giovedì 31 ottobre 2013

il tricolore

oggi. osservavo bandiere sugli edifici pubblici, molte, moltissime sono sbiadite.
Il tricolore è ormai bruciato dal sole che rende quella che era una bandiera un panno sbiadito, annerito.
E ancor peggio alcune bandiere, addirittura, ridotte a stracci, lembi appesi ad aste.
Non possiamo permettere che i nostri simboli non solo non sia riconosciuti tali, ma ancor peggio siano esposti malamente.
Non vorrei che queste bandiere dal tricolore ormai annerito siano simbolo di un popolo che si trascura. Quei lembi di stoffa pendenti sugli edifici pubblici devono farci svegliare da questo accettare che tutto sia lasciato in balia del vento, del tempo, senza nessuna nostra minima cura.

Paolo, Gesù e Gerusalemme

“Nessuno può allontanarmi dall’amore di Cristo”. Senza l’amore di Cristo, senza vivere di questo amore, riconoscerlo, nutrirci di quell’amore, non si può essere cristiano: il cristiano, quello che si sente guardato dal Signore, con quello sguardo tanto bello, amato dal Signore e amato sino alla fine.  s
Paolo resta fedele fino alla fine all’amore di Gesù” e in questo amore, lui che “si sente debole, si sente peccatore”, “trova la forza per andare avanti, per sopportare tutto”. E dall’altra parte c’è Gerusalemme, il popolo infedele, “che non accetta l’amore di Gesù, o peggio ancora” che “vive quest’amore ma a metà: un po’ sì, un po’ no, secondo le proprie convenienze”:

“Guardiamo la fedeltà di Paolo e l’infedeltà di Gerusalemme e al centro guardiamo Gesù, il suo cuore, che ci ama tanto. Somiglio più a Paolo o a Gerusalemme? Il mio amore a Dio è tanto forte come quello di Paolo o il mio cuore è un cuore tiepido come quello di Gerusalemme? Il Signore, per intercessione del Beato Giovanni Paolo II, ci aiuti a rispondere a questa domanda. Così sia!”. 

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/31/il_papa:_non_si_pu%C3%B2_essere_cristiani_senza_porre_lamore_di_cristo_al/it1-742309
del sito Radio Vaticana 

mercoledì 30 ottobre 2013

l’amore di Dio brucia i nostri egoismi

la ‘comunione dei santi’: la comunione alle cose sante e la comunione tra le persone sante (catechismo Chiesa Cattolica n. 948). Non siamo soli ma esiste una comunione di vita tra tutti coloro che appartengono a Cristo. Una comunione che nasce dalla fede; La Chiesa, nella sua verità più profonda, è comunione con Dio, familiarità con Dio, comunione di amore con Cristo e con il Padre nello Spirito Santo, che si prolunga in una comunione fraterna. Questa relazione tra Gesù e il Padre è la “matrice” del legame tra noi cristiani: se siamo intimamente inseriti in questa “matrice”, in questa fornace ardente di amore che è la Trinità, allora possiamo diventare veramente un cuore solo e un’anima sola tra di noi, perché l’amore di Dio brucia i nostri egoismi, i nostri pregiudizi, le nostre divisioni interiori ed esterne, brucia anche i nostri peccati”.

Essere uniti fra noi ci conduce ad essere uniti con Dio. La nostra fede ha bisogno del sostegno degli altri, specialmente nei momenti difficili
Nei momenti difficoltosi è necessario confidare nell’aiuto di Dio, mediante la preghiera filiale, e, al tempo stesso, è importante trovare il coraggio e l’umiltà di aprirsi agli altri per chiedere aiuto, per chiedere una mano: ‘Dammi una mano, ho questo problema’. Quante volte l’abbiamo fatto? 
comunione che vuol dire ‘comune unione’, tutti uniti, siamo una grande famiglia, tutti noi, dove tutti i componenti si aiutano e si sostengono fra loro”. 

“la comunione dei santi va al di là della vita terrena, va oltre la morte e dura per sempre
 Un cristiano dev’essere gioioso, con la gioia di avere tanti fratelli battezzati che camminano con noi, e anche con l’aiuto dei fratelli e delle sorelle che fanno questa strada per andare al Cielo, e anche con l’aiuto dei fratelli e delle sorelle che sono in Cielo e pregano Gesù per noi. Avanti per questa strada, e con gioia!”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/30/udienza_generale._il_papa:_la_comunione_dei_santi_%C3%A8_una_delle_verit%C3%A0/it1-741985
del sito Radio Vaticana 

martedì 29 ottobre 2013

Vivere di speranza donando speranza

La speranza non è ottimismo, è dinamica e dona vita, non delude, è sicura”. Tuttavia, ha riconosciuto, “non è facile capire la speranza”. 
“La speranza non è un ottimismo, non è quella capacità di guardare le cose con buon animo e andare avanti. 
Si dice che è la più umile delle tre virtù, perché si nasconde nella vita. La fede si vede, si sente, si sa cosa è. La carità si fa, si sa cosa è. Ma cosa è la speranza? Cosa è questo atteggiamento di speranza? 
La speranza è un rischio, è una virtù rischiosa, è una virtù, come dice San Paolo ‘di un’ardente aspettativa verso la rivelazione del Figlio di Dio’. Non è un’illusione”.

La speranza era un’ancora, un’ancora fissa nella riva” dell’Aldilà. E la nostra vita è proprio camminare verso quest’ancora:

“dove siamo ancorati noi, ognuno di noi? Siamo ancorati proprio là nella riva di quell’oceano tanto lontano o siamo ancorati in una laguna artificiale che abbiamo fatto noi, con le nostre regole, i nostri comportamenti, i nostri orari, i nostri clericalismi, i nostri atteggiamenti ecclesiastici, non ecclesiali, eh? Siamo ancorati lì? 
Dove è ancorato il mio cuore, là in questa laguna artificiale, con comportamento ineccepibile davvero…”
La speranza è in questa dinamica”, di “dare vita”. 
“Una cosa è vivere nella speranza, perché nella speranza siamo salvati e un’altra cosa è vivere come buoni cristiani, non di più. Vivere in attesa della rivelazione o vivere bene con i comandamenti, essere ancorati nella riva di là o parcheggiati nella laguna artificiale. Penso a Maria, una ragazza giovane, quando, dopo che lei ha sentito che era mamma è cambiato il suo atteggiamento e va, aiuta e canta quel cantico di lode. Quando una donna rimane incinta è donna, ma non è mai (solo) donna: è mamma. E la speranza ha qualcosa di questo. Ci cambia l’atteggiamento: siamo noi, ma non siamo noi; siamo noi, cercando là, ancorati là”.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/29/il_papa:_la_speranza_cristiana_%C3%A8_dinamica_e_dona_vita,_liberiamoci_da/it1-741639 
del sito Radio Vaticana 

lunedì 28 ottobre 2013

pregare gli uni per gli altri


Gesù continua a pregare e a intercedere per noi, mostrando al Padre il prezzo della nostra salvezza: le sue piaghe. 
Gesù pregava il Padre per gli Apostoli e per la gente. Ma ancora oggi prega: "E’ l’intercessore,  e prega Dio con noi e davanti a noi. Gesù ci ha salvati, ha fatto questa grande preghiera, il suo sacrificio, la sua vita, per salvarci, per giustificarci: siamo giusti grazie a Lui. Adesso se n’è andato, e prega. Ma, Gesù è uno spirito? Gesù non è uno spirito! Gesù è una persona, è un uomo, con carne come la nostra, ma in gloria. Gesù ha le piaghe sulle mani, sui piedi, sul fianco e quando prega fa vedere al Padre questo prezzo della giustificazione, e prega per noi, come se dicesse: ‘Ma, Padre, che non si perda, questo!’".

Gesù è il primo a pregare" e come "nostro fratello" e "uomo come noi" intercede per noi:

Tante volte, tra noi, ci diciamo: ‘Ma, prega per me, eh?, ne ho bisogno, ho tanti problemi, tante cose: prega per me’. E quello è buono, eh?, perché noi fratelli dobbiamo pregare gli uni per gli altri". 
 "Prega per me, Signore: Tu sei l’intercessore":

"Lui prega per me; Lui prega per tutti noi e prega coraggiosamente perché fa vedere al Padre il prezzo della nostra giustizia: le sue piaghe. 

‘Signore, Tu sei l’intercessore, Tu mi hai salvato, mi hai giustificato. Ma adesso, prega per me’. E affidare i nostri problemi, la nostra vita, tante cose, a Lui, perché Lui lo porti dal Padre".


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/28/il_papa:_ges%C3%B9_continua_a_pregare_per_noi_anche_oggi_mostrando_al/it1-741293
del sito Radio Vaticana 

venerdì 25 ottobre 2013

a faccia a faccia


Confessarsi è andare incontro all’amore di Gesù con sincerità di cuore e con la trasparenza dei bambini, non rifiutando ma anzi accogliendo la “grazia della vergogna”, che fa percepire il perdono di Dio. 
San Paolo afferma di essere uno “schiavo” che non fa il bene che vuole, ma compie il male che non vuole. “E questa è la lotta dei cristiani. E’ la nostra lotta di tutti i giorni. Se l’essere peccatore è una parola non abbiamo bisogno del perdono di Dio. Ma se è una realtà, che ci fa schiavi, abbiamo bisogno di questa liberazione interiore del Signore, di quella forza. 
“Alcuni dicono: ‘Ah, io mi confesso con Dio’. Ma è facile, è come confessarti per e-mail. Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a faccia, non c’è un quattrocchi. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia. Altri: ‘No, io vado a confessarmi’ ma si confessano di cose tanto eteree, tanto nell’aria, che non hanno nessuna concretezza. E quello è lo stesso che non farlo. Confessare i nostri peccati non è andare ad una seduta di psichiatria, neppure andare in una sala di tortura: è dire al Signore ‘Signore sono peccatore’, ma dirlo tramite il fratello, perché questo dire sia anche concreto. ‘E sono peccatore per questo, per questo e per questo’”. Concretezza, onestà e  una sincera capacità di vergognarsi dei propri sbagli.
“I piccoli hanno quella saggezza: sono concreti, hanno quella semplicità della verità. E noi abbiamo sempre la tendenza di nascondere la realtà delle nostre miserie. Ma c’è una cosa bella: quando noi confessiamo i nostri peccati come sono alla presenza di Dio, sempre sentiamo quella grazia della vergogna. Vergognarsi davanti a Dio è una grazia. E’ una grazia: ‘Io mi vergogno’. Pensiamo a Pietro quando, dopo il miracolo di Gesù nel lago: ‘Ma, Signore, allontanati da me, io sono peccatore’. Si vergognava del suo peccato davanti alla santità di Gesù Cristo”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/25/il_papa:_la_lotta_di_un_cristiano_contro_il_male_%C3%A8_anche_confessare/it1-740494
del sito Radio Vaticana 

giovedì 24 ottobre 2013

Si può fare. Vivere seriamente da cristiani



Tutti i battezzati sono chiamati a camminare sulla strada della santificazione, non si può essere “cristiani a metà cammino”. “Siamo stati ri-fatti in Cristo! Quello che ha fatto Cristo in noi è una ri-creazione: il sangue di Cristo ci ha ri-creato. E’ una seconda creazione! Se prima tutta la nostra vita, il nostro corpo, la nostra anima, le nostre abitudini erano sulla strada del peccato, dell’iniquità, dopo questa ri-creazione dobbiamo fare lo sforzo di camminare sulla strada della giustizia, della santificazione. Utilizzate questa parola: la santità. Tutti noi siamo stati battezzati: in quel momento, i nostri genitori  a nome nostro, hanno fatto l’Atto di fede: ‘Credo in Gesù Cristo”, che ci ha perdonato i peccati’. Credo in Gesù Cristo!”.
Questa fede in Gesù Cristo, “dobbiamo riassumerla” e “portarla avanti col nostro modo di vivere”. E con la fede portare avanti le opere che nascono da questa fede, “opere per la santificazione”. ‘Io, sì, sono peccatore; io sono debole’ e vai sempre dal Signore e gli dici: ‘Ma, Signore, tu hai la forza, dammi la fede! Tu puoi guarirmi!’. E nel Sacramento della riconciliazione ti fai guarire, sì anche le nostre imperfezioni servono a questa strada di santificazione. “siamo sulla strada della santificazione, ma dobbiamo prenderla sul serio!”per prenderla sul serio, bisogna fare le opere di giustizia, opere “semplici”: “adorare Dio: Dio è il primo sempre! E poi fare ciò che Gesù ci consiglia: aiutare gli altri”. 
“lasciare perdere tutto quello che ci allontana da Gesù Cristo” e “fare tutto nuovo: tutto è novità in Cristo!”.  “si può fare”. 
 la grazia di vivere come cristiani sul serio, di credere davvero che siamo stati santificati per il sangue di Gesù Cristo”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/24/il_papa:_i_cristiani_prendano_sul_serio_la_propria_fede,_non_vivano/it1-740109
del sito Radio Vaticana 

mercoledì 23 ottobre 2013

In Gesù Cristo il nuovo umanesimo.

