martedì 22 novembre 2016

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venerdì 18 novembre 2016

PROFUMO DI SANTITA'

da 14 anni e 8 mesi nell'armadio dove sono custoditi i Suoi paramenti sacri chiunque avverte un profumo
oggi c'è tra le tante anche la testimonianza di chi presso il Suo busto a 35 km da quell'armadio profumato avverte anche lì quel profumo
e se fosse PROFUMO DI SANTITA'

ieri avevo pubblicato questo


PROVE NEL RITO DEL LAVORO

nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 cod. proc. civ., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull'onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (cfr. Cass. 23.10.2014 n. 22534).

giovedì 17 novembre 2016

una probabilità su mille

quando si parla di miracolo?
una probabilità su mille che si verifica vuol dire che era quasi impossibile, ma probabile, anche se in una millessima parte?
e se fosse solo e soltanto un altro miracolo?
sotto un link dove è stato pubblicato un altro intervento
http://www.torittonline.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3906:qmiracolatoq-dal-parroco-torittese-don-pierino-dattoli&catid=96:consacrati-torittesi&Itemid=162

lunedì 7 novembre 2016

altro prodigioso intervento?

nell'immagine
si legge un post di chi crede fermamente che ancora una volta in un caso disperato ci sia stato un intervento prodigioso.
Per me è probabile che sia così.
Un giorno sarà sia la scienza che la Chiesa a dire se anche questo sia solo un caso di guarigione o un intervento "miracoloso"

domenica 6 novembre 2016

interventi prodigiosi

alcune difficoltà che ti porti dietro dall'infanzia non si possono risolvere con interventi chirurgici pericolosi. Non si può cercare la soluzione ai disagi causati da problemi non fondamentali (oggettivamente, anche se tali ritenuti da chi convive con essi) con rischiose operazioni.
I medici devono non solo informare in tempo, ma anche verificare se hanno spiegato bene, SE I PAZIENTI HANNO COMPRESO TUTTO.
Con la salute non si scherza.
in extremis è stato evitato un doppio intervento chirurgico troppo rischioso per una non vitale problematica.
forse è stato tempestivo l'intervento prodigioso delle tante preghiere che hanno scongiurato che si andasse inutilmente incontro a potenziali effetti dannosi

venerdì 4 novembre 2016

4 novembre e sempre

le date ci ricordano eventi
questa data mi ricorda un nonno soldato che la brutta (più che grande) guerra non mi ha mai permesso di conoscere.
Nonno Giuseppe prima rimasto gravemente ferito in servizio e poi deceduto a solo 27 anni a causa di quella gran brutta guerra..
onore ai soldati non solo oggi, ma sempre
grazie nonnino Giuseppe eterno ragazzino

apprendimento social

Da Facebook prima apprendi che il tuio amico è volato in America, poi che lo stesso è restato lì per tanti mesi, separandosi dalla moglie. Poi sempre da Facebook apprendi che è ritornato e che è in compagnia della moglie...
tutto si sa bene e al contrario...
sempre da FB un tuo amico fa sapere che è in uscita il suo primo cd, è un piacere sapere che a 60 anni circa c'è chi riesce a portare fino in fondo le proprie passioni giovanili...
e sempre il famoso social ti fa sapere di eventi  he a distanza di 20 anni si riorganizzano... e ricordi quando l'organizzatore eri tu

giovedì 3 novembre 2016

risoluzione contratto d'appalto, giurisdizione ordinaria

l'atto con cui la pubblica Amministrazione dichiara la risoluzione del contratto d'appalto stipulato con un privato ha natura paritetica, trattandosi di un rimedio che trova fondamento nell'autotutela c.d. negoziale, dunque, ascrivibile all'alveo privatistico e devoluto alla cognizione del giudice ordinario, cui competono i consueti poteri di disapplicazione ove vengano anche in rilievo atti amministrativi illegittimi (cfr. Cass. civ., Sez. un., 30 marzo 2000 n. 72; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 18 novembre 2008, n. 437; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 6 giugno 2008 n. 1681)

mercoledì 2 novembre 2016

DOPO 7 ANNI

Per sette anni ho pensato che un grande guaio ho combinato..
il guaio in verità c'è stato
ma il guaio grande è che solo dopo 7
lunghi anni
ho scoperto che il guaio è restato forte nella mia mente
e non ho vissuto serenamente
ma oggi ho scoperto che quel guaio non ha creato l'enorme problema che mi ero fissato
e grazie al buon Dio sembra che è tutto sistemato.

martedì 25 ottobre 2016

giudizio della Commissione d'esame insindancabile

il giudizio tecnico-discrezionale della Commissione di concorso, è espressione di valutazione di merito che, come tale, non è puntualmente sindacabile in sede di legittimità, se non nei casi in cui esso risulti ictu oculi macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento dei fatti (cfr infra multa: Consiglio di Stato Sez. IV 11/04/2007 n. 1643).

appello al Consiglio di Stato: specificità censure

Nel giudizio d’appello (non essendo un iudicium novum) è inammissibile, per violazione del dovere di specificità delle censure sancito dall'art. 101, comma 1, c.p.a., la mera riproposizione dei motivi dedotti a sostegno del ricorso di primo grado, senza che sia sviluppata, mediante l’articolazione di puntali argomenti critici, alcuna confutazione della statuizione del primo giudice (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 31 agosto 2016, n. 3767; Cons. Stato, Sez. III, 16 giugno 2016, n. 2682; Cons. Stato Sez. V, 31 marzo 2016, n. 1268; Cons. Stato Sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 158; Cons. Giust. Amm. Sic., 25 settembre 2015, n. 615),

Processo amministrativo: ricorso improcedibile

In linea di principio, la mancanza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione è rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35, comma 1, c.p.a.), perché essi costituiscono i fattori ai quali la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l’esercizio dei poteri giurisdizionali (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2013, n. 2152; sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1657).

martedì 11 ottobre 2016

l'accesso agli atti del gestore del servizio pubblico

l'accesso agli atti del gestore del servizio pubblico, pur quando essi sono disciplinati dal diritto privato e comportano la giurisdizione ordinaria, «consente il perseguimento delle medesime finalità connesse all'accesso agli atti dell'amministrazione (e c'è una più diffusa conoscenza dei processi decisionali, lo stimolo a comportamenti ispirati ai canoni di diligenza, buona fede e correttezza, ad una deflazione delle controversie): vi è l'interesse pubblico all'effettuazione di scelte corrette da parte del gestore, quando esse siano finalizzate all'organizzazione efficiente ed alla qualità del servizio»." (Cons Stato, AD. Pl. n. 4 del 22 aprile 1999, Cons. St., Sez. III, sentenza del 10 marzo 2015, n. 1226; Cons. St., Ad. Pl. n. 5 del 5 settembre 2005; Cons St., sez. IV, 5 settembre 2009, n. 4645).

lunedì 3 ottobre 2016

selezione ideoneativa (non concorsuale)

«le controversie attinenti ad una procedura di selezione “idoneativa” e “non concorsuale” avviata da una ASL per il conferimento di un incarico dirigenziale (nella specie di dirigente di struttura complessa), aventi ad oggetto atti adottati in base alla capacità ed ai poteri propri del datore di lavoro privato, appartengano alla giurisdizione del giudice ordinario» (Cass., Sez. Un., 3 febbraio 2014, n. 2290).

venerdì 30 settembre 2016

RESPONSABILITA' ex art 2015 cc

In via di principio si rammenta che la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non 5 Corte di Cassazione - copia non ufficiale dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione luris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. 1.3. Con specifico riferimento alla responsabilità degli enti pubblici in relazione a sinistri riconducibili all'assetto della sede stradale, costituiscono principi acquisiti nella giurisprudenza di questa Corte: a) che sussiste un obbligo generale di adottare, nonostante la discrezionalità della P.A., misure atte a scongiurare situazioni di obiettivo pericolo; b) che, per le strade aperte al traffico, è configurabile la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. dell'ente pubblico proprietario, una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia della strada stessa, salvo che quest'ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno; o) che, in particolare, l'ente proprietario supera la presunzione di colpa quando la situazione che provoca il danno si determina non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza della strada, ma in maniera improvvisa, atteso che solo quest'ultima - al pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine al verificarsi del fatto - integra il caso fortuito 6 Corte di Cassazione - copia non ufficiale previsto dall'art. 2051 cod. civ. quale scriminante della responsabilità del custode. Si ritiene, in sintesi, che agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito è in linea generale applicabile l'art. 2051 cod. civ., in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, indipendentemente dalla sua estensione (Cass. 29 marzo 2007, n. 7763;Cass. 2 febbraio 2007, n. 2308; Cass., 3.4.2009, n. 8157).
 Civile Sent. Sez. 3 Num. 15761 Anno 2016 Presidente: AMENDOLA ADELAIDE Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA Data pubblicazione: 29/07/2016

GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA E ORDINARIA

Come è noto, il legislatore del 1998, con l’art. 34 del D.Lgs. n. 80 ha istituito la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo in materia urbanistica ed edilizia.
Successivamente, le note sentenze della Corte costituzionale nn. 204/2004, 191/2006 e 140/2007 hanno precisato, da un lato, che la mera partecipazione della Pubblica Amministrazione al giudizio non sia elemento sufficiente perché si radichi la giurisdizione del Giudice Amministrativo, e, dall’altro lato, che non sia parimenti sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al Giudice Amministrativo.
In particolare, dette sentenze hanno escluso dal novero delle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, quelle relative a meri comportamenti della Pubblica Amministrazione, svincolati dal contestuale esercizio, da parte di questa, di un potere autoritativo.
A seguito di queste decisioni si è sviluppato un ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza circa la nozione di comportamenti meri della Pubblica Amministrazione e comportamenti amministrativi non destinati a sfociare nell’adozione di un atto, e ciò nonostante legati all’esercizio del potere, i quali invece restano nell’alveo della giurisdizione amministrativa.
Tali orientamenti sono poi stati traslati nel codice del processo amministrativo all’art. 7, che condiziona l’esistenza di una giurisdizione amministrativa in relazione a comportamenti della Pubblica Amministrazione, purché questi siano almeno mediatamente riconducibili all’esercizio del potere pubblico.
Secondo le Sezioni Unite, la tutela giurisdizionale contro l'agire illegittimo della Pubblica Amministrazione spetta al Giudice Ordinario tutte le volte che il diritto del privato non sopporti una lesione per effetto di un potere esercitato in modo illegittimo o, se questo avvenga, quante volte l'azione della Pubblica Amministrazione non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere, ma sia stato il risultato di un mero fatto (cfr. ex multis, Cass., Sez. Un., 2 luglio 2009, n. 15469; Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7160).
Per la Cassazione, dunque, la giurisdizione del Giudice Amministrativo presuppone un collegamento con l'esercizio “in concreto” del potere amministrativo; va esclusa, pertanto, quando l'Amministrazione agisca in posizione di parità con i soggetti privati, ovvero quando l'operare del soggetto pubblico sia ascrivibile a mera attività materiale, priva di una copertura provvedimentale.

AZIONE DI OTTEMPERANZA E PROCEDIMENTO ESPROPRIATIVO ORDINARIO

Con riferimento alla eccezione in ordine alla asserita inammissibilità della proposta azione di ottemperanza, stante il concomitante avvio, da parte dei ricorrenti, del procedimento espropriativo ordinario, va evidenziato che secondo Cass. civ., Sez. Un., 31 marzo 2006, n. 7578 e Cons. Stato, Sez. V, 12 novembre 2001, n. 5788 i due rimedi in esame (ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo ed ordinaria procedura esecutiva dinanzi al giudice ordinario) sono complementari e concorrenti.

giovedì 29 settembre 2016

TRASFERIMENTO D'AUTORITA' DI MILITARI

Secondo la costante giurisprudenza [del] Consiglio di Stato, i provvedimenti di trasferimento d'autorità di militari, ivi compresi quelli assunti per ragioni d'incompatibilità ambientale,
a) sono qualificabili come "ordini", rispetto ai quali l'interesse del militare a prestare servizio in una determinata sede assume, di norma, una rilevanza di mero fatto;
b) non richiedono nemmeno una particolare motivazione, atteso che l'interesse pubblico al rispetto della disciplina ed allo svolgimento del servizio è prevalente sugli altri eventuali interessi del subordinato;
c) non hanno carattere sanzionatorio, ma sono preordinati ad ovviare alla situazione d'incompatibilità ambientale determinatasi;
d) non rileva la situazione d'incompatibilità ambientale venutasi a creare, nel senso che questa prescinde da ogni giudizio di rimproverabilità della condotta dell’interessato;
e) in simili fattispecie, il compito del giudice è limitato al riscontro della effettiva sussistenza della situazione di incompatibilità riscontrata dall'Amministrazione (e costituente presupposto del provvedimento) e della proporzionalità del rimedio adottato dall’Amministrazione stessa per rimuoverla (cfr. da ultimo sez. IV, 15 gennaio 2016, n. 103; sez. IV, 1° aprile 2016, n. 1276; sez. IV, 12 maggio 2016, n. 1909).

DINIEGO PERMESSO DI SOGGIORNO

Il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5 del D.lgs n. 286 del 1998 dispone che il rilascio del permesso di soggiorno sia rifiutato quando manchino i requisiti richiesti per l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato, ossia quando lo straniero risulti, tra l’altro, “condannato, anche con sentenza non definitiva compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art.444 c.p.p., per reati previsti dall’art. 380, commi 1 e 2, c.p.p.”, ovvero quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di reato.
           In relazione a tali reati, il giudizio di pericolosità sociale e di minaccia per l'ordine pubblico è stato presunto dal legislatore, in considerazione della gravità degli stessi anche sul piano penale o in relazione al particolare allarme sociale che provocano nella comunità.
         L'orientamento giurisprudenziale consolidatosi sul punto è nel senso che le ipotesi di cui all’art. 4, co. 3, precludano tassativamente il rilascio del permesso di soggiorno in favore del cittadino extracomunitario che sia incorso nei reati ivi previsti (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 1024/2015 e 112/2015).
  Tale presunzione legislativa è stata inoltre ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale, che, nella sentenza n. 148 del 2008, ha escluso che possa ritenersi manifestamente irragionevole condizionare l'ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo - come nel caso di specie il tentativo di estorsione, foriero di particolare allarme sociale, essendo peraltro la relativa fattispecie integrata dall’uso di minaccia o violenza - la cui configurazione è immediatamente diretta a tutelare beni giuridici di rilevante valore sociale, di modo che non può ritenersi manifestamente irragionevole la disciplina legislativa che una siffatta condanna assume come circostanza ostativa all'accettazione dello straniero nel territorio dello Stato.
Il giudice delle leggi ha più volte affermato che la“regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione e tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un'ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli” (cfr. sentenza Corte Cost. 16 maggio 2008 n. 148) e che “l’automatismo espulsivo altro non è che un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce anche per gli stranieri presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa” (cfr. sent. Corte Cost. n. 148/2008 cit. e ord. Corte Cost. n. 146/2002).
      Né la circostanza che la contestata norma ritenga sufficienti, al fine di impedire il rilascio del permesso di soggiorno, anche sentenze di condanna non definitive, vale a rendere la disposizione manifestamente irragionevole.
Il rilievo degli interessi pubblici tutelati attraverso la normativa che disciplina ingresso e permanenza dello straniero nel territorio dello Stato, giustificano, infatti, una valutazione implicita di pericolosità derivante dal mero fumus di colpevolezza, quantomeno nelle ipotesi – come quella di specie – in cui l’addebito abbia ad oggetto reati che per la loro specifica natura esprimono un rilevante grado di allarme sociale, tanto da rendere obbligatorio l'arresto in flagranza.
8. Alla luce delle superiori premesse, dunque, in presenza di condanna, anche non definitiva, per uno dei reati di cui all’art. 380 c.p.p. all’Amministrazione, in sede di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, è preclusa qualunque valutazione discrezionale in ordine alla pericolosità sociale del richiedente, essendo questa postulata dal legislatore, sulla base di un’articolata valutazione legata alla oggettiva gravità del fatto storico in relazione al titolo di reato, cui peraltro il provvedimento gravato fa rinvio, non senza evidenziare di condividerne il sotteso giudizio di oggettiva pericolosità sociale.

