giovedì 20 novembre 2014

LA PORTA DEL CUORE

Quando il Signore visita il suo popolo, ci porta la gioia, ci porta la conversione.
 E tutti noi abbiamo paura non dell’allegria della gioia che porta il Signore, perché non possiamo controllarla.  
Abbiamo paura della conversione, perché convertirsi significa lasciare che il Signore ci conduca”.
 noi cristiani, noi pastori siamo contenti di noi? Perché abbiamo tutto sistemato e non abbiamo bisogno di nuove visite del Signore… E il Signore continua a bussare alla porta, di ognuno di noi e della sua Chiesa, dei pastori della Chiesa. Eh sì, la porta del cuore nostro, della Chiesa, dei pastori non si apre: il Signore piange, anche oggi”.
Gesù piange su Gerusalemme perché non ha riconosciuto Colui che porta la pace.  il Signore piange per “la chiusura del cuore” della “città eletta, del popolo eletto. Non aveva tempo per aprirgli la porta! Era troppa indaffarata, troppo soddisfatta di se stessa. E Gesù continua a bussare alle porte, come ha bussato alla porta del cuore di Gerusalemme: alle porte dei suoi fratelli, delle sue sorelle; alle porte nostre, alle porte del nostro cuore, alle porte della sua Chiesa. Gerusalemme si sentiva contenta, tranquilla con la sua vita e non aveva bisogno del Signore: non se ne era accorta che aveva bisogno di salvezza. E per questo ha chiuso il suo cuore davanti al Signore”. “Il pianto di Gesù” su Gerusalemme  è “il pianto sulla sua Chiesa, oggi, su di noi”:
“E perché Gerusalemme non aveva ricevuto il Signore? Perché era tranquilla con quello che aveva, non voleva problemi. 
Aveva paura di essere visitata dal Signore; aveva paura della gratuità della visita del Signore. Era sicura nelle cose che lei poteva gestire. 
Noi siamo sicuri nelle cose che noi possiamo gestire… Ma la visita del Signore, le sue sorprese, noi non possiamo gestirle”.


martedì 18 novembre 2014

twitter 18 nov 2014 am

  1. non sempre abbiamo il coraggio di credere nella Parola di Dio, di ricevere quella Parola che ci guarisce dentro
  2. Quanto rumore nel mondo! Impariamo a stare in silenzio davanti a noi stessi e davanti a Dio.
  3. lascia l’orgoglio e l’attaccamento ai beni di questo mondo; , cioè scegli l’umiltà e la povertà
  4. 2 h2 ore fa
    ti ha ritwittato
    7 h:
    oggi devo fermarmi a casa tua Oggi la salvezza è entrata in questa casa
  5. .grazie del tu penserò .AB.
  6. 2 h2 ore fa
    e altri 5 hanno aggiunto il tuo Tweet ai preferiti
    7 h:
    Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Ap3,14

lunedì 17 novembre 2014

PIù FORTE DELL'INDIFFERENZA

Chiediamo la grazia di essere popolo fedele di Dio, senza chiedere al Signore alcun privilegio, che ci allontani dal popolo di Dio”.
Guardare Gesù dimenticandosi di vederlo nel povero che chiede aiuto, nell’emarginato che fa ribrezzo. È la tentazione che la Chiesa vive in ogni epoca, quella di recintare se stessa all’interno di un “microclima ecclesiastico”,  invece che aprire le porte ai socialmente esclusi. 
Grida più forte del muro di indifferenza che lo circonda finché vince la sua scommessa e riesce a bussare alla “porta del cuore di Gesù

“Questa periferia non poteva arrivare al Signore, perché questo circolo – ma con tanta buona volontà, eh – chiudeva la porta. E questo succede con frequenza, fra noi credenti: quando abbiamo trovato il Signore, senza che noi ce ne accorgiamo, si crea questo microclima ecclesiastico. Non solo i preti, i vescovi, anche i fedeli: ‘Ma noi siamo quelli che stanno col Signore’. E da tanto guardare al Signore non guardiamo le necessità del Signore: non guardiamo al Signore che ha fame, che ha sete, che è in prigione, che è in ospedale. Quel Signore, nell'emarginato. E questo clima fa tanto male”.
Questa è una tentazione dei discepoli: dimenticare il primo amore, cioè dimenticare anche le periferie, dove io ero prima, anche se devo vergognarmi”.