In Gesù Cristo il nuovo umanesimo
Convegno Ecclesiale che si svolgerà a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015. 

Papa Francesco: leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell'amore che Gesù ci ha insegnato. Solo una Chiesa che si rende vicina alle persone e alla loro vita reale, infatti, pone le condizioni per l’annuncio e la comunicazione della fede. 
Attingendo alla tradizione vivente della fede cristiana intendiamo avviare una riflessione sull’umanesimo, su quel ‘di più’ che rende l’uomo unico tra i viventi; su ciò che significa libertà in un contesto sfidato da mille possibilità; sul senso del limite e sul legame che ci rende quello che siamo. «L’uomo è designato a essere l’ascoltatore della parola che ė il mondo. Dev’essere anche colui che risponde. Mediante lui, tutte le cose devono tornare a Dio in forma di risposta» (R. Guardini).

Ciascuno di noi ha un patrimonio da condividere, fatto di esperienze, intuizioni, storie: luci che possono rischiarare la strada e rendere vivo il presente grazie alla memoria e alla speranza, nell’attesa di un futuro a cui già da ora tendiamo insieme con l’aiuto di Dio. 
 Al centro dell’attenzione è sempre rimasta l’evangelizzazione, attuata in spirito di dialogo con il contesto sociale italiano.  La Chiesa, infatti, esiste non per parlare di sé né per parlarsi addosso, bensì per annunciare il Dio di Gesù Cristo, per parlare di Lui al mondo e col mondo. Il Vangelo annunciato dalla Chiesa illumina di senso il volto dell’uomo e permette di intuire le risposte meno scontate ai suoi interrogativi più profondi (cf. Gaudium et spes 41).
“convenire”, rimetterci in cammino per incontrarci in un luogo in cui esprimere sinfonicamente la comune e, insieme, sempre peculiare esperienza credente di ogni Diocesi; 
Cristo manifesta compiutamente l’uomo all’uomo e gli rende nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes 22).
«Chiunque segue Cristo, uomo perfetto, diventa anche lui più uomo» (Gaudium et spes 41).
Nella croce Dio si mostra non più lontano rispetto alla sofferenza umana, la quale assume così un significato nuovo che consente di vincerne l’aspetto disumanizzante. 
È tempo di affrontare tale crisi antropologica con la proposta di un umanesimo profondamente radicato nell’orizzonte di una visione cristiana dell’uomo – della sua origine creaturale e della sua destinazione finale – ricavata dal messaggio biblico e dalla tradizione ecclesiale, e per questo capace di dialogare col mondo. Tale relazione non può prescindere dai linguaggi dell’oggi, compreso quello della tecnica e della comunicazione sociale, ma li integra con quelli dell’arte, della bellezza e della liturgia. 
non siamo Dio, ma siamo da Dio e, conseguentemente, per Dio.
Non possiamo più pensare: “O io, o Tu”, ma siamo spinti a riconoscere: “Io grazie a Te”. 
Come hanno spiegato pensatori cristiani del primo Novecento quali Berdjaev, Gogarten, Guardini, l’umanesimo rinascimentale fu un crocevia delicato, in cui divenne evidente l’intima connessione tra la dipendenza dell’uomo da Dio e la sua capacità creativa, entrambe riflesso di quella somiglianza con Dio di cui parla la Genesi.

Gesù Cristo è il fulcro del «nuovo umanesimo»; della sua «nascita» dentro la storia comune degli uomini noi cristiani siamo consapevoli e convinti «testimoni» (cf. Gaudium et spes 55).
Papa Francesco, «il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la strada del dialogo con tutti». L
La vera questione sociale oggi è diventata la questione antropologica: la difesa dell’integrità umana va di pari passo con la sostenibilità dell’ambiente e dell’economia, giacché i valori da preservare sul piano personale (vita, famiglia, educazione) sono pure determinanti per tutelare quelli della vita sociale (giustizia, solidarietà, lavoro).
Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro: «Annunciare il Vangelo a tutti, vuol dire già trasformare l’uomo vecchio in un nuovo uomo».

martedì 22 ottobre 2013

intelligenza, cuore, ginocchia, preghiera

Per entrare nel mistero di Dio non basta l’intelligenza, ma servono “contemplazione, vicinanza e abbondanza”.
“Contemplare il mistero sulla nostra salvezza, sulla nostra redenzione, si capisce in soltanto ginocchio, nella contemplazione. Non soltanto con l’intelligenza. 
 La contemplazione: intelligenza, cuore, ginocchia, preghiera … tutto insieme, entrare nel mistero. 
l’infermiera in un ospedale: guarisce le ferite ad una ad una, ma con le sue mani. Dio si coinvolge, si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle nostre piaghe e le guarisce con le sue mani, e per avere mani si è fatto uomo. 
Dio non ci salva soltanto per un decreto, una legge; ci salva con tenerezza, ci salva con carezze, ci salva con la sua vita, per noi”.

La grazia di Dio sempre vince, perché è Lui stesso che si dona, che si avvicina, che ci accarezza, che ci guarisce. 
Questo mistero,non è facile capirlo, non si capisce bene, con l’intelligenza”. Soltanto, “forse, ci aiuteranno queste tre parole”: contemplazione, vicinanza e abbondanza. 


