domenica 4 settembre 2016
nesso causale e teoria del rischio
A proposito dell'art. 41 cpv. c.p., e della cosiddetta interruzione del nesso
causale, evocando la precedente giurisprudenza, si è posto in luce che il garante
è il gestore di un rischio; e che il termine "garante" viene ampiamente utilizzato
nella prassi anche in situazioni nelle quali si è in presenza di causalità commissiva
e non omissiva; ed ha assunto un significato più ampio di quello originario, di cui
occorre acquisire consapevolezza, traendo argomento proprio dalla norma
richiamata.
Si è considerato che la necessità di limitare l'eccessiva ed indiscriminata
ampiezza dell'imputazione oggettiva generata dal condizionalismo è alla base di
classiche elaborazioni teoriche: la causalità adeguata, la causa efficiente, la
causalità umana, la teoria del rischio. Tale istanza si rinviene altresì nel
controverso art. 41 cpv. c.p.. L'esigenza cui tali teorie tentano di corrispondere è
quella di limitare, separare le sfere di responsabilità, in modo che il diritto penale
possa realizzare la sua vocazione ad esprimere un ben ponderato giudizio sulla
paternità dell'evento illecito.
La centralità dell'idea di rischio è emersa con insistenza particolarmente nel
contesto della sicurezza del lavoro [... in cui, in maniera particolare,] esistono
diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel
rischio sono chiamate a governare [...] Le Sezioni unite Li hanno posto
l'enunciazione che un comportamento è "interruttivo" (per restare al lessico
tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio che
il garante è chiamato a governare. Tale eccentricità renderà magari in qualche
caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
' ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell'esclusione
dell'imputazione oggettiva dell'evento. A ciò va aggiunta solo una chiosa di portata
generale: l'effetto interruttivo può essere dovuto a qualunque circostanza che
introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli
che il garante è chiamato a governare.
[...] Il tema di cui si discute è stato ripetutamente esaminato da questa Corte
con riferimento al rischio terapeutico. Si può dire che l'ambito che ha determinato
le maggiori discussioni sulla portata dell'art. 41 cpv., è sicuramente quello in cui
l'attività di cura interagisce con gli effetti determinati dalla precedente condotta
illecita, aggravandoli.
La Suprema Corte ha ripetutamente escluso che, nel caso di lesioni personali
seguite da decesso della vittima dell'azione delittuosa, l'eventuale negligenza o
imperizia dei medici possa elidere il nesso di causalità tra la condotta lesiva
dell'agente e l'evento morte. La colpa dei medici, infatti, anche se grave, non può
ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell'agente
che, provocando il fatto lesivo, ha reso necessario l'intervento dei sanitari. Infatti
la negligenza o imperizia dei medici non costituisce di per sè un fatto
imprevedibile, eccezionale, atipico rispetto alla serie causale precedente di cui
costituisce uno sviluppo evolutivo normale anche se non immancabile (ad es. Sez.
I, 9 ottobre 1995, La Paglia; Sez. I, 19 gennaio 1998, Van Custem; Sez. IV, 10
marzo 1983, Di Martino). In tale approccio l'eccezionalità viene colta in modo
categoria/e, astratto: per definizione essa non si configura, indipendentemente
dalle contingenze del caso concreto.
[...] il nesso causale è stato escluso in un caso che presenta significative
affinità con quello in esame (Sez. V, 27 gennaio 1976, Nidini, in C. E. D. Cass. n.