 
  • Papa Francesco
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  • Santa Marta

  • domenica 16 novembre 2014

    novembre



    NOVEMBRE: Richiamo alla nostra speranza [1]
    La Chiesa ricorda in questo mese una consolante verità: la Comunione dei Santi. I fedeli ancora in viaggio onorano i fratelli che hanno già raggiunto la meta e sono nel luogo del trionfo e ricordano con preghiere e suffragi quelli che, usciti da questo mondo, stanno per ottenere definitivamente il premio, purificandosi nel regno del Purgatorio, anticamera del Paradiso.
    Con la festa di tutti i Santi, la Chiesa ci insegna che lutti i cristiani sono chiamati alla santità seguendo Gesù, maestro e modello, che disse: Siate perfetti come è perfetto il Padre mio celeste”. I Santi che celebriamo nella solennità del 1° Novembre sono appunto i cristiani che, come insegna il Vaticano Il, in tutto il corso della loro terrena esistenza, hanno vissuto e perfezionato la santità ricevuta nel Battesimo. Pochi, fra essi, sono stati proclamati santi dalla Chiesa ufficialmente; si tratta di persone che, nella vita della Chiesa hanno avuto missioni particolari o sono state arricchite da Dio di particolari carismi.
    La moltitudine immensa » che San Giovanni dice di aver veduto in Paradiso, è composta di ogni popolo, di ogni condizione e di ogni tempo, ed è la testimonianza gloriosa della vocazione universale dei Cristiani alla santità. Essi sono vissuti nelle stesse
    condizioni in cui viviamo noi oggi; hanno dovuto superare le nostre stesse difficoltà: sono stati come nostri compagni di viaggio che sono giunti più presto di noi alla loro destinazione. Verso questa meta luminosa noi, ancora pellegrini sulla terra, affrettiamo nella speranza il nostro cammino. E’ giusto che il ricordo dei Santi ci faccia pensare alla Patria che essi hanno già raggiunto e che è per noi oggetto di viva speranza, contando anche sull’aiuto fraterno dei santi che intercedono per noi. Fissiamo il nostro
    sguardo in essi per imitarli, per seguirli e per raggiungere la stessa meta. Il giorno dei morti è un giorno di mestizia nonn disperata. Il 2 Novembre non è solo data di Chiesa; è patrimonio di una civiltà. Per chi crede, però, il mistero di questa commemorazione è ben più profondo. Vi è la certezza della vittoria sulla morte raggiunta in Cristo; v’è la speranza di un incontro con Lui e con gli amici che ci hanno preceduto, la gioia di ritrovarsi come a casa per sempre, che deriva dal pensiero che, cessato il tempo, inizia l’eternità. La chiesa non è fatta soltanto di compagni di viaggio che vivono nel nostro tempo,
    ma anche di coloro che sono passati quaggiù prima di noi. Ora sono lassù in Paradiso? In Purgatorio?.... Un fatto consolante è che per raggiungere il Paradiso bisogna essere purificati; e il Purgatorio ha questo scopo: diventare degni della felicità eterna.
    L’Arciprete
    don Angelo Mastrndrea



    [1] MASTARNDREA, Partecipare, n. 10 novembre 1974, p. 1 e 16.
     