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/22/il_papa:_dio_non_ci_salva_per_decreto,_si_immischia_con_noi_per/it1-739442
del sito Radio Vaticana 


lunedì 21 ottobre 2013

Un cuore attaccato al denaro distrugge

La cupidigia, l’attaccamento ai soldi, distrugge. 
Quante famiglie distrutte abbiamo visto per il problema di soldi: fratello contro fratello; padre contro figlio..
Quando una persona è attaccata ai soldi, distrugge se stessa, distrugge la famiglia! I soldi distruggono! Fanno questo ti attaccano. I soldi servono per portare avanti tante cose buone, tanti lavori per sviluppare l’umanità, ma quando il tuo cuore è attaccato così, ti distrugge”. 

Quello che fa male è la cupidigia nel mio rapporto con i soldi. Avere di più, avere di più, avere di più… Ti porta all’idolatria, ti distrugge il rapporto con gli altri! Non i soldi, ma l’atteggiamento, che si chiama cupidigia. Poi anche questa cupidigia ti ammala, perché ti fa pensare soltanto tutto in funzione dei soldi. Ti distrugge, ti ammala… 
San Paolo ci dice che Gesù Cristo, che era ricco, si è fatto povero per arricchire noi. Quella è la strada di Dio: l’umiltà, l’abbassarsi per servire. Invece la cupidigia ti porta per la strada contraria: tu, che sei un povero uomo, ti fai Dio per la vanità. E’ l’idolatria!”.

Non si può servire due padroni: o Dio o il denaro. 
Non preoccuparci,il Signore sa di che cosa abbiamo bisogno”
“Stolto, questa notte ti sarà richiesta la tua vita!”. 
“Questa strada contraria alla strada di Dio è una stoltezza, ti porta lontano dalla vita, distrugge ogni fraternità umana”: 

“Il Signore ci insegna qual è il cammino: non è il cammino della povertà per la povertà. No! E’ il cammino della povertà come strumento, perché Dio sia Dio, perché Lui sia l’unico Signore! No l’idolo d’oro! E tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per fare andare avanti il mondo, andare avanti l’umanità, per aiutare gli altri. 
Rimanga oggi nel nostro cuore la Parola del Signore: ‘Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede’”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/21/il_papa:_lattaccamento_ai_soldi_distrugge_persone_e_famiglie,_usiamo/it1-739081
del sito Radio Vaticana 

venerdì 18 ottobre 2013

Dall'alba della vita fino al tramonto


Due estremi dell’esistenza del cristiano. All’inizio della vita apostolica i discepoli erano “giovani” e “forti” e anche i “demoni se ne andavano davanti” alla “loro predicazione”.  Poi c'è il tramonto dell’Apostolo”:

“Questo è il grande dell’Apostolo, che con la sua vita fa quello che Giovanni il Battista diceva: ‘E’ necessario che Lui cresca e io diminuisca’. L’Apostolo è quello che dà la vita perché il Signore cresca. 
 ‘Quando sarai vecchio ti porteranno dove tu non vorrai andare’. 
Santuari di apostolicità e di santità sono le case di riposo dei preti e delle suore: bravi preti, brave suore, invecchiati, col peso della solitudine, aspettando che venga il Signore a bussare alla porta del loro cuore. Questi sono veri santuari di apostolicità e di santità che abbiamo nella Chiesa. Non li dimentichiamo, eh!".
Noi cristiani abbiamo la voglia di fare una visita - che sarà un vero pellegrinaggio! - a questi santuari di santità e di apostolicità, che sono le case di riposo dei preti e delle suore? Uno di voi mi diceva, giorni fa, che quando andava in un Paese di missione, andava al cimitero e vedeva tutte le tombe dei vecchi missionari, preti e suore, lì da 50, 100, 200 anni, sconosciuti. E mi diceva: ‘Ma, tutti questi possono essere canonizzati, perché alla fine conta soltanto questa santità quotidiana, questa sanità di tutti i giorni'. Nelle case di riposo, queste suore e questi preti aspettano il Signore un po’ come Paolo: un po’ tristi, davvero, ma anche con una certa pace, col volto allegro”.

“Ci farà bene a tutti noi – ha concluso il Papa – pensare a questa tappa della vita che è il tramonto dell’Apostolo e pregare il Signore: ‘Custodisci loro che sono in quel momento della spoglia finale, per dire soltanto un’altra volta: ‘Sì, Signore, voglio seguirti!’”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/18/il_papa:_non_dimentichiamoci_dei_preti_e_suore_nelle_case_di_riposo,/it1-738274
del sito Radio Vaticana 


Alina

Questa è una storia di una ragazza coraggiosa. Alina, 40 anni compiuti da poco, laurea in Giurisprudenza con lode, alcuni lavori a tempo determinato presso pubbliche amministrazioni. Idonea in graduatorie di varie selezioni pubbliche, in attesa di nuova occupazione. Il suo coraggio sta nel decidere di iscriversi a una nuova facoltà, per sperare dopo il conseguimento di altre due laurea (una triennale nel 2016, e la specialistica nel 2018) di avere qualche supplenza a 45 anni nelle scuole. Tanto coraggio a rimettersi in gioco, a rimettersi sui libri, circa 60 esami, a rimettersi in viaggio per seguire le lezioni, a investire quei pochi soldi della sa famiglia per dare concretezza alla speranza di un lavoro degno di questo nome. Fino ad alcuni anni fa era possibile vedere in giro appartenenti alle forze dell'ordine a 45 anni già pensionati. Oggi si spera a 45 anni di riuscire non ad accumulare per la pensione, ma a guadagnare per sopravvivere.

Vincenzo

Riporto una breve storia, quella di Vincenzo. Ragazzo italiano, studente ai corsi pomeridiani di alberghiero, prossimo al diploma di maturità. Ogni mattina alle cinque apre il bar, mentre il titolare riposa ancora. Serve fino alle 8.00 circa un centinaio di colazioni, e poi resta a lavorare lì nel bar fino alle 13.00 Pranza e alle 14.00 è in treno per dirigersi verso la scuola. Da ieri ha deciso di non alzarsi prima delle cinque per aprire il bar di F., perchè spesso il pagamento avveniva con ritardo. Alla domanda ma quanto ti dava? Resti ad ascoltare :"10 (DIECI) euro al giorno". Fai il calcolo veloce sono poco più di un euro all'ora, poco più di un caffè all'ora. Otto ore al giorno, per 10 euro, e non sempre corrisposti in tempo dal titolare, che da ieri dovrà rialzarsi lui  prima delle cinque per servire quei 100 caffè nelle primissime ore. Da ieri (17 ottobre 2013) Vincenzo frequenta la sua scuola, e impegna le mattinate a dare una mano alla sua famiglia di  piccoli coltivatori diretti.
Non esprimo opinioni, commenti, ma auguro a Vincenzo di avviare una propria attività riconoscendo il lavoro dei collaboratori.


