui devono prepararsi coloro che si sentono così fiduciosi nella dignità della politica da sentirsi interpellati davanti a uomini come De Gasperi. 
La storia ce ne mostra la levatura. La passione civile la vicinanza.
Tutti abbiamo il dovere di guardare al suo insegnamento, e al suo coraggio, per trarne ispirazione di fronte ai problemi attuali, difficili ma certamente non di più di quelli che De Gasperi, nel suo tempo, ebbe il compito di affrontare.





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