    venerdì 14 novembre 2014

    Camminare nella verità e nell’amore

    Abbiamo una responsabilità di dare il meglio che noi abbiamo e il meglio che noi abbiamo è la fede: darla a loro, ma darla con l’esempio! Con le parole non serve, con le parole… Oggi, le parole non servono! In questo mondo dell’immagine, tutti questi hanno il telefonino e le parole non servono… Esempio! Esempio! Cosa do loro?”
     Camminare nella verità e nell’amore.
     Ma questo cammino è importante saperlo vivere come Gesù.
    Come si trasmette la fede ai nativi digitali? Con la modalità che più di altre può far presa su chi vive costantemente stimolato dalle immagini: l’esempio. 
    guardare ai ragazzi è guardare a una promessa, è guardare al mondo che verrà. Ma al nostro futuro, si chiede, “cosa lasciamo?”:
    “Insegniamo a camminare nell’amore e nella verità? O lo insegniamo con le parole, ma la nostra vita va da un’altra parte? Guardare i ragazzi è una responsabilità! Un cristiano deve prendersi cura dei ragazzi, dei bambini e trasmettere la fede, trasmettere quello che vive, che è nel suo cuore. Noi non possiamo ignorare le piantine che crescono!”.
    chiedere a Gesù che ci insegni a camminare nella verità e nell’amore. 

    AVVENTO



    AVVENTO [1]
    Avvento è attesa! E fra i sentimenti che riempiono il cuore vi è l’ansia. Che cosa o chi aspettiamo  nell’ avvento? La venuta dì Gesta nella carne a Betlemme, e, come giudice, alla fine del mondo. Tutto ciò si concretizza nella Liturgia: Cristo che è venuto, che viene e che verrà. Intanto che siamo proiettati nel futuro, a fissare lo sguardo oltre le nubi per scorgervi il segno glorioso del « Figlio dell’Uomo », riflettiamo in questo sacro tempo di attesa che è silenzio, ascolto, cammino, conversione. Accettiamo la predicazione del Battista che ci prepara con isaica espressione ad accogliere il Messia; abbassando i monti, colmando gli abissi, aprendo strade nel deserto e raddrizzando i sentieri storti. Leviamo lo sguardo della fede: ecco Cristo che viene vivo coi vivi, a darci vita con la sua vita, come dice don O rione, Egli avanza al grido angoscioso dei popoli. Cristo viene portando nelle sue mani le lacrime e il sangue dei poveri; la croce  degli afflitti, degli oppressi, delle vedove, degli orfani, degli emarginati, dei reietti.
    Nel tempo forte dell’Avvento, la stessa solennità mariana dell’immacolato  Concepimento della Vergine anziché distrarci, ci aiuta potentemente ad andare incontro a Cristo che viene. Essa ci richiama, secondo le prime pagine della Bibbia, alla promessa del Redentore che verrà e nascerà da una Donna che schiaccerà la testa del serpente ingannatore. Ed allora con Maria andiamo verso il Natale del Salvatore da Lei donato agli uomini, preparandoci con le medesime disposizioni di fede viva, di desiderio e di ardente amore della Vergine Madre.
     
    L’ARCIPRETE
    Dan Angelo Mastrandrea


    [1] Don A. MASTRANDREA, Partecipare, n. 11 dicembre 1974 p. 2

    giovedì 13 novembre 2014

    COME IL SEME


    Nel silenzio, magari di una casa dove “si arriva a fine mese con mezzo euro soltanto” eppure non si smette di pregare e di curare i propri figli e i propri nonni: è lì che si trova il Regno di Dio. Lontano dal clamore, perché il Regno di Dio “non attira l’attenzione” esattamente come non la attira il seme che cresce sotto terra.
    il Regno di Dio è silenzioso, cresce dentro. Lo fa crescere lo Spirito Santo con la nostra disponibilità, nella nostra terra, che noi dobbiamo preparare”.