21 FEBBRAIO 2014
ho rincontrato Vincenzo, prosegue gli studi, ed il week end lavora presso l'attività accanto a quella del bar dove lavorava per 8 ore e solo 10 euro di paga non sempre puntualmente pagata.
Adesso ogni sera del sabato e della domenica dalle 20.00 fino a tardi riceve 20.00 per "serata". Certo siamo lontani da un equo compenso, ma un breve miglioramento c'è. Con 40 euro a fine settimana può permettersi almeno l'abbonamento mensile del treno e dell'autobus, potento negli altri giorni di mattina aiutare il padre presso la piccola azienda agricola, e di pomeriggio frequentare i corsi di albergheiro.

giovedì 17 ottobre 2013

pregare, non dire preghiere

Aprire la porta del cuore al Cuore di Gesù
Quando andiamo per strada e ci troviamo davanti una chiesa chiusa sentiamo qualcosa di strano.
Una chiesa chiusa non si capisce, la gente che passa davanti non può entrare” e il Signore che è dentro non può uscire.

Quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede: non è più discepolo di Gesù. La fede diventa ideologia e l’ideologia spaventa, allontana la gente e allontana la Chiesa dalla gente. Ma è una malattia grave, questa dei cristiani ideologici. E’ una malattia diventare rigidi, moralisti, eticisti, ma senza bontà. Quel cristiano non prega. E se non c’è la preghiera, tu sempre chiudi la porta”

“La chiave che apre la porta alla fede è la preghiera”. 
 Chi non prega è “un superbo, è un orgoglioso, è un sicuro di se stesso. Non è umile. Cerca la propria promozione.
Quando un cristiano prega, non si allontana dalla fede, parla con Gesù.
Pregare, non dire preghiere,  “Quando tu preghi, va nella tua stanza e prega il Padre di nascosto, da cuore a cuore”. 

I moralisti non sono trasparenti, sono gente sporcata dalla superbia. 
Chiediamo al Signore la grazia di non smettere di pregare, per non perdere la fede, rimanere umili. 
Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/17/il_papa:_%E2%80%9Ccristiani_ideologici%E2%80%9D_sono_malattia_grave,_chiudono_la/it1-737956
del sito Radio Vaticana 

«La madre del Papa»


 Milena Kindziuk nel libro «La madre del Papa» afferma che Il futuro papa Giovanni Paolo II rischiava di non nascere a causa del precario stato di salute di sua madre Emilia Kaczorowska, sposata nel 1905 con Karol Wojtyla, il militare dell'esercito austro-ungarico, poi polacco. 

Il ginecologo di Wadowice, era preoccupato per la vita della madre di Wojtyla che nel 1916 aveva perso la secondogenita Olga, morta poco dopo il parto. Quando nel 1919 fu informato della nuova gravidanza di Emilia le consigliò severamente di abortire per  salvare la propria vita invece che quella del bambino.I genitori di Giovanni Paolo II decisero diversamente e Emilia lo diede alla luce nella casa di Wadowice il 18 maggio 1920. 

testimoni prima che annunciatori

“La Chiesa è apostolica”, significa  sottolineare il suo “legame costitutivo” con gli Apostoli. Apostolo in greco vuol dire  "mandato" "inviato". E il primo lavoro di un apostolo  è pregare e il secondo è annunciare il Vangelo.
“Io prego per la salvezza del mondo, e annuncio il Vangelo?”. 

Una Chiesa apostolica è “fondata sulla predicazione degli Apostoli”:

"La nostra fede, la Chiesa che Cristo ha voluto, non si fonda su un’idea, su una filosofia, ma su Cristo stesso. E la Chiesa è come una pianta che lungo i secoli è cresciuta, si è sviluppata, ha portato frutti, ma le sue radici sono ben piantate in Lui e l’esperienza fondamentale di Cristo che hanno avuto gli Apostoli, scelti e inviati da Gesù, giunge fino a noi".

Una Chiesa apostolica “custodisce e trasmette”: "E’ come un fiume che scorre nella storia, si sviluppa, irriga, ma l’acqua che scorre è sempre quella che parte dalla sorgente, e la sorgente è Cristo stesso: Lui è il Risorto, il Vivente".
La Chiesa “dono importante che Cristo ci ha fatto”, “dove lo possiamo incontrare”:

La Chiesa è “inviata a portare il Vangelo a tutto il mondo”, con la ferma coscienza di essere missionaria: "chiediamoci: siamo missionari con la nostra parola e ma soprattutto con la nostra vita cristiana? Con la nostra testimonianza? O siamo cristiano chiusi nel nostro cuore e nelle nostre chiese? Cristiani di sagrestia? Cristiani solo di parole, ma che vivono come pagani? 
"Una Chiesa che si chiude in se stessa e nel passato tradisce la propria identità. Allora, riscopriamo tutta la bellezza e la responsabilità di essere Chiesa apostolica!".

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/16/udienza_generale._il_papa:_una_chiesa_chiusa_in_s%C3%A9_e_nel_passato/it1-737712
del sito Radio Vaticana 

mercoledì 16 ottobre 2013

La Fede un dono da donare


sintesi 
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2013

quest’anno celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale mentre si sta concludendo l'Anno della fede.
1. La fede è dono prezioso di Dio, il quale apre la nostra mente perché lo possiamo conoscere ed amare. Egli vuole entrare in relazione con noi per farci partecipi della sua stessa vita e rendere la nostra vita più piena di significato, più buona, più bella. 
La fede chiede di essere accolta, chiede la nostra personale risposta, il coraggio di affidarci a Dio, di vivere il suo amore, grati per la sua infinita misericordia. 
 è un dono che non si può tenere solo per se stessi, ma che va condiviso. Se noi vogliamo tenerlo soltanto per noi stessi, diventeremo cristiani isolati, sterili e ammalati. L’annuncio del Vangelo fa parte dell’essere discepoli di Cristo ed è un impegno costante che anima tutta la vita della Chiesa.

