martedì 27 settembre 2016

Giunga fino a te la mia preghiera

Giobbe (3, 1-3.11-17.20-23) «era nei guai» perché «aveva perso tutto. Tutti i suoi beni, anche i suoi figli. E poi si era ammalato di una malattia che assomiglia alla lebbra..la sua sofferenza era tale che aprì la bocca e maledisse il suo giorno, quello che gli accadeva», dicendo: «Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio”. Tutto questo sarebbe stato meglio che non fosse stato, che non fosse accaduto. Meglio la morte che vivere così».
 «la Bibbia dice che Giobbe era giusto, era santo». 
 Giobbe «non maledisse Dio. Soltanto si sfogò e questo era uno sfogo: uno sfogo di figlio davanti al Padre». Un po’ come fece il profeta Geremia, dice al Signore: “Io sono stato sedotto da Te, Signore”»; ma subito dopo, come Giobbe, anche Geremia dice: «Maledetto il giorno nel quale io sono stato concepito». Eppure «questi due casi non sono bestemmie: sono sfoghi». Entrambi «si sfogano davanti a Dio così», perché «tutti e due erano in una grande desolazione spirituale».
..La desolazione spirituale  «una cosa che accade a tutti: può essere più forte, più debole... Ma, quello stato dell’anima oscuro, senza speranza, diffidente, senza voglia di vivere, senza vedere la fine del tunnel, con tante agitazioni nel cuore e anche nelle idee», lo vive ogni donna e ogni uomo. «La desolazione spirituale  ci fa sentire come se avessimo l’anima schiacciata», che «non vuol vivere: “Meglio è la morte!” è lo sfogo di Giobbe; meglio morire che vivere così».
..quando il nostro spirito è in questo stato di tristezza allargata, che quasi non c’è respiro, noi dobbiamo capire cosa succede nel nostro cuore», 
 domandarsi «cosa si deve fare quando viviamo questi momenti oscuri, per una tragedia familiare, una malattia, qualche cosa che butta giù». 
 quando siamo tiepidi, giù, senza speranza [ci ricorda] il salmo responsoriale: «Giunga fino a te la mia preghiera, Signore»
La prima cosa da fare è pregare. «Preghiera forte, forte, forte» ha scandito Francesco, 
“Signore, Dio della mia salvezza, davanti a Te grido giorno e notte”: le parole sono forti! È quello che ha fatto Giobbe: “Grido, giorno e notte. Per favore, tendi l’orecchio alla mia supplica”». Insomma «è una preghiera» che consiste nel «bussare alla porta, ma con forza: “Signore, io sono sazio di sventure. La mia vita è sull’orlo degli inferi. Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa, sono come un uomo ormai senza forze”».
Nella vita, ha osservato il Papa «quante volte ci sentiamo così, senza forze». Ma «lo stesso Signore ci insegna come pregare in questi brutti momenti: “Signore, mi hai gettato nella fossa più profonda. Pesa su di me il tuo furore. Giunga fino a te la mia preghiera”. 
Questa è la preghiera: così dobbiamo pregare nei momenti più brutti, più oscuri, più di desolazione, più schiacciati, che ci schiacciano»
....«davanti a una persona che è in questa situazione, le parole possono fare male. Soltanto, toccarlo, essere vicino», in modo «che senta la vicinanza, e dire quello che lui domanda; ma non fare discorsi».
 «quando una persona soffre, quando una persona è nella desolazione spirituale, si deve parlare il meno possibile e si deve aiutare con il silenzio, la vicinanza, le carezze la sua preghiera davanti al Padre».
 il Signore ci aiuti: primo, a riconoscere in noi i momenti della desolazione spirituale, quando siamo nel buio, senza speranza, e domandarci perché; 
 pregare come oggi ci insegna la liturgia con questo salmo 87 nel momento del buio — “giunga fino a te la mia preghiera, Signore”». 
 «quando mi avvicino a una persona che soffre», sia per una malattia sia per qualsiasi altra circostanza, «ma che è proprio nella desolazione: silenzio». Un silenzio, ha concluso «con tanto amore, vicinanza, carezze. E non fare discorsi che alla fine non aiutano e, anche, fanno del male».

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