    il Regno di Dio non è lontano da noi, è vicino! Questa è una delle sue caratteristiche: vicinanza di tutti i giorni”.
    Anche la sofferenza, la croce, la croce quotidiana della vita – la croce del lavoro, della famiglia, di portare avanti bene le cose – questa piccola croce quotidiana è parte del Regno di Dio”.
    chiediamo al Signore la grazia “di curare il regno di Dio che è dentro di noi” con “la preghiera, l’adorazione, il servizio della carità, silenziosamente”:
    “Il Regno di Dio è umile, come il seme: umile ma viene grande, per la forza dello Spirito Santo. A noi tocca lasciarlo crescere in noi, senza vantarci: lasciare che lo Spirito venga, ci cambi l’anima e ci porti avanti nel silenzio, nella pace, nella quiete, nella vicinanza a Dio, agli altri, nell’adorazione a Dio, senza spettacoli”.

    mercoledì 12 novembre 2014

    LO SPORT



    LO SPORT COME SERVIZIO SOCIALE[1]
     È ormaiincontestabile che lo sport faccia parte integrante della nostra vita. Il guaio è che moltissimi di noi sono sportivi seduti, divenendo così facilmente solo tifosi; e solo pochi sono sportivi attivi.
    L’attività invece è quella che dovrebbe prevalere tanto da fare i ogni uomo uno sportivo praticante. È ormai risaputo che molti medici e igenisti affermano che lo sport è un ottimo correttivo della vita sedentaria, specialmente ora che la vita moderna con i suoi ritrovati e con le sue comodità toglie molte occasioni di movimento. Lo sport perciò è un correttivo alla portata di tutti e può essere dosato secondo ogni individuo.
    Abbiamo così ravvisato una prima validità sociale della pratica sportiva che interesserebbe ogni uomo a qualsiasi età. Perciò è necessario che lo sport contribuisca alla crescita umana e sociale di ogni comunità.
    Nella nostra cittadina è possibile una simile crescita?
    Secondo noi : SI!
    Per raggiungere questo traguardo pewrò bisogna mettere impianti sportivi a disposizione di tutti. Bisogna creare una sensibilità nuova facendo capire che lo sport può benissimo essere un fatto popolare e di massa, praticato per il bene del proprio corpo e del proprio spirito da giovani, uomini, anziani. I giovani è chiaro, hanno una naturale propensione; ma gli adulti possono acquisire l’abitudine a fare dello sport anche per preveniretante malattie.
    Già i romani ai loro tempi l’avevano capito, affermando “mens sana in corpore sano”. Certo avevano capito che la pratica sportiva oltre che ad irrobustire il fisico era salutare anche per le facoltà spirituali: dava armonia, completessa, senso della misura, serenità…
    Sono necessarie però attrezzature sportive che permettano lo svolgersi.. ci vogliono molti impianti, perché sono anche luogo di incontro, posti dove nascono nuove amicizie, mezzi di grande amalgama sociale
    GIUSEPPE SILETTI