2.La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i “confini" della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna, non come un aspetto secondario della vita cristiana, ma come un aspetto essenziale: tutti siamo inviati sulle strade del mondo per camminare con i fratelli, professando e testimoniando la nostra fede in Cristo e facendoci annunciatori del suo Vangelo. 
L'impegno apostolico non è completo se non contiene il proposito di “rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni”, di fronte a tutti i popoli. 

3. E’ urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. 

4. Viviamo poi in un momento di crisi che tocca vari settori dell'esistenza, non solo quello dell’economia, della finanza, della sicurezza alimentare, dell’ambiente, ma anche quello del senso profondo della vita e dei valori fondamentali che la animano. 
 L’uomo del nostro tempo ha bisogno di una luce sicura che rischiara la sua strada e che solo l’incontro con Cristo può donare. 
La missionarietà della Chiesa non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino, che porta speranza e amore. 
Dal Vaticano, 19 maggio 2013, Solennità di Pentecoste

FRANCESCO

martedì 15 ottobre 2013

amore senza se e senza ma

 Per non cedere allIinsidia dell’idolatria e l’ipocrisia è necessario mettere in pratica i Comandamenti dell’amore a Dio e al prossimo.
Il comandamento “nuovo” del cristianesimo è l’amore al prossimo senza se e ma. 
Quando non adoriamo Dio, adoriamo le creature. 
l’idolatria ha trovato altre forme e modi:“Anche oggi, ci sono tanti idoli e tanti idolatri, tanti che si credono sapienti. 
Tutti noi abbiamo dentro qualche idolo nascosto. 

San Paolo definisce stolti gli idolatri, nel Vangelo Gesù fa lo stesso con gli ipocriti.Gesù consiglia: non guardare le apparenze, andare proprio alla verità. 
Ecco la strada del Signore: è adorare Dio, amare Dio, sopra di tutto e amare il prossimo. 
E’ tanto semplice, ma tanto difficile! Soltanto questo si può fare con la grazia. Chiediamo la grazia”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/15/il_papa:_adoriamo_dio_e_amiamo_il_prossimo_per_non_essere_idolatri_n%C3%A9/it1-737359
del sito Radio Vaticana 

Testimoniare, Incontrare, Adorare



Oggi ci sono bambini che neanche sanno farsi il segno della Croce. 
È un segno dell’analfabetismo religioso attuale. Serve una “nuova evangelizzazione” basata su tre punti:

  1.  primato della testimonianza, 
  2. urgenza dell’andare incontro, 
  3. progetto pastorale centrato sull’essenziale.
  1.  La testimonianza, “specialmente di questi tempi”, ha bisogno di testimoni credibili che con la vita rendano visibile il Vangelo erisveglino l’attrazione per Gesù Cristo, per la bellezza di Dio

Parlare al mondo che non conosce Gesù, o che gli è indifferente, con “il linguaggio della misericordia, fatto di gesti e di atteggiamenti prima ancora che di parole”:

“Ogni battezzato è ‘cristoforo’, cioè portatore di Cristo, come dicevano gli antichi Padri. Chi ha incontrato Cristo, come la Samaritana al pozzo, non può tenere per sé questa esperienza, ma sente il desiderio di condividerla, per portare altri a Gesù. C’è da chiedersi tutti se chi ci incontra percepisce nella nostra vita il calore della fede, vede nel nostro volto la gioia di avere incontrato Cristo!”.

2. “l’andare incontro agli altri”. Uscire: È la vocazione del cristiano. Uscire verso gli altri, dialogare con tutti, che abbiano o meno fede, “senza paura e senza rinunciare alla nostra appartenenza”:

“La Chiesa è inviata a risvegliare dappertutto questa speranza, specialmente dove è soffocata da condizioni esistenziali difficili, a volte disumane, dove la speranza non respira, soffoca. C’è bisogno dell’ossigeno del Vangelo, del soffio dello Spirito di Cristo Risorto, che la riaccenda nei cuori. La Chiesa è la casa in cui le porte sono sempre aperte non solo perché ognuno possa trovarvi accoglienza e respirare amore e speranza, ma anche perché noi possiamo uscire a portare questo amore e questa speranza. Lo Spirito Santo ci spinge ad uscire dal nostro recinto e ci guida fino alle periferie dell’umanità”.
3. un progetto pastorale ben centrato sull’essenziale, cioè  su Gesù Cristo”:

“Non serve disperdersi in tante cose secondarie o superflue, ma concentrarsi sulla realtà fondamentale, che è l’incontro con Cristo, con la sua misericordia, col suo amore e l’amare i fratelli come Lui ci ha amato. Un incontro con Cristo che anche è adorazione, parola poco usata. Adorare Cristo! Un progetto animato dalla creatività e dalla fantasia dello Spirito Santo, che ci spinge anche a percorrere vie nuove, con coraggio, senza fossilizzarci!”. 
I genitori siano i primi catechisti, i primi educatori della fede nella propria famiglia con la testimonianza e con la parola”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/14/il_papa:_il_mondo_soffoca,_serve_l%E2%80%99ossigeno_del_vangelo_annunciato/it1-737106
del sito Radio Vaticana 

lunedì 14 ottobre 2013

La sindrome di Giona o il segno di Giona?

del 2013-10-14 10:50:22 
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“La ‘sindrome di Giona’ non ha lo zelo per la conversione della gente, cerca una santità ‘tintoria’, tutta bella, tutta benfatta, ma senza quello zelo di andare a predicare il Signore. Ma il Signore di fronte a questa generazione ammalata dalla ‘sindrome di Giona’ promette il segno di Giona. L’altra versione, quella di Matteo, dice: Giona è stato dentro la balena tre notti e tre giorni, riferimento a Gesù nel sepolcro – alla sua morte e alla sua Risurrezione – e quello è il segno che Gesù promette, contro l’ipocrisia, contro questo atteggiamento di religiosità perfetta, contro questo atteggiamento di un gruppo di farisei”.
“Il segno di Giona, il vero, è quello che ci dà la fiducia di essere salvati per il sangue di Cristo. Quanti cristiani, quanti ce ne sono, pensano che saranno salvati soltanto per quello che loro fanno, per le loro opere. Le opere sono necessarie, ma sono una conseguenza, una risposta a quell’amore misericordioso che ci salva. Ma le opere sole, senza questo amore misericordioso non servono. Invece, la ‘sindrome di Giona’ ha fiducia soltanto nella sua giustizia personale, nelle sue opere”. 
“Ecco, la ‘sindrome di Giona’ ci porta alla ipocrisia, a quella sufficienza, ad essere cristiani puliti, perfetti, ‘perché noi facciamo queste opere: compiamo i comandamenti, tutto’. E’ una grossa malattia. E il segno di Giona, che la misericordia di Dio in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, per la nostra salvezza. cosa preferisco io? La sindrome di Giona o il segno di Giona?”