133819). Si era in presenza di un errore macroscopico del sanitario: una persona
che viaggiava a bordo di un'auto subiva lesioni non molti gravi (frattura del femore
e stato commotivo) a seguito di un incidente stradale nel quale si evidenziava la
colpa del conducente; ricoverata in ospedale veniva sottoposta ad intervento
chirurgico di osteosin tesi gravato da errori di esecuzione (applicazione al femore
fratturato di viti che, per la loro eccessiva lunghezza determinavano emorragie,
infezione e cancrena); tale situazione determinava la necessità di tre
emotrasfusioni; nell'esecuzione di tali trasfusioni il medico errava
nell'individuazione del gruppo sanguigno con esito letale. La Corte ha ritenuto che
tale finale cond tta erronea, pur inserendosi nella serie causale dipendente dalla
condotta dell' utomobilista che provocò l'incidente, agì "per esclusiva forza
propria" ed ij7terruppe il nesso di condizionamento. Rispetto all'evento morte
l'originaria c ndotta colposa dell'automobilista, pur costituendo un antecedente
necessario p l'efficacia delle cause sopravvenute, assume non il ruolo di fattore
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causale ma di semplice occasione. Si tratta di una decisione senza dubbio
condivisibile, visto che da un lato si è in presenza di un rischio non particolarmente
grave, innescato dall'incidente; dall'altro si evidenzia non solo un errore di
esecuzione dell'intervento di osteosintesi, ma anche e soprattutto di un errore
gravissimo costituito dall'erronea individuazione del gruppo sanguigno, originatosi
in una situazione in cui non si provvedeva alla cura della frattura ma si tentava di
rimediare agli errori commessi dal chirurgo.
Una soluzione corretta, dunque, nella quale - tuttavia - piuttosto che la
generica evocazione della occasionante della condotta colposa del conducente del
veicolo, appare assai più persuasiva e razionale la considerazione
dell'incongruenza e dell'incommensurabilità tra l'originario rischio attivato
dall'incidente automobilistico e quello realizzatosi a causa del gravissimo errore
consistito nella fallace individuazione del gruppo sanguigno.
[...] conclusivamente, la teoria del rischio evocata dalle Sezioni unite offre
strumenti di analisi e ponderazione meno vaghi e più penetranti rispetto a quelli
offerti dalla tradizione: in breve, l'individuazione del rischio quale chiave di volta
per la lettura degli intrecci causali; l'intervento di fattori la cui concausalità è
determinante e di significato tale da assorbire la spiegazione giuridica esclusiva
dell'evento; la congruenza tra i rischi. Il fatto illecito altrui non esclude in radice
l'imputazione dell'evento al primo agente, che avrà luogo fino a quando
l'intervento del terzo, in relazione all'intero concreto decorso causale dalla
condotta iniziale all'evento, non abbia soppiantato il rischio originario.
L'imputazione non sarà invece esclusa quando l'evento risultante dal fatto del terzo
possa dirsi realizzazione sinergica anche del rischio creato dal primo agente.
Tale approccio è utile anche quando la condotta illecita ha già prodotto
conseguenze lesive, ma esse vengono portate ad esiti ulteriori e più gravi da
condizioni sopravvenute, che possono essere costituite da comportamenti umani
o da fatti naturali. Si tratta dell'ambito efficacemente tratteggiato dai casi di scuola
della vittima di un attentato che muore durante il trasporto in ospedale a causa di
un incidente stradale, o di un incendio sviluppatosi nell'ospedale [...]
L'approccio fondato sulla comparazione dei rischi consente di escludere
l'imputazione al primo agente quando le lesioni originarie non avevano creato un
pericolo per la vita, ma l'errore del medico attiva un decorso mortale che si innesta
sulle lesioni di base e le conduce a processi nuovi e letali: viene creato un pericolo
inesistente che si realizza nell'evento. Discorso analogo può esser fatto quando la
condotta colposa del medico interviene dopo che il pericolo originario era stato
debellato da precedenti cure: anche qui viene prodotto un rischio mortale nuovo.
La teoria del rischio spiega bene l'esclusione dell'imputazione del fatto nel
caso dell'emotrasfusione sbagliata: vi è una tragica incommensurabilità tra la
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situazione non grave di pericolo determinata dall'incidente, che aveva comportato
la rottura del femore, e l'esito mortale determinato dal macroscopico errore
nell'individuazione del gruppo sanguigno».
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