    [1] G. SILETTI, Partecipare, n. 1 gennaio 1974, p. 1 e 12

    LEBBRA



    27 gennaio giornata per i lebbrosi[1]
    L’ultima domenica di gennaio si celebra la “giornata mondiale per i lebbrosi” questanno è la XXI. Sorta pe iniziativa di Raoul Follerau, essa ha lo scopo di sensibilizzare il mondo al problema di 15 milioni di uomini, quasi tutti appartenenti ai paesi più poveri, colpiti da una malattia che oggi ha ampie possibilità di essere curata e guarita se si interviene in tempo. I missionari Cattolici hanno sempre considerato loro specifico dovere interessarsi della sorte dei lebbrosi, proprio perché essi sono i più poveri tra i poveri.
    Il più famoso di essi è padre Damiano De Veuster, morto lebbroso a Molokai, in Oceania, dopo aver creato in quell’inferno di segregazione una vera comunità di fede e di amore.
    Ma gli esempi di eroismo e di dedizione sono senza numero. Il 31 ottobre 1973 è morto a 78 anni mons. Jean Cassaigue delle Missioni esteri di Parigi, vicario apostolico a Saigon dal 1941 al 1955. egli era nel Vietnam dal 1926, si era dedicato principalmente all’evangelizzazione delle popolazioni montanare della regione e nel suo zelo costruì un lebbrosario-villaggio a Dilinh nella Diocesi di Dalat e chiuse la sua esistenza col supremo sacrificio contraendo il morbo dei suoi cari figliuoli. Unica preoccupazione era che i lebbrosi non venissero abbandonati dopo la sua scomparsa.
    Il padre Giuseppe Greggio presta da anni la sua opera a Mosango nello Zaire. Una suora, suor Maria Susanna delle Missionarie Mariste, morta a Lione nel 1957, riuscì a isolare , dopo lunghissimi anni di ricerche in laboratorio, uno dei bacilli della lebbra, il “Mycobacterium Marianum”, contro il quale preparò anche un vaccino.
    Vi sono poi innumerevoli opere di assistenza e i vari centri di riabilitazione. Questi ultimi sono di un importanza vitale per il reinserimento dei lebbrosi guaiti nella società. Dati i pregiudizi secolari esistenti contro questa malattia, la soluzione del problema non è sempre facile, anche per l’ostracismodi cui i malati di lebbra sono ancora oggetto. Eppure sono anch’essi nostri fratelli ai quali secondo l’espressione di Follerai, “dobbiamo aprire il cammino della speranza”. Quel camino iniziò esattamente nel 1873, con la scoperta del bacillo della lebbra da parte del norvegese Armanauer Hansen.
    Chi più di tutti oggi porta avanti con zelo veramente apostolico la campagna contro la lebbra è l’avv. Raoul Folleraou , l’apostolo volante da un continente all’altro in compagnia della sua degna signora, che con lui nei vari lebbrosari porta non solo l’aiuto dei farmaci, ma anche il calore dell’amore e il confroto della speranza cristiana.
    La stampa di alcuni anni fa riportò la coraggiosa sfida lanciata da Follerai ai due K, i potenti presidenti Kennedy e Kruscev: consegnare per i suoi lebbrosi l’equivalente prezzo di un bombardiere per uno, cioè circa 2 miliardi di lire, che potevano in gran parte contribuire a risolvere il problema dei lebbrosi nel mondo. La richiesta non ebbe successo.
    Se oggi nel mondo esistono ancora 15 milioni di lebbrosi, dobbiamo sentirci tutti sotto accusa, in proporzione a ciò che possiamo fare e non facciamo per risolvere questa miseria umana. E pensare che la cura per guarire un lebbroso costa appena 2.000 lire
    L’arciprete DON ANGELO MASTRANDREA


    [1] MASTRANDREA don Angelo, Partecipare, n. 1 gannaio 1974, p. 2

    NATALE



    IL NATALE [1]
    Il Natale è il giorno dei doni, forse non sempre ricordiamo i grandi doni che Dio ci ha fatto: il dono del Figlio suo Gesù Cristo, il dono della Grazia mediante i sacramenti, il dono della sua Chiesa che ci santifica nella verità affidatale da Cristo se sapessimo quali dono Dio ci fa! Allora tutti gli altri motivi umani dei nostri incontri natalizi avrebbero un incontro più alto. Il gesto premuroso di stendere un dolce, procurare un giocattolo ad un bimbo…avrebbe un che di sacro. Richiamerebbe l’amore di dio; che si è reso visibile in tutta la vicenda umana di Gesù.
    Natale è il primo segno di povertà di dio. Bisogna saper interpretare il silenzio di Betlemme. È vero, Cristo è il verbo di Dio, cioè Parola di Dio detta a noi; ma è detta a noi nella carne, in cui la grandezza di Dio tace. Per parlarci, per amarci Dio si fa uno di noi e si umilia fino ad annientarsi. Non si possono capire le sue parole i suoi gesti se non si comprende il silenzio che il vangelo fortemente sottolinea.
    E’ nel silenzio che Dio si dona, è nel silenzio che noi possiamo ascoltare quella parola che ci convince che noi siamo amati. Solo se riusciamo a conoscere l’amore che Dio a per noi e a crederci, noi riusciremo ad immettere in un mondo congelato una carica d’amore.
    Il segno di Betlemme (“troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia) è il segno per salvarci. Beato chi non si scandalizza di questo primo segno di povertà di Dio, beato chi sa riconoscere e accettare le vie che egli ha scelto per venire a noi.
    La celebrazione del Natale ci invita a meditare sull’eminenza dell’altissima povertà come diceva s. Francesco d’Assisi. Scrive san Paolo ai cristiani di Corinto che Cristo “da ricco che era si fece povero per amor nostro, allo scopo di fare noi ricchi con la sua povertà” 2 Cor 8,9
    Lo stesso Apostolo invita i cristiani di Filippi ad avere “ gli stessi sentimenti di Cristo Gesù il quale prendendo la forma di servo e divenendo simile agli uomini apparve come semplice uomo2 (Fil 2,5-7)
    Scrive il teologo J.B. Metz: “farsi uomo significa divenire povero, non avere niente di cui farsi forte dinanzi a Dio”