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/14/il_papa:_non_basta_religiosit%C3%A0_perfetta_per_salvarsi,_i_cristiani_si/it1-737046
del sito Radio Vaticana 

SETTE DOTI DEL SAPIENTE


In sette cose l'uomo intelligente si distingue dallo stupido:

 1. L'intelligente non parla davanti a chi è più sapiente di lui.
2. Non interrompe il discorso di un altro.
3. Non si affretta a rispondere.
4. Fa domande pertinenti e dà risposte appropriate.
5. Dice all'inizio ciò che va detto all'inizio e alla fine ciò che va detto alla fine.
 6. Riconosce ciò che non conosce.
7. È disposto sempre a riconoscere la verità.

noi misura di ogni cosa?


Ognuno di noi confonde i limiti del suo campo visivo per i confini del mondo. Arthur Schopenhauer

Il mantello strappato



Un soldato chiese al maestro se Dio accoglie davvero un convertito. 
L'amico gli replicò: «Dimmi un po': se il tuo mantello si strappa, tu lo getti via?». 
«No, rispose il soldato, lo rammendo e continuo a usarlo». 
 Disse allora il maestro: «Se tu hai pietà del tuo mantello e lo conservi, Dio non avrà pietà e non terrà cara la sua creatura?».

il fango e le stelle



Siamo tutti nati nel fango, 
ma alcuni di noi guardano alle stelle.

cambiare per non naufragare

Cambia la tua strategia quando le cose non vanno molto bene e
vedrai che poi andrà meglio.

Se un giorno ti verrà rimproverato che il tuo lavoro non è stato
fatto con professionalità, rispondi che l'Arca di Noè è stata costruita 
da dilettanti e il Titanic da professionisti...

domenica 13 ottobre 2013

Dio affida in un modo speciale l’uomo alla donna



25° anniversario della Lettera apostolica Mulieris dignitatem del Papa Giovanni Paolo II
un documento storico, il primo del Magistero pontificio dedicato interamente al tema della donna. 
Dio affida in un modo speciale l’uomo, l’essere umano, alla donna (cfr n° 30).
Che cosa significa questo “speciale affidamento”, speciale affidamento dell’essere umano alla donna? La maternità, è la donna che concepisce, porta in grembo e partorisce i figli degli uomini. E questo non è semplicemente un dato biologico, ma  comporta una ricchezza di implicazioni sia per la donna stessa, per il suo modo di essere, sia per le sue relazioni, per il modo di porsi rispetto alla vita umana e alla vita in genere. Chiamando la donna alla maternità, Dio le ha affidato in una maniera del tutto speciale l’essere umano.
Qui però ci sono due pericoli 
1. ridurre la maternità ad un ruolo sociale, ad un compito, anche se nobile, ma che di fatto mette in disparte la donna con le sue potenzialità, non la valorizza pienamente nella costruzione della comunità. Q
2. promuovere una specie di emancipazione che, per occupare gli spazi sottratti dal maschile, abbandona il femminile con i tratti preziosi che lo caratterizzano. 
Anche nella Chiesa è importante chiedersi: quale presenza ha la donna? 

STRALCI
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL SEMINARIO PROMOSSO 
DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI 
IN OCCASIONE DEL XXV ANNIVERSARIO DELLA "MULIERIS DIGNITATEM"
Sala Clementina
Sabato, 12 ottobre 2013


'Permesso', 'scusa', 'grazie'













“Dio ci sorprende; è proprio nella povertà, nella debolezza, nell’umiltà che si manifesta e ci dona il suo amore che ci salva, ci guarisce e ci dà forza. Chiede solo che seguiamo la sua parola e ci fidiamo di Lui”.
“Dio ci sorprende sempre, rompe i nostri schemi, mette in crisi i nostri progetti, e ci dice: fidati di me, non avere paura, lasciati sorprendere, esci da te stesso e seguimi!”

“Mi lascio sorprendere da Dio, come ha fatto Maria, o mi chiudo nelle mie sicurezze materiali, i intellettuali, ideologiche, dei nei miei progetti? Lascio veramente entrare Dio nella mia vita? Come gli rispondo?”.

Spesso è facile dire sì', ma poi non si riesce a ripetere questo ‘sì’ ogni giorno. Non si riesce ad essere fedeli”.

Maria a Dio ha detto tanti "sì" “nei momenti gioiosi come pure in quelli di dolore”. Tanti "sì" culminati sotto la Croce.
“Sono un cristiano 'a singhiozzo', o sono un cristiano sempre?”.

“La cultura del provvisorio, la cultura del relativo entra anche nel vivere la fede. Dio ci chiede di essergli fedeli, ogni giorno, nelle azioni quotidiane 


“Quante volte ci diciamo grazie in famiglia? E’ una delle parole chiave della convivenza. 'Permesso', 'scusa', 'grazie': se in una famiglia si dicono queste tre parole, la famiglia va avanti. 'Permesso', 'scusami', 'grazie'. Quante volte diciamo 'grazie' in famiglia? Quante volte diciamo grazie a chi ci aiuta, ci è vicino, ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio. E’ facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma andare a ringraziarlo: Mah, non mi viene”.


Al termine della Santa Messa, Papa Francesco ha letto l’Atto di Affidamento alla Madonna di Fatima:

“Beata Maria Vergine di Fatima,
con rinnovata gratitudine per la tua presenza materna
uniamo la nostra voce a quella di tutte le generazioni 
che ti dicono beata”.

