L’
Associazione europea per la teologia cattolica, a Bressanone ha svolto una
riflessione su come la
Chiesa parla di Dio e dialoga con il mondo.
E’ risultato che
la difficoltà del dialogo tra la teologia e i linguaggi del mondo è causata
dall’aver sostituito il linguaggio evangelico, centrato sul bene dell’uomo, con
quello religioso che punta alla difesa della dottrina.
Quando la teologia, con
il suo linguaggio, reprime tutto ciò che non corrisponde al proprio campo, crea
scontri e divisioni, non comunica i valori umani, né apre vie di dialogo.
Andrebbero tralasciate le forme linguistiche ereditate dal cristianesimo, ma
inadatte per parlare di Dio agli uomini di oggi. Un linguaggio teologico
“tecnico” non è idoneo per una comunicazione, nè per un discorso su Dio a
tutti. Già è difficile parlare di cose visibili, come allora parlare di Dio che
«nessuno mai l’ha visto» (Gv 1,18)? La soluzione è data sempre dal
Vangelo di Giovanni: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a
noi» (Gv, 1,14), «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che
è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (1,18). Solo
attraverso Gesù che si fa carne, possiamo comprendere la realtà di Dio che si
comunica nella storia dell’uomo con il linguaggio proprio di ciascun tempo. Se
il Verbo (la Parola )
si è manifestato nella carne, nella concreta realtà dell’umano, solo attraverso
un linguaggio quasi pelle ed ossa, sanguineo, diretto, si può portare l’uomo a
cercare di capire il bene quale valore
assoluto e la fonte stessa di questo bene. E’ proprio il Dio che si fa bambino,
la buona notizia, il modello della comunicazione anche teologica. Un linguaggio
che si fa umano, che rivela la sapienza ai piccoli
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