    [1] MASTRANDREA don Angelo, Partecipare, numero unico Natale 1973, p. 1 e 8

    martedì 11 novembre 2014

    La fede farà miracoli sulla strada del servizio

    Gesù parla del servo che dopo aver lavorato tutta la giornata, arrivato a casa, invece di riposarsi deve ancora servire il suo signore:
    Qualcuno di noi consiglierebbe a questo servo di andare al sindacato a cercare un po’ di consiglio. Ma Gesù dice:" No, il servizio è totale".
    Lui si presenta come il servo, quello che è venuto a servire e non a essere servito 
    La fede farà miracoli sulla strada del servizio.
    Un cristiano che riceve il dono della fede nel Battesimo,  ma “non porta avanti questo dono sulla strada del servizio, diventa un cristiano senza forza, senza fecondità”. A
    Diventa “un cristiano per se stesso, per servire se stesso”. 

    “La pigrizia ci allontana dal servizio e ci porta alla comodità, all’egoismo.  
    è una tentazione per tutti i cristiani che diventano padroni della fede, del Regno, della Salvezza. 
    Il Signore ci parla di servizio: “servizio in umiltà”, “servizio in speranza, e questa è la gioia del servizio cristiano”:
    “Nella vita dobbiamo lottare tanto contro le tentazioni che cercano di allontanarci da questo atteggiamento di servizio. La pigrizia porta alla comodità: servizio a metà; e l’impadronirsi della situazione, e da servo diventare padrone, che porta alla superbia, all’orgoglio, a trattare male la gente, a sentirsi importanti ‘perché sono cristiano, ho la salvezza’. Il Signore ci dia queste due grazie grandi: l’umiltà nel servizio, al fine di poterci dire: ‘Siamo servi inutili – ma servi – fino alla fine’; e la speranza nell’attesa della manifestazione, quando venga il Signore a trovarci”.

    lunedì 10 novembre 2014

    State attenti a voi stessi!

    “Guai a chi scandalizza”, afferma perentorio Cristo.
    Lo stile di vita di un CRISTIANO deve essere non violento, sobrio – in una parola “irreprensibile”, ovvero agli antipodi dello scandalo

    “Quando un cristiano  non vive così, scandalizza. 
     Lo scandalo distrugge, distrugge la fede! E per questo Gesù è tanto forte: ‘State attenti! State attenti!’. 
     ‘State attenti a voi stessi!’. Tutti noi siamo capaci di scandalizzare”.
    In modo uguale e contrario, tutti dovremmo invece saper perdonare.
    E perdonare “sempre”,anche “sette volte in un giorno” se chi ci ha fatto un torto ce lo chiede pentito. “un cristiano che non è capace di perdonare scandalizza: non è cristiano”:
    “Dobbiamo perdonare, perché perdonati. E questo è nel Padre Nostro: Gesù lo ha insegnato lì. E questo non si capisce nella logica umana. La logica umana ti porta a non perdonare, alla vendetta; ti porta all’odio, alla divisione. Quante famiglie divise per non perdonarsi: quante famiglie! Figli allontanati dai genitori, marito e moglie allontanati…
    Signore: ‘Accresci in noi la fede’”:
    “Senza la fede non si può vivere senza scandalizzare e sempre perdonando. Soltanto la luce della fede, di quella fede che noi abbiamo ricevuto: della fede di un Padre misericordioso, di un Figlio che ha dato la vita per noi, di uno Spirito che è dentro di noi e ci aiuta a crescere, della fede nella Chiesa, della fede nel popolo di Dio, battezzato, santo. E questo è un dono, la fede è un regalo. Nessuno con i libri, andando a conferenze, può avere la fede. La fede è un regalo di Dio che ti viene e per questo gli apostoli chiesero a Gesù: ‘Accresci in noi la fede!’”.

    giovedì 6 novembre 2014

    NESSUNO SI PERDA

    le due parabole della pecora smarrita e della moneta perduta. 
    I farisei e gli scribi si scandalizzano perché Gesù “accoglie i peccatori e mangia con loro”.
    Ma Gesù è venuto “per questo: per andare a cercare quelli che si erano allontanati dal Signore”. 
    Il cuore di Dio non si ferma, Dio non va fino ad un certo punto, Dio va fino in fondo, al limite, sempre va al limite; non si ferma a metà cammino della salvezza,  sempre esce, scende in campo.

    Dio non è un affarista, Dio è Padre e va a salvare fino alla fine, fino al limite. 

    “E’ triste il pastore che apre la porta della Chiesa e rimane lì ad aspettare.  
    E’ triste il cristiano che non sente dentro, nel suo cuore, il bisogno, la necessità di andare a raccontare agli altri che il Signore è buono. 
    Il vero cristiano ha questo zelo dentro: nessuno si perda. E per questo non ha paura di sporcarsi le mani. Non ha paura. Va dove deve andare. Rischia la sua vita, rischia la sua fama, rischia di perdere la sua comodità, il suo status. 
    E’ tanto facile condannare gli altri, non è cristiano. 
    Cristiani a metà cammino, mai! E’ quello che ha fatto Gesù”.
    “Il buon pastore, il buon cristiano esce, sempre è in uscita: è in uscita da se stesso, è in uscita verso Dio, nella preghiera, nell’adorazione; è in uscita verso gli altri per portare il messaggio di salvezza”. E il buon pastore e il buon cristiano conoscono cosa sia la tenerezza:
    “Questi scribi, farisei non ne sapevano, non sapevano cosa fosse caricare sulle spalle la pecora, con quella tenerezza, e riportarla con le altre al suo posto.
    non avere paura che si sparli di noi per andare a trovare i fratelli e le sorelle che sono lontani dal Signore.

    lunedì 3 novembre 2014

    Cercare il bene dell’altro

    la gioia di un vescovo è quella di vedere nella sua Chiesa amore, unità e concordia. 
    Quest’armonia è una grazia, la fa lo Spirito Santo, ma noi dobbiamo fare di tutto per aiutare lo Spirito Santo a fare questa armonia nella Chiesa. 
    San Paolo invita i Filippesi a non fare nulla “per rivalità o vanagloria”, né a “lottare l’uno contro l’altro, neppure per farsi vedere, per darsi l’aria di essere migliore degli altri”. “
     La rivalità; il farsi vedere; la vanagloria, sono tarli che mangiano la consistenza della Chiesa, la rendono debole. La rivalità e la vanagloria vanno contro questa armonia, questa concordia. Ma ciascuno di voi, con tutta umiltà’consideri gli altri superiori a se stesso
     San Paolo, poi, esorta ciascuno a non cercare il proprio interesse:
    Cercare il bene dell’altro. Servire gli altri
    Gesù ci dice nel Vangelo: non cercare il proprio interesse, non andare sulla strada del contraccambio.
     Quando in una Chiesa c’è l’armonia, c’è l’unità, non si cerca il proprio interesse, c’è questo atteggiamento di gratuità.