TRASFERIMENTO PER ASSISTENZA PORTATORE DI HANDICAP

 [è INDISPENSABILE LA ] comparazione fra la situazione antecedente al declassamento dello stato di handicap del genitore del ricorrente e la situazione successiva a detto declassamento, ai fini della giustificazione compiuta della scelta organizzativa in concreto adottata.
la circolare del 2003, n. 3582/6032, [Polizia Penitenziaria] contempla la facoltà (e non l’obbligo) dell’Amministrazione di revocare il trasferimento al venir meno dei presupposti, contemperando, tuttavia, le esigenze di servizio con quelle familiari, nonché con quelle di altri dipendenti.
Tanto rappresenta certamente un autovincolo che l’Amministrazione si è imposta in sede istruttoria. Esso, nel caso di specie non risulta osservato in quanto la valutazione della situazione del padre del ricorrente (che, se pur declassata, si manifesta non certo del tutto risolta ed esente da profili di gravità in sé per il tipo di patologia), comparata alle esigenze indicate dalla stessa circolare, non emerge in modo esplicito.
Peraltro, nel caso di specie il difetto di istruttoria risulta vieppiù evidente ove si consideri che le tempestive controdeduzioni dell’interessato del 20 aprile 2016 non sono state per nulla valutate dall’Amministrazione decidente, per essere state trasmesse in ritardo dalla casa circondariale di Bari alla Direzione generale del Personale dell’intimato Ministero, cui risultano pervenute solo in data 9 maggio 2016, ovvero successivamente all’adozione del provvedimento di revoca del 2 maggio 2016, così come riconosciuto dalla stessa Amministrazione (cfr.nota Ministeriale del 25 luglio 2016, in atti).

LOTTIZZAZIONE ABUSIVA

l'art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001, la lottizzazione abusiva materiale implica la realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica e edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni di legge o degli strumenti urbanistici, sia in assenza della prescritta autorizzazione.
3.1.- La formulazione dell'art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 consente, quindi, di affermare che può integrare un'ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opera in concreto idonea a stravolgere l'assetto del territorio preesistente ed a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, pertanto, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione del territorio (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un nuovo e non previsto carico urbanistico.
3.2.- E’ stato infatti ritenuto che qualunque intervento o costruzione non autorizzati, pur se realizzati in tempi diversi, che siano idonei a stravolgere l'assetto del territorio rendendone impraticabile la programmazione, integra gli estremi della lottizzazione abusiva, sicché anche la sola realizzazione di una strada, comportando un mutamento del precedente assetto del territorio, costituisce opera di trasformazione urbanistica che necessita di un titolo abilitativo, tanto più qualora essa sia destinata a permettere il transito da e verso singoli lotti (Consiglio Stato sez. IV 8 maggio 2003 n. 2445; Consiglio Stato, sez. IV, 1 giugno 2010, n. 3475; Consiglio Stato, sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6560).
3.4.- La lottizzazione abusiva è dunque un fenomeno unitario che trascende la consistenza delle singole opere di cui si compone e talora ne prescinde, come nel caso del mutamento di destinazione d’uso di complessi edilizi regolarmente assentiti, e assume rilevanza giuridica per l’impatto che determina sul territorio interferendo con l’attività di pianificazione, conservazione dei valori paesistici e ambientali, dotazione e dimensionamento degli standard, di guisa che la diversa conformazione materiale che deriva dall’attività di lottizzazione, se non rimossa, da un lato impedisce la realizzazione del diverso progetto urbanistico stabilito dagli organi preposti al governo del territorio, dall’altro impone l’adeguamento delle infrastrutture esistenti, o la realizzazione di nuove, per far fronte al carico urbanistico derivante dalla lottizzazione.
Ne consegue che la verifica circa la conformità della trasformazione realizzata e la sua rispondenza o meno alle previsioni delle norme urbanistiche vigenti deve essere effettuata con riferimento non già alle singole opere in cui si è compendiata la lottizzazione, eventualmente anche regolarmente assentite (giacché tale difformità è specificamente sanzionata dagli artt. 31 e ss. D.P.R. n. 380/2001), bensì alla complessiva trasformazione edilizia che di quelle opere costituisce il frutto, sicché essa conformità ben può mancare anche nei casi in cui per le singole opere facenti parte della lottizzazione sia stato rilasciato il permesso di costruire” (Consiglio di Stato (IV, 3381/2012).

ACCESSO AGLI ATTI

“La giurisprudenza, con riguardo all’interesse dell'impiegato all'accesso degli atti inseriti nel proprio fascicolo personale, ha da tempo risalente riconosciuto a quest’ultimo una situazione particolare, tale da consentire di prescindere anche dalla esplicitazione delle ragioni per le quali chiede l’ostensione di tali documenti, posto che i motivi di tale richiesta devono ritenersi in re ipsa, cioè nella circostanza di essere, o di essere stato, titolare di un rapporto di dipendenza dalla pubblica amministrazione, e di poter, pertanto, vantare una posizione giuridicamente tutelata alla conoscibilità di tali atti, indipendentemente dalla circostanza che, dall'esame dei documenti richiesti, possa o meno scaturire la proposizione di una domanda giudiziaria ammissibile e fondata ovvero a prescindere dalla sussistenza di un interesse concreto ed immediato alla verifica della documentazione per cui ha avanzato istanza (CdS, Sez. IV, 727/1996; CdS, Sez. IV, 10 settembre 1996)”. Così TAR Campania, Salerno, sez. 2, sent. 19/2/14 n.407.

martedì 27 settembre 2016

Giunga fino a te la mia preghiera

Giobbe (3, 1-3.11-17.20-23) «era nei guai» perché «aveva perso tutto. Tutti i suoi beni, anche i suoi figli. E poi si era ammalato di una malattia che assomiglia alla lebbra..la sua sofferenza era tale che aprì la bocca e maledisse il suo giorno, quello che gli accadeva», dicendo: «Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio”. Tutto questo sarebbe stato meglio che non fosse stato, che non fosse accaduto. Meglio la morte che vivere così».
 «la Bibbia dice che Giobbe era giusto, era santo». 
 Giobbe «non maledisse Dio. Soltanto si sfogò e questo era uno sfogo: uno sfogo di figlio davanti al Padre». Un po’ come fece il profeta Geremia, dice al Signore: “Io sono stato sedotto da Te, Signore”»; ma subito dopo, come Giobbe, anche Geremia dice: «Maledetto il giorno nel quale io sono stato concepito». Eppure «questi due casi non sono bestemmie: sono sfoghi». Entrambi «si sfogano davanti a Dio così», perché «tutti e due erano in una grande desolazione spirituale».
..La desolazione spirituale  «una cosa che accade a tutti: può essere più forte, più debole... Ma, quello stato dell’anima oscuro, senza speranza, diffidente, senza voglia di vivere, senza vedere la fine del tunnel, con tante agitazioni nel cuore e anche nelle idee», lo vive ogni donna e ogni uomo. «La desolazione spirituale  ci fa sentire come se avessimo l’anima schiacciata», che «non vuol vivere: “Meglio è la morte!” è lo sfogo di Giobbe; meglio morire che vivere così».
..quando il nostro spirito è in questo stato di tristezza allargata, che quasi non c’è respiro, noi dobbiamo capire cosa succede nel nostro cuore», 
 domandarsi «cosa si deve fare quando viviamo questi momenti oscuri, per una tragedia familiare, una malattia, qualche cosa che butta giù». 
 quando siamo tiepidi, giù, senza speranza [ci ricorda] il salmo responsoriale: «Giunga fino a te la mia preghiera, Signore»
La prima cosa da fare è pregare. «Preghiera forte, forte, forte» ha scandito Francesco, 
“Signore, Dio della mia salvezza, davanti a Te grido giorno e notte”: le parole sono forti! È quello che ha fatto Giobbe: “Grido, giorno e notte. Per favore, tendi l’orecchio alla mia supplica”». Insomma «è una preghiera» che consiste nel «bussare alla porta, ma con forza: “Signore, io sono sazio di sventure. La mia vita è sull’orlo degli inferi. Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa, sono come un uomo ormai senza forze”».
Nella vita, ha osservato il Papa «quante volte ci sentiamo così, senza forze». Ma «lo stesso Signore ci insegna come pregare in questi brutti momenti: “Signore, mi hai gettato nella fossa più profonda. Pesa su di me il tuo furore. Giunga fino a te la mia preghiera”. 
Questa è la preghiera: così dobbiamo pregare nei momenti più brutti, più oscuri, più di desolazione, più schiacciati, che ci schiacciano»
....«davanti a una persona che è in questa situazione, le parole possono fare male. Soltanto, toccarlo, essere vicino», in modo «che senta la vicinanza, e dire quello che lui domanda; ma non fare discorsi».
 «quando una persona soffre, quando una persona è nella desolazione spirituale, si deve parlare il meno possibile e si deve aiutare con il silenzio, la vicinanza, le carezze la sua preghiera davanti al Padre».
 il Signore ci aiuti: primo, a riconoscere in noi i momenti della desolazione spirituale, quando siamo nel buio, senza speranza, e domandarci perché; 
 pregare come oggi ci insegna la liturgia con questo salmo 87 nel momento del buio — “giunga fino a te la mia preghiera, Signore”». 
 «quando mi avvicino a una persona che soffre», sia per una malattia sia per qualsiasi altra circostanza, «ma che è proprio nella desolazione: silenzio». Un silenzio, ha concluso «con tanto amore, vicinanza, carezze. E non fare discorsi che alla fine non aiutano e, anche, fanno del male».

venerdì 23 settembre 2016

AUTORIZZAZIONE E ACCREDITAMENTO STRUTTURE SANITARIE IN PUGLIA

differenza tra Autorizzazione e Accreditamento
l’autorizzazione e l’accreditamento, alla stregua della vigente normativa statale e regionale in subiecta materia, perseguono obiettivi diversi e presuppongono distinti accertamenti, solo in parte coincidenti.
L’autorizzazione all’esercizio accerta il possesso dei requisiti minimi strutturali, tecnologici e organizzativi richiesti in capo alla struttura richiedente (cfr. artt. 6, comma 1, e 8, comma 5, della l.r. n. 8/2004, come precisati nei successivi regolamenti regionali n. 3/2005 e 3/2010), sia in ipotesi di apertura di nuove strutture sia in caso di ampliamento o trasformazione di strutture già esistenti (cfr. artt. 5 e 19 della richiamata l.r. n. 8/2004); l’accreditamento, pur presupponendo il possesso dei predetti requisiti (cfr. combinato disposto art. 20, comma 3, e 21, comma 2, lett. a) e d), e 25 della stessa l.r.), “si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale” (cfr. art. 20, comma 3, cit.; cfr. anche l’art. 21, comma 2, lett. e), pure sopramenzionato).
Inoltre, l’accreditamento ha ad oggetto “le strutture sanitarie e relative funzioni” (art. art. 20, comma 5) e “..si intende conferito esclusivamente al soggetto e per la sede della struttura così come risulta dall’atto che lo concede” (art. 28 bis, comma 1); con la doverosa precisazione, per quanto qui rileva, che in relazione all’attività di diagnostica per immagini la disciplina regolamentare regionale cui la normativa di rango primario rinvia (regolamenti nn. 3/2005 e 3/2010), non distingue -ai fini della verifica dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi- a seconda che l’attività stessa venga svolta in modo tradizionale ovvero con grandi macchine. Né simili distinzioni si rinvengono nelle disposizioni che disciplinano le procedure di accreditamento.
Pertanto: a) l’accreditamento ha luogo per soggetto esercente, in relazione ad una certa struttura e in riferimento all’esercizio di prestazioni individuate per tipologia; b) quanto alle prestazioni di radiodiagnostica per immagine, posto che –come chiarito- la legislazione di riferimento non distingue a seconda delle modalità con le quali vengano espletate, l’utilizzo di grandi macchine si risolve in una “estensione” degli strumenti tradizionali di indagine.
Tar Bari 

lunedì 19 settembre 2016

RISARCIMENTO DEL DANNO

il risarcimento del danno, ha natura di credito di valore da determinarsi con riferimento alla data di liquidazione definitiva dell’equivalente monetario.
Ne consegue che, quando ne siano accertati gli elementi costitutivi, il maggior ammontare dovuto per la svalutazione monetaria e gli interessi legali a compensazione della presumibile redditività dell’immobile riconosciuti in sentenza, costituisce un accessorio strettamente connesso al diritto stipite – valore venale dei suoli - che ben può essere liquidato in sede di ottemperanza, non costituendo la relativa questione materia di nuova cognizione.

SILENZIO PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

il rito del silenzio, per giurisprudenza consolidata, postula l’inerzia nell’esercizio del potere che l’amministrazione è tenuta ad esercitare a fini di interesse pubblico o, come recentemente affermato, l'adozione di un provvedimento amministrativo ad emanazione vincolata, ma di contenuto discrezionale (ex multis, cfr. C.d.S., sez. V, 26.9.2013, n. 4793), mentre nel caso .... viene chiesto l’adempimento di una prestazione asseritamente dovuta iure privatorum a soddisfazione del diritto alla rinegoziazione delle condizioni contrattuali che sarebbero divenute inique per fatti sopravvenuti ha chiaramente natura di diritto soggettivo (COMPETENZA GIUDICE ORDINARIO)

giovedì 15 settembre 2016

madre anche nel dolore

Maria aveva una sofferenza tanto grande, ma non se ne è andata. Non rinnegò il Figlio! Era la sua carne”.

privacy europea

L'Unione europea, come già da tempo, richiede maggior attenzione nella gestione dei "dati personali" a conferma di ciò è l'approvazione del Regolamento europeo di protezione dati, che dal 25 maggio 2018 diverrà direttamente applicabile
Tra le novità il data protection officer, soggetto che informi il titolare del trattamento degli obblighi derivanti dal regolamento, lo consigli circa la loro corretta esecuzione e vigili sul loro effettivo adempimento.

INDENNITA' DI TRASFERTA PER MISSIONE

la giurisprudenza amministrativa prevalente (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2005, n. 2877) afferma che l’indennità di trasferta per missione ex art. 1 legge n. 836/1973 compete in caso di temporanea assegnazione ad una sede diversa da quella ordinaria, a prescindere dalla formale ed esplicita dicitura dispositiva dell’invio in missione:
“Il diritto al trattamento economico di missione di cui all’art. 1, l. 18 dicembre 1973 n. 836, risulta costituito in capo al dipendente per il solo fatto della sua temporanea assegnazione ad una sede diversa da quella ordinaria di servizio, purché distante almeno 30 chilometri da quest’ultima, pertanto a nulla rileva il fatto che l’atto organizzativo di attribuzione all’interessato di un incarico continuativo in una località diversa da quella di assegnazione non rechi la formale ed esplicita dicitura dispositiva dell’invio in missione, ma quella (del tutto neutra ed atecnica) di distacco.”.
Pertanto, ciò che rileva è la circostanza in forza della quale il dipendente, sia pure per un lasso di tempo determinato, svolge la propria prestazione lavorativa presso una sede di servizio diversa da quella ordinariamente assegnata e presso la quale resta incardinato, non sostanziando il distacco un vero e proprio trasferimento d’ufficio.

martedì 13 settembre 2016

incontro


La Fe De María - Son By Four (Ítala Rodriguez / #Dones)

AZIONE DI OTTEMPERANZA

consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (formatosi già prima dell'articolo 112, secondo comma, lettera c), del codice del processo amministrativo), secondo il quale per il decreto ingiuntivo, se divenuto esecutivo e definitivo, dato il suo relativo consolidamento, a norma degli articoli artt. 653 e ss. del c.p.c., è d’ammettersi l'azione di ottemperanza (Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 2003, n. 3031; Sez. V, 9 novembre 2004 n. 7236; Sez. IV, 3 aprile 2006, n. 1713; Sez. V, 19 marzo 2007, n. 1301; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 28 maggio 2009, n. 2983).

lunedì 12 settembre 2016

onere della prova

per principio generale nel nostro ordinamento l’onere della prova, sia sul piano sostanziale sia su quello processuale, spetta a colui che avanza una pretesa o una domanda, per cui in un procedimento disciplinare è ineludibile la necessità di un adeguato riscontro probatorio della addebitabilità dei fatti di cui l’incolpato è responsabile sotto il profilo disciplinare

fatto notorio

essendo fatto notorio che per molti motivi negli ambienti con forte componente gerarchica si possono sviluppare forti tensioni interne .
Consiglio di Stato
http://www.gazzettaamministrativa.it/opencms/opencms/_gazzetta_amministrativa/_monopoli_di_stato/archivio_sentenze_ordinanze_tar_new.html

domenica 11 settembre 2016

CLAIMS MADE

il contratto di assicurazione per responsabilità civile con clausola clalms made (a richiesta fatta) 
si caratterizza per li fatto che la copertura è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza (o anche in un delimitato arco temporale successivo, ove sia pattuita la c.d. sunset dose), laddove, secondo lo schema denominato "loss occurrence", o "insorgenza del danno", sul quale è conformato il modello delineato nell'art. 1917 cod. civ., la copertura opera in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nel periodo di durata del contratto. 
La sua introduzione, circoscrivendo l'operatività della assicurazione a soli sinistri per i quali nella vigenza del contratto il danneggiato richieda all'assicurato il risarcimento del danno subito, e il danneggiato assicurato ne dia comunicazione alla propria compagnia perché provveda a tenerlo indenne, consente alla società di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte alle relative obbligazioni, con quel che ne consegue, tra l'altro, in punto di facilitazione nel calcolo del premio da esigere. 
Vìè variegata tipologia di clausole claims made offerte dalla prassi commerciale, schematizzando al massimo, appaiono sussumibili in due grandi categorie: 
a) clausole c.d. miste o impure, che prevedono l'operatività della copertura assicurativa solo quando tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con retrodatazione della garanzia, in taluni casi alle condotte poste in essere anteriormente (in genere due o tre anni dalla stipula del contratto);
 b) clausole c.d. pure, destinate alla manleva di tutte le richieste risarcitorie inoltrate dal danneggiato all'assicurato e da questi all'assicurazione nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito. 
la clausola clarniors made impura, che è quella che qui interessa, mirando a circoscrivere la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo, rispetto al dato costituito dall'epoca in cui è stata realizzata la condotta lesiva, si inscrive a pieno titolo nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, entro i quali, a norma dell'art. 1905 cod. civ., l'assicuratore è tenuto a risarcire il danno sofferto dall'assicurato. E poiché non è seriamente predicabile che l'assicurazione della responsabilità civile sia ontologicamente incompatibile con tale disposizione, il patto claims made è volto in definitiva a stabilire quali siano, rispetto all'archetipo fissato dall'art. 1917 cod. civ., i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l'oggetto, piuttosto che la responsabilità.
nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l'operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola clams made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata. 

sabato 10 settembre 2016

al giudice ordinario le controversie di selezione non concorsuali

la Corte regolatrice della giurisdizione ha stabilito che le controversie attinenti ad una procedura di selezione "idoneativa" e "non concorsuale" avviata per il conferimento di un incarico dirigenziale (nella specie, di dirigente di struttura complessa), aventi ad oggetto atti adottati in base alla capacità ed ai poteri propri del datore di lavoro privato, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario(cfr. Cass. civ., SS.UU., n. 2031/2008; n. 17461/2006; n. 15304/2014; di recente richiamate da Cons. Stato, Sez. III, n. 3815/2015 e n. 1631/2016);

venerdì 9 settembre 2016

GIURISDIZIONE IN TEMA DI ESECUZIONE ACCORDI PA

secondo pacifica giurisprudenza, nelle controversie concernenti l'affidamento e l'esecuzione degli appalti pubblici, la potestà cognitiva delle condotte e dei provvedimenti assunti prima della definizione della procedura di affidamento dei contratti di appalto (di lavori, servizi e forniture) o nella fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto dev'essere ascritta entro il perimetro della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre la cognizione di quelli afferenti all'esecuzione dell'accordo negoziale appartiene alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, fatta tuttavia eccezione per i casi, espressamente riservati alla giurisdizione esclusiva amministrativa, relativi al divieto di rinnovo tacito dei contratti, alla revisione dei prezzi e al loro adeguamento (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 10 novembre 2015 n. 5116, Cass. Civ., sez. un., 8 luglio 2015, n. 14188)

RIUNIONE DEI RICORSI DINANZI AL TAR

“E’ noto che, in via generale, la riunione dei ricorsi, per ragioni di connessione (art. 70 cpa), può essere disposta in riferimento a cause che attengono al medesimo tipo di giudizio e sempre che i ricorsi pendano nel medesimo “grado”
Tanto si ricava, sempre in via generale, oltre che dalla lettura delle disposizioni del codice di procedura civile (cui il codice del processo amministrativo effettua rinvio: art. 39, comma 1, cpa), anche dalle norme dello stesso Codice del processo amministrativo. 
Infatti, l’art. 32, nel disciplinare l’ipotesi di “pluralità delle domande e conversione delle azioni”, prevede che “è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse”.
Nondimeno, l’adunanza ritiene che i due giudizi in questione, pur nella evidente differenza di tipologia, debbano essere trattati in modo unitario.
Ed infatti, proprio perché ciò che viene richiesto al giudice, sia pure per il tramite dell’instaurazione di due distinti giudizi, è innanzi tutto la concreta e precisa configurazione della patologia dell’atto adottato (precisamente: se esso debba essere considerato nullo, in quanto elusivo o violativo di giudicato, ovvero illegittimo per vizi propri e per la prima volta rilevabili), il giudice stesso non può che essere chiamato ad un esame complessivo della vicenda.
L’instaurazione di due distinti giudizi – che è conseguenza di una incertezza derivante dallo stesso ordinamento processuale – non elimina la sostanziale unicità di una domanda che presuppone implicitamente la richiesta al giudice, insieme all’esame della natura della patologia dell’atto, la corretta qualificazione della tipologia dell’azione. Il che, come è evidente, non può che avvenire se non attraverso un esame congiunto e comparativo delle due domande, ancorché le stesse introducano – per effetto del sistema processuale vigente – due giudizi tipologicamente distinti, l’uno di cognizione l’altro di ottemperanza.
Fermi, dunque, i principi generali in tema di riunione sopra individuati, in questo caso - provvisto di una sua evidente specificità - la riunione dei ricorsi appare coerente con il principio di effettività (completezza) della tutela giurisdizionale, rendendo possibile la valutazione complessiva del giudice di una pretesa di parte sostanzialmente unitaria” (Cons. Stato, Ad. Plenaria, 15 gennaio 2013, n. 2).

competenza giudice ordinario per l'indennità espropriativa

È  del Giudice Ordinario la giurisdizione in tutte le controversie attinenti alla corresponsione di indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa, stante il chiaro disposto dell’art. 133, co. 1, lett. g) cpa che, nell’attribuire alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo “le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità” fa espressamente salva la giurisdizione del Giudice Ordinario “per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa ed ablativa”.

TRASFERIMENTO PER ASSISTENZA EX L . 104/92

ritiene il TAR di Bari che il provvedimento di revoca (di un permesso ex legge 104/92 ndr) debba tener conto della situazione complessiva di fatto venutasi a determinare al momento della sua adozione e debitamente esposta ... all’Autorità procedente.
L’Amministrazione, dunque, laddove le vengano rappresentati ulteriori requisiti idonei a confermare (sia pure in base a nuovi elementi) il precedente provvedimento di trasferimento ed ostativi alla sua revoca, non può non tenerne conto essendo tenuta ad una puntuale valutazione degli stessi .
Tanto è imposto da plurimi principi di grado anche costituzionale.
In primo luogo è giustificato dai principi generali in materia di revoca che impongono la valutazione complessiva delle sopravvenienze.
Una valutazione solo parziale delle stesse, infatti, oltre a confliggere con i principi di ragionevolezza e buona fede, si pone in contrasto anche con quello di economia procedimentale.
Infatti, una valutazione parcellizzata delle sopravvenienze potrebbe determinare la revoca del provvedimento in ragione del venir meno del presupposto legittimante e la successiva nuova concessione del beneficio in considerazione degli ulteriori requisiti legittimanti (rappresentati all’amministrazione).
Ne risulterebbe in modo evidente anche la violazione del principio costituzionale di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.
Tar Bari pubblicata 01094/2016 

PRINCIPIO DISPOSITIVO E PROVA TESTIMONIALE GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

PRINCIPIO DISPOSITIVO E PROVA TESTIMONIALE
nel giudizio amministrativo vige il principio dispositivo - acquisitivo dei mezzi istruttori, pur dandosi atto che la prova testimoniale introdotta dall’art. 63 c.p.a. è stata riconosciuta come strumento generalmente utilizzabile nel processo amministrativo (Cons. Stato Sez. III, 23 luglio 2012 n. 1069)

PROVE ATIPICHE

le prove raccolte in processi svoltisi dinanzi a giudici successivamente riconosciuti privi della potestas iudicandi, assumono la consistenza di argomenti di prova rientrando fra le c.d. prove atipiche soggette a rigorose condizioni di valutazione (cfr. Cass. civ., sez. II, n. 5440 del 2010).
Non si può ravvisare nella “valutazione critica” operata dal T.a.r. alcuna “ingerenza” in decisioni emesse da un giudice appartenente ad altro ordine giudiziario e in ogni caso, a tutto voler concedere, vale qui richiamare il principio secondo il quale il potere del giudice di libera valutazione delle prove ex art. 116 c.p.c. non consente allo stesso di attribuire efficacia probatoria esaustiva e vincolante a indizi o argomenti di prova.

DINIEGO RINNOVO PERMESSO DI SOGGIORNO

L' art. 5, comma 5,  testo unico 25 luglio 1998, n. 286 , come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 e ulteriormente inciso dalla sentenza costituzionale 18 luglio 2013, n. 202.
prevede infatti che 
«nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale».
V'è di contro corretta l'espulsione, in caso di grave condanna penale, o  giudizio di pericolosità sociale che è rimesso alla prudente e discrezionale valutazione dell’Autorità di pubblica sicurezza e può trarre giustificazione da comportamenti o situazioni (che in taluni casi possono essere non ancora definitivamente sanzionati in sede penale), con una valutazione indiziaria della condotta dell’interessato, fondata su dati di esperienza generalizzati che corrispondono all’id quod plerumque accidit.
....PREVALE LA TUTELA DELL'INTERESSE PUBBLICO
l’esigenza di salvaguardare l’unità familiare non può prevalere su quella di tutela della comunità, anche in ragione del fatto che tale unità familiare non ha agito da deterrente per impedire la commissione del reato; dall’altro, che il periodo di permanenza sul territorio dello stato dell’appellante non soddisfa la condizione di c.d. lungo soggiornante, 

ARCHIVIAZIONE ART 411, C0 1, C.P.P.


Sentenza n. 36857 ud. 07/07/2016 Cass. pen.

LEGITTIMAZIONE A RICORRERE NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO

Nel processo amministrativo la legittimazione a ricorrere 
presuppone il riconoscimento dell'esistenza di una situazione giuridica attiva, protetta dall'ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall'Amministrazione, investita dall'azione esperita
di conseguenza, in sé considerata, la semplice possibilità di ricavare dall'invocata decisione di accoglimento una qualche utilità pratica, indiretta ed eventuale, ricollegabile in via meramente contingente ed occasionale al corretto esercizio della funzione pubblica censurata, non dimostra la sussistenza della posizione legittimante, nel senso che siffatto possibile vantaggio ottenibile dalla pronuncia di annullamento non risulta idoneo a determinare, da solo, il riconoscimento di una situazione differenziata, fondante la legittimazione al ricorso; 
occorre, invece, una ulteriore condizione-elemento che valga a differenziare il soggetto, cui essa condizione-elemento si riferisce, da coloro che avrebbero un generico interesse alla legalità dell'azione amministrativa, essendo quest'ultimo interesse riconosciuto non al quisque de populo, ma solamente a quel soggetto che si trovi, rispetto alla generalità, in una posizione legittimante differenziata».
«Nel giudizio amministrativo, fatta eccezione per ipotesi specifiche in cui è ammessa l'azione popolare (ad esempio il giudizio elettorale), non è invero consentito adire il giudice al solo fine di conseguire la legalità e la legittimità dell'azione amministrativa, se ciò non si traduca anche in uno specifico beneficio in favore di chi la propone, che dallo stesso deve essere dedotto ed argomentato. Ciò in quanto in detto processo l'interesse a ricorrere è condizione dell'azione e corrisponde ad una specifica utilità o posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita, contraddistinto indefettibilmente dalla personalità e dall'attualità della lesione subita, nonché dal vantaggio ottenibile dal ricorrente
in sostanza, sussiste interesse al ricorso se la posizione azionata dal ricorrente lo colloca in una situazione differente dall'aspirazione alla mera ed astratta legittimità dell'azione amministrativa genericamente riferibile a tutti i consociati, 
se sussiste una lesione della sua posizione giuridica, se è individuabile un'utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento e se non sussistono elementi tali per affermare che l'azione si traduce in un abuso della tutela giurisdizionale» (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 gennaio 2016, n. 265)

giovedì 8 settembre 2016

titolo edilizio in sanatoria

Tra i requisiti indefettibili per il rilascio titolo edilizio in sanatoria, va annoverata anche la circostanza che l’istanza di sanatoria provenga da un soggetto qualificabile come proprietario dell’edificio oggetto degli interventi della cui sanatoria giuridica si tratti (cfr. sul punto in questione e sui limiti ed obblighi che incontra il comune nel vagliare gli ostacoli di ordine civilistico al rilascio del titolo edilizio ordinario, o per accertamento di conformità, o per condono edilizio straordinario, Cons. Stato, Sez. IV, n. 2116 del 2016; n. 4818 del 2014; Sez. V, n. 5894 del 2011, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).
La regola sopra esposta deve essere ulteriormente precisata nel senso che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene, pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso. Non può invece riconoscersi legittimazione, al contrario, al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l’evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento.
In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio - sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati - dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull’immobile, potendosi ritenere d’altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari.
In carenza della situazione da ultimo descritta, il titolo edilizio, volto alla realizzazione o al consolidamento dello stato realizzativo di operazioni (incidenti su parti non rientranti nell’esclusiva disponibilità del richiedente) non potrà essere né richiesto – non avendo il soggetto titolo per proporre tale istanza – né, ovviamente, rilasciato - non sussistendo i presupposti per l’emissione dello stesso - in modo legittimo dalla P.A. (Cons. Stato Sez. VI, 10 ottobre 2006 n. 6017; Cons. Stato Sez. V, 24 settembre 2003 n. 5445; Cons. Stato Sez. V, 5 giugno 1991 n. 883).
Ebbene, nel caso all’esa

mercoledì 7 settembre 2016

autodifesa nel processo penale - limiti

la normativa interna, la quale esclude la difesa personale della parte nel processo penale e nei procedimenti incidentali che accedono allo stesso, non si pone in contrasto con l'art. 6 paragrafo terzo lett. c) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che prevede la possibilità di autodifesa; è stato infatti ritenuto dalla CEDU sul tema della difesa personale della parte nel processo penale o in procedimenti incidentali che accedono allo stesso, che il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7786 del 29/01/2008 dep. 20/02/2008 Rv. 239237. (Conf. sent. nn. 7787, 7788, 7789 del 2008, non massimate). Tali conclusioni si basano sul consolidato orientamento della Corte costituzionale che, fin dalla sentenza n. 188 del 1980, ha osservato che alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il cui art. 6, n. 3, lett. c) prevede la possibilità di autodifesa esclusiva, non può attribuirsi il significato proposto dal ricorrente; in tale occasione il giudice delle leggi ha osservato che "la Commissione stessa ha avuto occasione di affermare che il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali (ric. 722/60)" e che nei giudizi dinanzi ai Tribunali Superiori "nulla si oppone ad una diversa disciplina purché emanata allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia (ric. 727/60 e 722/60)". Peraltro vi è da aggiungere, sotto altro profilo, che è stata ritenuta 9 Corte di Cassazione - copia non ufficiale manifestamente infondata l'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 41, comma primo, cod. proc. pen., per asserita violazione dell'art. 6 CEDU e dell'art. 111 Cost., nella parte in cui consente al giudice collegiale competente di dichiarare inammissibile la richiesta di ricusazione senza previa fissazione dell'udienza camerale, poichè, quanto all'art. 6 CEDU, ne è esclusa l'applicabilità ai procedimenti o subprocedimenti incidentali e, quanto all'art. 111 Cost., rientra nell'insindacabile discrezionalità del legislatore la scelta di graduare forme e livelli differenti di contraddittorio, sia esso meramente cartolare o partecipato, atteso che resta sempre garantito il diritto di difesa (Sez. 2, n. 8808 del 18/02/2010 - dep. 04/03/2010, Di Ilio, Rv. 246455), anche perchè il ricorso può validamente essere proposto anche dall'imputato, ai sensi dell'art. 613 cod. proc. pen. 3. Proprio dunque in relazione al sistema vigente, e con ulteriore riferimento alla CEDU, è stato ritenuto nullo, ex art. 178, comma primo, lett. c) e 179, cod. proc. pen., il provvedimento con cui sia stato nominato (il giudice del riesame in sede di rinvio nomini) difensore d'ufficio - stante l'omesso avviso al difensore di fiducia - la stessa parte, avvocato abilitato all'esercizio avanti le giurisdizioni superiori, in quanto nel processo penale l'autodifesa non è consentita; nel processo penale l'obbligo della difesa tecnica, sancito dagli artt. 96 e 97 cod. proc. pen., esclude che le parti, anche se abilitate all'esercizio della funzione di avvocato, possano essere difese da se stesse, secondo quanto già affermato dal Giudice delle leggi (cfr. C. Cost. Ord. 16.12.2006 n. 8/07) e ribadito da questa Corte (Cass. Sez. Un. Civ. 2006 n. 139). Non è, possibile dunque attribuire rilevanza al richiamo dell'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo (cioè alle "norme del diritto internazionale generalmente riconosciute"), ai fini dell'adeguamento del diritto interno, poiché esso è riferito soltanto alle norme internazionali di natura consuetudinaria e non a quelle di natura pattizia (v. C. Cost. Ord. 421/97 e Sent. 188/80 e Cass., sez. II, 17 maggio 2013, Caldarelli, e Sez. 5, n. 17400 del 02/04/2008 - dep. 28/04/2008, Greco, Rv. 240424). 4. Sempre con riferimento alla Corte europea dei diritti dell'uomo, deve sottolinearsi che la stessa ha puntualizzato che l'art. 6, paragrafo 3 c, cit. - pur riconoscendo a ogni imputato "il diritto di difendersi personalmente o di fruire dell'assistenza di un difensore di sua scelta" - tuttavia non ne ha precisato le condizioni di esercizio, lasciando agli Stati contraenti la scelta di mezzi idonei a consentire al loro sistema giudiziario di garantire siffatto diritto, in modo che si concili con i requisiti di un equo processo (v. C.E.D.U. Sez. III, sent. 27 aprile 2006 sul ricorso n. 30961/03, Sannino/Italia). D'altra parte anche la previsione, contenuta nella disciplina che ha introdotto la competenza penale del giudice di pace, in base alla quale l'offeso può presentare un "ricorso diretto" al giudice di pace, depositandolo nella segreteria del Pubblico Ministero, che provvede alla formalizzazione dell'addebito, in ordine al quale il giudice di pace, se 10 Corte di Cassazione - copia non ufficiale non ritiene il ricorso infondato o inammissibile, dispone la convocazione delle parti innanzi a sé, trova giustificazione nel fatto che il processo penale innanzi al giudice di pace è caratterizzato dalla particolare attenzione a favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra imputato e persona offesa. 5. Pertanto ritiene la Corte che, all'interno del nostro sistema, il legislatore ha predisposto un modello di esercizio del diritto di difesa differenziato per le varie fasi o tipologie dei processi; che tale differenziazione, (che, ad esempio, comprende tra gli altri il procedimento di prevenzione per l'applicazione delle misure personali o reali), segue tuttavia una linea logico-sistematica che regge al vaglio della compatibilità con il dettato costituzionale e con i principi affermati dalla C.E.D.U.; con la conseguenza che, correttamente, è stato ritenuto dai giudici di merito di non esservi stata nel caso di specie alcuna lesione del diritto di difesa (v. anche Sez. U, n. 31461 del 27/06/2006 - dep. 22/09/2006, Passamani). 6. Sulla base di queste premesse deve essere ritenuto principio che conferma la regola generale la disciplina prevista in tema di patrocinio a spese dello Stato, dove il difensore, purché iscritto nell'albo speciale dei patrocinanti davanti alle magistrature superiori, è stato considerato legittimato a proporre personalmente il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di liquidazione delle sue competenze professionali maturate in sede penale, emesso in sede di opposizione, proprio perchè la regola generale della rappresentanza tecnica nel processo penale (art. 613 cod. proc. pen.) è, in questo caso, eccezionalmente derogata a favore dell'avvocato cassazionista, in virtù del rinvio formale che l'art. 170 d.P.R. n. 115 del 2002 opera, in tema di liquidazione di compensi professionali, alla speciale procedura prevista per gli onorari di avvocato dall'art. 29 L. n. 794 del 1942, come modificato dal recente d.lgs. 10 settembre 2011, n. 150, e, indirettamente, alle disposizioni degli artt. 86 e 365 cod. proc. civ.. (Conf. S.U. n. 6817, 30 gennaio 2007, Mulas, non massimata; Sez. U, n. 6816 del 30/01/2007 - dep. 16/02/2007, Inzerillo ed altro, Rv. 235344). 7. Tali conclusioni vanno riaffermate anche con riferimento alla nuova disciplina introdotta dalla Legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense", prevista dall'art. 13, in cui la possibilità del diritto di difendersi da solo è significativamente prevista da una disposizione titolata "Incarico e compenso" che, per il suo carattere generale, come evidenzia il suo inserimento nel Titolo I, Disposizioni generali, artt. 1 -14, non può che rimandare al quadro normativo che specificamente deve essere applicato in materia per ogni singola controversia. La previsione di cui al comma 1 dell'art. 13 della legge citata, secondo la quale " L'avvocato può esercitare l'incarico professionale anche a proprio favore. L'incarico può essere svolto a titolo gratuito", non può che avere, dunque, un valore ricognitivo, rispetto alla disciplina esistente,

deposito cauzionale nelle locazioni

L'obbligo del locatore di un immobile urbano, di corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito cauzionale versato da quest'ultimo ha natura imperativa, in quanto persegue finalità di ordine generale, tutelando il contraente più debole ed impedendo che la cauzione, mediante i frutti percepibili dal locatore, possa tradursi in un incremento del corrispettivo della locazione, con la conseguenza che tali interessi devono essere corrisposti al conduttore anche in difetto di una sua espressa richiesta (Cass. 27 gennaio 1995, n. 979; 21 giugno 2002, n. 9059; 19 agosto 2003, n. 12117; 30 ottobre 2009, n. 23052). Si afferma nel controricorso che l'inderogabilità della previsione non esclude la rinuncia al diritto, da cui l'inesistenza di un reddito tassabile. In realtà, anche alla luce dell'accertamento del giudice di merito, la rinuncia al diritto ha rappresentato la forma della deroga (vietata) alla norma imperativa, e dunque non può riconoscersi un'operatività della rinuncia a prescindere dall'inderogabilità della norma. Mediante la rinuncia agli interessi legali il contratto prevedeva, secondo il giudice di merito, l'infruttuosità del deposito cauzionale. E' proprio dunque la rinuncia che integra la deroga alla norma imperativa. Né può farsi riferimento alla giurisprudenza sull'inderogabilità dei minimi tariffari, stabilito dall'art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato e procuratore, che non trova applicazione nel caso di rinuncia, totale o parziale, alle competenze professionali, perché tale conclusione si fonda sul circostanza che la prestazione d'opera del difensore può essere gratuita - in tutto o in parte - per ragioni varie, oltre che di amicizia e parentela, anche di semplice 6 Corte di Cassazione - copia non ufficiale convenienza, sicché la rinuncia non risulterebbe posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa sui minimi di tariffa (Cass. 27 settembre 2010, n. 20269 — unico limite resta il divieto legale sancito dai citato art. 24, e cioè quello di predeterminare consensualmente l'ammontare dei compensi professionali in misura inferiore ai minimi tariffari). Nel caso del deposito cauzionale relativo alla locazione la rinuncia sarebbe invece strumentale alla violazione della norma imperativa.

martedì 6 settembre 2016

riparazione ingiusta detenzione

nel procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l'operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all'accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell'imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un "iter" logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste 2 Corte di Cassazione - copia non ufficiale come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) alla produzione dell'evento "detenzione"; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell'azione, sia in senso positivo che negativo, compresa l'eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione.

lunedì 5 settembre 2016

locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali

nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della legge n. 392 del 1978 (e, in regime transitorio, dagli artt. 68, 71 e 73 della stessa legge), il conduttore che, alla scadenza del contratto, rifiuti la restituzione dell'immobile, in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità di avviamento, è esonerato solo dal risarcimento del maggior danno ex art. 1591 cod. civ., restando comunque obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto per la locazione, salvo che offra al locatore, con le modalità dell'offerta reale formale ex artt. 1216, comma secondo, e 1209 cod. civ., la riconsegna del bene condizionandola al pagamento dell'indennità di avviamento medesima, atteso il forte legame strumentale che lega le due prestazioni".

domenica 4 settembre 2016

equivalenza delle cause

il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra la azione od omissione e l'evento. Si tratta della codificazione del principio dell'equivalenza delle cause, secondo il quale in presenza di una pluralità di cause, tutte idonee a produrre l'evento, queste vengono considerate di pari valenza. La previsione riprende il concetto espresso dall'art. 40 del codice penale, per cui, affinché si abbia imputazione è sufficiente che il soggetto abbia realizzato una condotta necessaria e l'imputazione a lui del fatto non è esclusa dall'intervento dell'operatività di altri fattori causali (antecedenti, concomitanti, successivi).

colpa medica lieve - colpa grave

 la portata innovativa dell'art. 3 comma 1 del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, cony., con modificazioni, in I. 8 novembre 2012, n. 189. In base a tale disposizione, ferma restando la responsabilità civile ex art. 2043 cc, il medico che, nello svolgimento della propria attività abbia rispettato le linee guida e le best pratices, potrà rispondere dei reati eventualmente commessi solo per colpa grave, mentre non sarà punibile se ha agito con colpa lieve. In particolare, la colpa grave sarà configurabile nell'ipotesi in cui il medico si sia discostato dalle linee guida e dalle best pratices, quando lo imponeva la peculiare situazione clinica del malato ovvero allorquando la necessità di discostarsi dalle linee guida era macroscopica, immediatamente riconoscibile da qualunque altro sanitario al posto dell'imputato.

nesso causale e teoria del rischio

A proposito dell'art. 41 cpv. c.p., e della cosiddetta interruzione del nesso causale, evocando la precedente giurisprudenza, si è posto in luce che il garante è il gestore di un rischio; e che il termine "garante" viene ampiamente utilizzato nella prassi anche in situazioni nelle quali si è in presenza di causalità commissiva e non omissiva; ed ha assunto un significato più ampio di quello originario, di cui occorre acquisire consapevolezza, traendo argomento proprio dalla norma richiamata. Si è considerato che la necessità di limitare l'eccessiva ed indiscriminata ampiezza dell'imputazione oggettiva generata dal condizionalismo è alla base di classiche elaborazioni teoriche: la causalità adeguata, la causa efficiente, la causalità umana, la teoria del rischio. Tale istanza si rinviene altresì nel controverso art. 41 cpv. c.p.. L'esigenza cui tali teorie tentano di corrispondere è quella di limitare, separare le sfere di responsabilità, in modo che il diritto penale possa realizzare la sua vocazione ad esprimere un ben ponderato giudizio sulla paternità dell'evento illecito. La centralità dell'idea di rischio è emersa con insistenza particolarmente nel contesto della sicurezza del lavoro [... in cui, in maniera particolare,] esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare [...] Le Sezioni unite Li hanno posto l'enunciazione che un comportamento è "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio che il garante è chiamato a governare. Tale eccentricità renderà magari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma 4 Corte di Cassazione - copia non ufficiale ' ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell'esclusione dell'imputazione oggettiva dell'evento. A ciò va aggiunta solo una chiosa di portata generale: l'effetto interruttivo può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare. [...] Il tema di cui si discute è stato ripetutamente esaminato da questa Corte con riferimento al rischio terapeutico. Si può dire che l'ambito che ha determinato le maggiori discussioni sulla portata dell'art. 41 cpv., è sicuramente quello in cui l'attività di cura interagisce con gli effetti determinati dalla precedente condotta illecita, aggravandoli. La Suprema Corte ha ripetutamente escluso che, nel caso di lesioni personali seguite da decesso della vittima dell'azione delittuosa, l'eventuale negligenza o imperizia dei medici possa elidere il nesso di causalità tra la condotta lesiva dell'agente e l'evento morte. La colpa dei medici, infatti, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell'agente che, provocando il fatto lesivo, ha reso necessario l'intervento dei sanitari. Infatti la negligenza o imperizia dei medici non costituisce di per sè un fatto imprevedibile, eccezionale, atipico rispetto alla serie causale precedente di cui costituisce uno sviluppo evolutivo normale anche se non immancabile (ad es. Sez. I, 9 ottobre 1995, La Paglia; Sez. I, 19 gennaio 1998, Van Custem; Sez. IV, 10 marzo 1983, Di Martino). In tale approccio l'eccezionalità viene colta in modo categoria/e, astratto: per definizione essa non si configura, indipendentemente dalle contingenze del caso concreto. [...] il nesso causale è stato escluso in un caso che presenta significative affinità con quello in esame (Sez. V, 27 gennaio 1976, Nidini, in C. E. D. Cass. n. 133819). Si era in presenza di un errore macroscopico del sanitario: una persona che viaggiava a bordo di un'auto subiva lesioni non molti gravi (frattura del femore e stato commotivo) a seguito di un incidente stradale nel quale si evidenziava la colpa del conducente; ricoverata in ospedale veniva sottoposta ad intervento chirurgico di osteosin tesi gravato da errori di esecuzione (applicazione al femore fratturato di viti che, per la loro eccessiva lunghezza determinavano emorragie, infezione e cancrena); tale situazione determinava la necessità di tre emotrasfusioni; nell'esecuzione di tali trasfusioni il medico errava nell'individuazione del gruppo sanguigno con esito letale. La Corte ha ritenuto che tale finale cond tta erronea, pur inserendosi nella serie causale dipendente dalla condotta dell' utomobilista che provocò l'incidente, agì "per esclusiva forza propria" ed ij7terruppe il nesso di condizionamento. Rispetto all'evento morte l'originaria c ndotta colposa dell'automobilista, pur costituendo un antecedente necessario p l'efficacia delle cause sopravvenute, assume non il ruolo di fattore 5 Corte di Cassazione - copia non ufficiale causale ma di semplice occasione. Si tratta di una decisione senza dubbio condivisibile, visto che da un lato si è in presenza di un rischio non particolarmente grave, innescato dall'incidente; dall'altro si evidenzia non solo un errore di esecuzione dell'intervento di osteosintesi, ma anche e soprattutto di un errore gravissimo costituito dall'erronea individuazione del gruppo sanguigno, originatosi in una situazione in cui non si provvedeva alla cura della frattura ma si tentava di rimediare agli errori commessi dal chirurgo. Una soluzione corretta, dunque, nella quale - tuttavia - piuttosto che la generica evocazione della occasionante della condotta colposa del conducente del veicolo, appare assai più persuasiva e razionale la considerazione dell'incongruenza e dell'incommensurabilità tra l'originario rischio attivato dall'incidente automobilistico e quello realizzatosi a causa del gravissimo errore consistito nella fallace individuazione del gruppo sanguigno. [...] conclusivamente, la teoria del rischio evocata dalle Sezioni unite offre strumenti di analisi e ponderazione meno vaghi e più penetranti rispetto a quelli offerti dalla tradizione: in breve, l'individuazione del rischio quale chiave di volta per la lettura degli intrecci causali; l'intervento di fattori la cui concausalità è determinante e di significato tale da assorbire la spiegazione giuridica esclusiva dell'evento; la congruenza tra i rischi. Il fatto illecito altrui non esclude in radice l'imputazione dell'evento al primo agente, che avrà luogo fino a quando l'intervento del terzo, in relazione all'intero concreto decorso causale dalla condotta iniziale all'evento, non abbia soppiantato il rischio originario. L'imputazione non sarà invece esclusa quando l'evento risultante dal fatto del terzo possa dirsi realizzazione sinergica anche del rischio creato dal primo agente. Tale approccio è utile anche quando la condotta illecita ha già prodotto conseguenze lesive, ma esse vengono portate ad esiti ulteriori e più gravi da condizioni sopravvenute, che possono essere costituite da comportamenti umani o da fatti naturali. Si tratta dell'ambito efficacemente tratteggiato dai casi di scuola della vittima di un attentato che muore durante il trasporto in ospedale a causa di un incidente stradale, o di un incendio sviluppatosi nell'ospedale [...] L'approccio fondato sulla comparazione dei rischi consente di escludere l'imputazione al primo agente quando le lesioni originarie non avevano creato un pericolo per la vita, ma l'errore del medico attiva un decorso mortale che si innesta sulle lesioni di base e le conduce a processi nuovi e letali: viene creato un pericolo inesistente che si realizza nell'evento. Discorso analogo può esser fatto quando la condotta colposa del medico interviene dopo che il pericolo originario era stato debellato da precedenti cure: anche qui viene prodotto un rischio mortale nuovo. La teoria del rischio spiega bene l'esclusione dell'imputazione del fatto nel caso dell'emotrasfusione sbagliata: vi è una tragica incommensurabilità tra la 6 Corte di Cassazione - copia non ufficiale situazione non grave di pericolo determinata dall'incidente, che aveva comportato la rottura del femore, e l'esito mortale determinato dal macroscopico errore nell'individuazione del gruppo sanguigno».