“Custodisci la nostra vita fra le tue braccia”. “Insegnaci – ha detto il Santo Padre - il tuo stesso amore di predilezione per i piccoli e i poveri, per gli esclusi e i sofferenti, per i peccatori e gli smarriti di cuore”.

“Raduna tutti sotto la tua protezione
e tutti consegna al tuo diletto Figlio, il Signore nostro Gesù”.
Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/13/giornata_mariana._messa_del_papa:_dio_chiede_il_nostro_s%C3%AC,_maria_ci/it1-736891
del sito Radio Vaticana 

venerdì 11 ottobre 2013

non facciamo affari con il demonio!

2013-10-11 11:02:39 



Papa Francesco: "sempre c’è la tentazione di voler sminuire la figura di Gesù come fosse al massimo un guaritore”
 La presenza del demonio è nella prima pagina della Bibbia e la Bibbia finisce anche con la presenza del demonio, con la vittoria di Dio sul demonio”. 

<“non dobbiamo essere ingenui” Signore ci dà alcuni criteri per “discernere” la presenza del male e per andare sulla “strada cristiana quando ci sono le tentazioni”. 


  1. Uno dei criteri è di “non seguire la vittoria di Gesù sul male” solo “a metà”. “O sei con me – dice il Signore – o sei contro di me”. Gesù, ha soggiunto, è venuto a distruggere il demonio, “a darci la liberazione” dalla “schiavitù del diavolo su di noi”. C’è una lotta e una lotta dove si gioca la salute, la salute eterna, la salvezza eterna” di tutti noi. 
  2. C’è poi il criterio della vigilanza. “Dobbiamo sempre vigilare  contro l’inganno, contro la seduzione del maligno”:

‘Io vigilo su di me, sul mio cuore, sui miei sentimenti, sui miei pensieri? Custodisco il tesoro della grazia? Custodisco la presenza dello Spirito Santo in me? O lascio così, sicuro, credo che vada bene?’ Ma se tu non custodisci, viene quello che è più forte di te. 
 tre criteri, 

  1. Non confondere la verità. Gesù lotta contro il diavolo
  2.  chi non è con Gesù, è contro Gesù. 
  3.  la vigilanza sul nostro cuore, perché il demonio è astuto. Mai è scacciato via per sempre! Soltanto l’ultimo giorno lo sarà”. 

non facciamo affari con il demonio! 
 vigilare! E sempre con Gesù!”


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/11/il_papa:_il_demonio_non_si_vince_con_atteggiamenti_a_met%C3%A0,_seguire/it1-736297
del sito Radio Vaticana 

AMARE LA TERRA



 stralci 
per  63ª Giornata nazionale del Ringraziamento del 10 novembre>.

Giovani protagonisti dell’agricoltura

Martino, giovane ufficiale romano di fronte alle necessità di un povero infreddolito, taglia il suo mantello in due e lo condivide, donando un raggio di sole e di calore che resterà sempre impresso nella memoria di tutti noi. San Martino ci insegna a vivere la vita come un dono, facendo sgorgare la speranza laddove la speranza sembra non esserci.

 Papa Francesco: «Prima di tutto, vorrei dire una cosa, a tutti voi giovani: non lasciatevi rubare la speranza! Per favore, non lasciatevela rubare! E chi ti ruba la speranza? Lo spirito del mondo, le ricchezze, lo spirito della vanità, la superbia, lo spirito del benessere, che alla fine ti porta a diventare un niente nella vita» (Discorso agli studenti delle scuole gestite dai gesuiti in Italia e in Albania, 7 giugno 2013). «Cari amici, non dimenticate: siete il campo della fede! Siete gli atleti di Cristo! Siete i costruttori di una Chiesa più bella e di un mondo migliore!» (Veglia di preghiera con i giovani, Rio de Janeiro, 27 luglio 2013).

Atleta era Martino, atleti siete voi, carissimi giovani, che avete scelto di restare nella vostra terra per lavorare i campi, con dignità e qualità, per fare della vostra campagna un vero giardino. 
il ritorno alla terra cambia radicalmente un Paese e produce benessere per tutti, ravviva la luce negli occhi degli anziani, che non vedono morire i loro sforzi, interpella i responsabili delle istituzioni. 
 il Papa: «Voi giovani, siate i primi: andate controcorrente e abbiate questa fierezza di andare proprio controcorrente. Avanti, siate coraggiosi e andate controcorrente! E siate fieri di farlo!» (Angelus, 23 giugno 2013).

non rassegnatevi, ma siate protagonisti, trasformando la necessità in scelta, immettendo in essa una crescente motivazione che si farà qualità di vita per voi, per le vostre famiglie, per i vostri paesi.

Agli imprenditori agricoli italiani chiediamo di valorizzare la passione lavorativa di chi arriva nelle nostre terre, creando le condizioni per un’inclusione e un’integrazione [...] Non ci sia sfruttamento, ma rispetto, valorizzazione e dignità.

1 - Non sempre, nelle famiglie e nelle scuole, c’è stima adeguata per chi sceglie di fare l’imprenditore agricolo. 
il lavoro della terra, sia considerato come ogni altra vocazione e tutti i lavoratori vedano riconosciuta la stessa dignità, anche in termini economici.

2 - La burocrazia è spesso lenta e impacciata nell’attuazione di miglioramenti fondiari;

3 - Perché si freni lo spopolamento dei nostri paesi di montagna, è urgente investire sulle comunicazioni, sia nelle strade che nella rete telematica.

4 - Chiediamo che le associazioni e i movimenti cattolici accompagnino i giovani imprenditori agricoli, creando per loro gruppi di sostegno sparsi nel territorio, utilizzando anche le nuove tecnologie telematiche. 

5 - Fondamentale resta per ogni giovane il gesto di Martino: condividere quello che abbiamo, spartirlo fraternamente, poiché la fraternità è il fondamento e la via per la pace. 

San Giuseppe, definito dal Papa «custode, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda e sa prendere le decisioni più sagge» (Omelia nella Santa Messa per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma, 19 marzo 2013).

Roma, 4 ottobre 2013

Festa di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia

La Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace