venerdì 31 gennaio 2014

la superbia fa gli altri nostre vittime

Tutti siamo peccatori e tutti siamo tentati e la tentazione è il pane nostro di ogni giorno. Se qualcuno di noi dicesse: ‘Ma io mai ho avuto tentazioni’, o sei un cherubino o sei un po’ scemo, no?
E’ normale nella vita la lotta e il diavolo non sta tranquillo, lui vuole la sua vittoria. 
Ma il problema non è tanto la tentazione è il peccato !!!

Ogni giorno, recitando il “Padre Nostro”, noi chiediamo a Dio “Venga il Tuo Regno…”, il che  vuol dire “cresca il Tuo Regno”. Quando invece si perde il senso del peccato, si perde anche “il senso del Regno di Dio” e al suo posto emerge una “visione antropologica superpotente”, quella per cui “io posso tutto”:

“La potenza dell’uomo al posto della gloria di Dio! Questo è il pane di ogni giorno. Per questo la preghiera di tutti i giorni a Dio ‘Venga il tuo Regno, cresca il tuo Regno’, 
perché la salvezza non verrà dalle nostre furbizie, dalle nostre astuzie, dalla nostra intelligenza nel fare gli affari. La salvezza verrà dalla grazia di Dio e dall’allenamento quotidiano che noi facciamo di questa grazia nella vita cristiana”.
“Il più grande peccato di oggi è che gli uomini hanno perduto il senso del peccato”. [cit.Pio XII]
Uria, l’uomo incolpevole mandato a morte per la colpa del suo re Davide è l’emblema di tutte le vittime della nostra inconfessata superbia:

“Io vi confesso, quando vedo queste ingiustizie, questa superbia umana, anche quando vedo il pericolo che a me stesso avvenga questo, il pericolo di perdere il senso del peccato, mi fa bene pensare ai tanti Uria della storia, ai tanti Uria che anche oggi soffrono la nostra mediocrità cristiana, quando noi perdiamo il senso del peccato, quando noi lasciamo che il Regno di Dio cada… Questi sono i martiri dei nostri peccati non riconosciuti. Ci farà bene oggi pregare per noi, perché il Signore ci dia sempre la grazia di non perdere il senso del peccato, perché il Regno non cali in noi. Anche portare un fiore spirituale alla tomba di questi Uria contemporanei, che pagano il conto del banchetto dei sicuri, di quei cristiani che si sentono sicuri”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/31/il_papa:_se_perdiamo_il_senso_di_dio,_il_peggiore_dei_peccati_ci/it1-768975
del sito Radio Vaticana 

giovedì 30 gennaio 2014

umiltà, fedeltà e preghiera per essere cristiano nella Chiesa

“Non si capisce un cristiano senza Chiesa”: 
Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. 
Il “sensus ecclesiae”  è “proprio il sentire, pensare, volere, dentro la Chiesa”. Ci sono “tre pilastri di questa appartenenza, di questo sentire con la Chiesa. Il primo è l’umiltà”, nella consapevolezza di essere “inseriti in una comunità come una grazia grande”:

“Una persona che non è umile, non può sentire con la Chiesa, sentirà quello che a lei piace, a lui piace. 
 La storia della Chiesa incominciò prima di noi e continuerà dopo di noi. Umiltà: siamo una piccola parte di un grande popolo, che va sulla strada del Signore”.
Il secondo pilastro è la fedeltà, “che va collegata all’ubbidienza”:

“Fedeltà alla Chiesa; fedeltà al suo insegnamento; fedeltà al Credo; fedeltà alla dottrina, custodire questa dottrina. Umiltà e fedeltà. Anche Paolo VI ci ricordava che noi riceviamo il messaggio del Vangelo come un dono e dobbiamo trasmetterlo come un dono, ma non come una cosa nostra: è un dono ricevuto che diamo. E in questa trasmissione essere fedeli. Perché noi abbiamo ricevuto e dobbiamo dare un Vangelo che non è nostro, che è di Gesù, e non dobbiamo  diventare padroni del Vangelo, padroni della dottrina ricevuta, per utilizzarla a nostro piacere”.
Il terzo pilastro è “pregare per la Chiesa”. 


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/30/papa_francesco:_dicotomia_assurda_amare_cristo_senza_la_chiesa/it1-768624
del sito Radio Vaticana 

mercoledì 29 gennaio 2014

Cresima per vivere da veri cristiani

Confermazione o Cresima, sacramento che va inteso "in continuità con il Battesimo" al quale è legato "In modo inseparabile". "Questi due Sacramenti, insieme con l’Eucaristia  formano un unico evento salvifico, l’iniziazione cristiana, nel quale veniamo inseriti in Gesù Cristo morto e risorto e diventiamo nuove creature e membra della Chiesa. Ecco perché in origine questi tre Sacramenti si celebravano in un unico momento, al termine del cammino catecumenale, che era normalmente nella Veglia Pasquale. Così veniva suggellato il percorso di formazione e di graduale inserimento nella comunità cristiana che poteva durare anche alcuni anni. Si faceva passo per passo, per arrivare al Battesimo, poi alla Cresima e all’Eucaristia”.

‘Cresima’ significa ‘unzione’. Attraverso l’olio detto ‘sacro Crisma’ veniamo conformati, nella potenza dello Spirito, a Gesù Cristo, il quale è l’unico vero ‘unto’, il ‘Messia’, il Santo di Dio”.
 “il termine ‘Confermazione’ ci ricorda poi che questo Sacramento apporta una crescita della grazia battesimale: ci unisce più saldamente a Cristo; porta a compimento il nostro legame con la Chiesa; ci accorda una speciale forza dello Spirito Santo per diffondere e difendere la fede, per confessare il nome di Cristo e per non vergognarci mai della sua croce (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1303)”.
Questo Sacramento è tanto importante nella vita cristiana, perché ci dà la forza per andare avanti! P

e' importante offrire ai cresimandi una buona preparazione, che deve mirare a condurli verso un’adesione personale alla fede in Cristo e a risvegliare in loro il senso dell’appartenenza alla Chiesa”.

“La Confermazione, come ogni Sacramento  non è opera degli uomini, ma di Dio, il quale si prende cura della nostra vita in modo da plasmarci ad immagine del suo Figlio, per renderci capaci di amare come Lui. Egli lo fa infondendo in noi il suo Spirito Santo, la cui azione pervade tutta la persona e tutta la vita, come traspare dai sette doni che la Tradizione, alla luce della Sacra Scrittura, ha sempre evidenziato”.
 “La Sapienza, l’Intelletto, il Consiglio, la Fortezza, la Scienza, la Pietà e il Timore di Dio, questi doni ci sono stati dati proprio con lo Spirito Santo nel Sacramento della Confermazione.
“Quando accogliamo lo Spirito Santo nel nostro cuore e lo lasciamo agire  Cristo stesso si rende presente in noi e prende forma nella nostra vita; attraverso di noi, sarà Lui” cioè “sarà lo stesso Cristo a pregare, a perdonare, a infondere speranza e consolazione, a servire i fratelli, a farsi vicino ai bisognosi e agli ultimi, a creare comunione, a seminare pace.

Ringraziare il Signore di questo dono, e poi chiedergli che ci aiuti a vivere da veri cristiani, a camminare sempre con gioia secondo lo Spirito Santo che ci è stato donato”.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/29/udienza_generale._il_papa_parla_della_cresima:_dono_di_dio_che_ci/it1-768282
del sito Radio Vaticana

martedì 28 gennaio 2014

la preghiera di lode ci fa fecondi

La preghiera di lode ci fa fecondi. 
Sara ha ballato di gioia davanti al Signore. 
La preghiera di lode è una preghiera cristiana per tutti noi! Nella Messa, tutti i giorni, quando cantiamo il Santo… Questa è una preghiera di lode: lodiamo Dio per la sua grandezza, perché è grande! E gli diciamo cose belle, perché a noi piace che sia così. 
‘Ma, Padre, io non sono capace
 Ma sei capace di gridare quando la tua squadra segna un goal e non sei capace di cantare le lodi al Signore? 
Pregare “con tutto il cuore”, Lui è grande! E’ il nostro Dio!”. 
So lodare il Signore o quando prego il Gloria o prego il Sanctus lo faccio soltanto con la bocca e non con tutto il cuore?’. 

“La gioia della lode  ci porta alla gioia della festa. La festa della famiglia”. 

“noi disprezziamo nel nostro cuore persone buone, gente buona che loda il Signore come le viene, così spontaneamente, perché non sono colti, non seguono gli atteggiamenti formali. 
La gioia, la preghiera di lode ci fa fecondi! 
Quelli che si chiudono nella formalità di una preghiera fredda, misurata, forse finiscono nella sterilità della sua formalità”.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/28/il_papa:_esultiamo_per_un_goal_ma_spesso_lodiamo_il_signore_con/it1-767995
del sito Radio Vaticana 

l'armonia tra fede e ragione: S. Tommaso

S. Tommaso d'Aquino la Chiesa chiama il Doctor communis. Papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Fides et ratio ha ricordato che san Tommaso “è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia” (n. 43).
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, san Tommaso è citato più di ogni altro, per ben sessantuno volte! Egli è stato chiamato anche il Doctor Angelicus, forse per le sue virtù, in particolare la sublimità del pensiero e la purezza della vita.
Tommaso nacque tra il 1224 e il 1225 nel castello che la sua famiglia, nobile e facoltosa, possedeva a Roccasecca, nei pressi di Aquino, vicino alla celebre abbazia di Montecassino, dove fu inviato dai genitori per ricevere i primi elementi della sua istruzione. Qualche anno dopo si trasferì nella capitale del Regno di Sicilia, Napoli, dove Federico II aveva fondato una prestigiosa Università. In essa veniva insegnato, senza le limitazioni vigenti altrove, il pensiero del filosofo greco Aristotele, al quale il giovane Tommaso venne introdotto, e di cui intuì subito il grande valore. Ma soprattutto, in quegli anni trascorsi a Napoli, nacque la sua vocazione domenicana.
Tuttavia, quando rivestì l’abito domenicano, la sua famiglia si oppose a questa scelta, ed egli fu costretto a lasciare il convento e a trascorrere qualche tempo in famiglia.
Nel 1245, ormai maggiorenne, poté riprendere il suo cammino di risposta alla chiamata di Dio. Fu inviato a Parigi per studiare teologia sotto la guida di un altro santo, Alberto Magno. Alberto e Tommaso strinsero una vera e profonda amicizia e impararono a stimarsi e a volersi bene, al punto che Alberto volle che il suo discepolo lo seguisse anche a Colonia, dove egli era stato inviato dai Superiori dell’Ordine a fondare uno studio teologico. Tommaso prese allora contatto con tutte le opere di Aristotele e dei suoi commentatori arabi, che Alberto illustrava e spiegava.
In quel periodo, la cultura del mondo latino era stata profondamente stimolata dall’incontro con le opere di Aristotele, che erano rimaste ignote per molto tempo. Si trattava di scritti sulla natura della conoscenza, sulle scienze naturali, sulla metafisica, sull’anima e sull’etica, ricchi di informazioni e di intuizioni che apparivano valide e convincenti. Era tutta una visione completa del mondo sviluppata senza e prima di Cristo, con la pura ragione, e sembrava imporsi alla ragione come “la” visione stessa; era, quindi, un incredibile fascino per i giovani vedere e conoscere questa filosofia. Molti accolsero con entusiasmo acritico, questo enorme bagaglio del sapere antico, che sembrava poter rinnovare vantaggiosamente la cultura, aprire totalmente nuovi orizzonti. Altri, però, temevano che il pensiero pagano di Aristotele fosse in opposizione alla fede cristiana, e si rifiutavano di studiarlo. Si incontrarono due culture: la cultura pre-cristiana di Aristotele, con la sua radicale razionalità, e la classica cultura cristiana. Certi ambienti erano condotti al rifiuto di Aristotele anche dalla presentazione che di tale filosofo era stata fatta dai commentatori arabi Avicenna e Averroè. Infatti, furono essi ad aver trasmesso al mondo latino la filosofia aristotelica. Per esempio, questi commentatori avevano insegnato che gli uomini non dispongono di un’intelligenza personale, ma che vi è un unico intelletto universale, una sostanza spirituale comune a tutti, che opera in tutti come “unica”: quindi una depersonalizzazione dell'uomo. Un altro punto discutibile veicolato dai commentatori arabi era quello secondo il quale il mondo è eterno come Dio. Si scatenarono comprensibilmente dispute a non finire nel mondo universitario e in quello ecclesiastico. La filosofia aristotelica si andava diffondendo addirittura tra la gente semplice.
Tommaso d’Aquino, alla scuola di Alberto Magno, svolse un’operazione di fondamentale importanza per la storia della filosofia e della teologia,  per la storia della cultura: studiò a fondo Aristotele e i suoi interpreti, procurandosi nuove traduzioni latine dei testi originali in greco. Così non si appoggiava più solo ai commentatori arabi, ma poteva leggere personalmente i testi originali, e commentò gran parte delle opere aristoteliche, distinguendovi ciò che era valido da ciò che era dubbio o da rifiutare del tutto, mostrando la consonanza con i dati della Rivelazione cristiana e utilizzando largamente e acutamente il pensiero aristotelico nell’esposizione degli scritti teologici che compose. In definitiva, Tommaso d’Aquino mostrò che tra fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia. E questa è stata la grande opera di Tommaso, che in quel momento di scontro tra due culture - quel momento nel quale sembrava che la fede dovesse arrendersi davanti alla ragione - ha mostrato che esse vanno insieme, che quanto appariva ragione non compatibile con la fede non era ragione, e quanto appariva fede non era fede, in quanto opposta alla vera razionalità; così egli ha creato una nuova sintesi, che ha formato la cultura dei secoli seguenti.
Per le sue eccellenti doti intellettuali, Tommaso fu richiamato a Parigi come professore di teologia sulla cattedra domenicana. Qui iniziò anche la sua produzione letteraria, che proseguì fino alla morte, e che ha del prodigioso: commenti alla Sacra Scrittura, perché il professore di teologia era soprattutto interprete della Scrittura, commenti agli scritti di Aristotele, opere sistematiche poderose, tra cui eccelle la Summa Theologiae, trattati e discorsi su vari argomenti. Per la composizione dei suoi scritti, era coadiuvato da alcuni segretari, tra i quali il confratello Reginaldo di Piperno, che lo seguì fedelmente e al quale fu legato da fraterna e sincera amicizia, caratterizzata da una grande confidenza e fiducia. È questa una caratteristica dei santi: coltivano l’amicizia, perché essa è una delle manifestazioni più nobili del cuore umano e ha in sé qualche cosa di divino, come Tommaso stesso ha spiegato in alcune quaestiones della Summa Theologiae, in cui scrive: “La carità è l’amicizia dell’uomo con Dio principalmente, e con gli esseri che a Lui appartengono” (II, q. 23, a.1).
Nel 1259 partecipò al Capitolo Generale dei Domenicani a Valenciennes dove fu membro di una commissione che stabilì il programma di studi nell’Ordine. Dal 1261 al 1265, poi, Tommaso era ad Orvieto. Il Pontefice Urbano IV, che nutriva per lui una grande stima, gli commissionò la composizione dei testi liturgici per la festa del Corpus Domini,  istituita in seguito al miracolo eucaristico di Bolsena. Tommaso ebbe un’anima squisitamente eucaristica. I bellissimi inni che la liturgia della Chiesa canta per celebrare il mistero della presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore nell’Eucaristia sono attribuiti alla sua fede e alla sua sapienza teologica. Dal 1265 fino al 1268 Tommaso risiedette a Roma, dove, probabilmente, dirigeva uno Studium, cioè una Casa di studi dell’Ordine, e dove iniziò a scrivere la sua Summa Theologiae (cfr Jean-Pierre Torrell, Tommaso d’Aquino. L’uomo e il teologo, Casale Monf., 1994, pp. 118-184).
Nel 1269 fu richiamato a Parigi per un secondo ciclo di insegnamento. Gli studenti  erano entusiasti delle sue lezioni. Un suo ex-allievo dichiarò che una grandissima moltitudine di studenti seguiva i corsi di Tommaso, tanto che le aule riuscivano a stento a contenerli e aggiungeva, con un’annotazione personale, che “ascoltarlo era per lui una felicità profonda”. L’interpretazione di Aristotele data da Tommaso non era accettata da tutti, ma persino i suoi avversari in campo accademico, come Goffredo di Fontaines, ad esempio, ammettevano che la dottrina di frate Tommaso era superiore ad altre per utilità e valore e serviva da correttivo a quelle di tutti gli altri dottori. Forse anche per sottrarlo alle vivaci discussioni in atto, i Superiori lo inviarono ancora una volta a Napoli, per essere a disposizione del re Carlo I, che intendeva riorganizzare gli studi universitari.
Oltre che allo studio e all’insegnamento, Tommaso si dedicò pure alla predicazione al popolo. E anche il popolo volentieri andava ad ascoltarlo. E' veramente una grande grazia quando i teologi sanno parlare con semplicità e fervore ai fedeli. Il ministero della predicazione, d’altra parte, aiuta gli stessi studiosi di teologia a un sano realismo pastorale, e arricchisce di vivaci stimoli la loro ricerca.
Gli ultimi mesi della vita terrena di Tommaso restano circondati da un’atmosfera particolare, misteriosa. Nel dicembre del 1273 chiamò il suo amico e segretario Reginaldo per comunicargli la decisione di interrompere ogni lavoro, perché, durante la celebrazione della Messa, aveva compreso, in seguito a una rivelazione soprannaturale, che quanto aveva scritto fino ad allora era solo “un mucchio di paglia”. Tutto ciò che riusciamo a pensare e a dire sulla fede, per quanto elevato e puro, è infinitamente superato dalla grandezza e dalla bellezza di Dio, che ci sarà rivelata in pienezza nel Paradiso. Qualche mese dopo, sempre più assorto in una pensosa meditazione, Tommaso morì mentre era in viaggio verso Lione, dove si stava recando per prendere parte al Concilio Ecumenico indetto dal Papa Gregorio X. Si spense nell’Abbazia cistercense di Fossanova, dopo aver ricevuto il Viatico con sentimenti di grande pietà.
La vita e l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino si potrebbero riassumere in un episodio tramandato dagli antichi biografi. Mentre il Santo, come suo solito, era in preghiera davanti al Crocifisso, al mattino presto nella Cappella di San Nicola, a Napoli, Domenico da Caserta, il sacrestano della chiesa, sentì svolgersi un dialogo. Tommaso chiedeva, preoccupato, se quanto aveva scritto sui misteri della fede cristiana era giusto. E il Crocifisso rispose: “Tu hai parlato bene di me, Tommaso. Quale sarà la tua ricompensa?”. E la risposta che Tommaso diede: “Nient’altro che Te, Signore!” (Ibid., p. 320).

lunedì 27 gennaio 2014

grazie ai preti coraggiosi, santi, buoni

“I vescovi non sono eletti soltanto per portare avanti un’organizzazione, che si chiama Chiesa particolare, sono unti, hanno l’unzione e lo Spirito del Signore è con loro. Ma tutti i vescovi, tutti siamo peccatori, tutti! Ma siamo unti. Ma tutti vogliamo essere più santi ogni giorno, più fedeli a questa unzione. E quello che fa la Chiesa proprio, quello che dà l’unità alla Chiesa, è la persona del vescovo, in nome di Gesù Cristo, perché è unto, non perché è stato votato dalla maggioranza. Perché è unto. E in questa unzione una Chiesa particolare ha la sua forza. E per partecipazione anche i preti sono unti”. 

“Al contrario non si capisce la Chiesa, 
non si può spiegare come la Chiesa vada avanti soltanto con le forze umane. Questa diocesi va avanti perché ha un popolo santo, tante cose, e anche un unto che la porta, che l’aiuta a crescere. Questa parrocchia va avanti perché ha tante organizzazioni, tante cose, ma anche ha un prete, un unto che la porta avanti. E noi nella storia conosciamo una minima parte, ma quanti vescovi santi, quanti sacerdoti, quanti preti santi che hanno lasciato la loro vita al servizio della diocesi, della parrocchia; quanta gente ha ricevuto la forza della fede, la forza dell’amore, la speranza da questi parroci anonimi, che noi non conosciamo. Ce ne sono tanti!”

Sono tanti i parroci di campagna o parroci di città, che con la loro unzione hanno dato forza al popolo, hanno trasmesso la dottrina, hanno dato i sacramenti, cioè la santità”:

“’Ma, padre, io ho letto su un giornale che un vescovo ha fatto tal cosa o che un prete ha fatto tal cosa!’. ‘Eh sì, anche io l’ho letto, ma, dimmi, sui giornali vengono le notizie di quello che fanno tanti sacerdoti, tanti preti in tante parrocchie di città e di campagna, tanta carità che fanno, tanto lavoro che fanno per portare avanti il loro popolo?’. Ah, no! Questa non è notizia. Eh, quello di sempre: fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce. Oggi pensando a questa unzione di Davide, ci farà bene pensare ai nostri vescovi e ai nostri preti coraggiosi, santi, buoni, fedeli e pregare per loro. Grazie a loro oggi noi siamo qui!”.
p.s. mi permetto di citarne almeno due preti Don Pierino Dattoli, Don Tonino Ladisa, e un grande vescovo Don Tonino Bello, oltre il gran Karol Wojtyla

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/27/papa_francesco:_grazie_ai_tanti_sacerdoti_santi_che_danno_la_loro/it1-767630
del sito Radio Vaticana 

venerdì 24 gennaio 2014

piegarsi, spiegarsi per costruire ponti no muri

Non è facile costruire il dialogo con gli altri, specie se da loro ci divide un rancore. 
Ma il cristiano cerca sempre questa strada di ascolto e riconciliazione, con umiltà e mitezza, perché è ciò che ha insegnato Gesù. 

Mi spezzo ma non mi piego, afferma una certa saggezza popolare. 
Mi piego pur di non spezzare, suggerisce la sapienza cristiana
Due modi di intendere la vita: 
il primo, con la sua durezza, facilmente destinato ad alzare muri di incomunicabilità tra le persone, fino alla degenerazione dell’odio. 
Il secondo incline a gettare ponti di comprensione, anche dopo un diverbio, una lite. 
 la strada di avvicinarsi, di chiarire la situazione, di spiegarsi. La strada del dialogo per fare la pace”:

“Per dialogare è necessaria la mitezza, senza gridare. 
E necessario anche pensare che l’altra persona ha qualcosa di più di me,
L’umiltà, la mitezza… 
 la pace si fa così: con l’umiltà, l’umiliazione, cercando sempre di vedere nell’altro l’immagine di Dio”.

“Dialogare è difficile”

“Umiliarsi, e sempre fare il ponte, sempre. Sempre. E questo è essere cristiano. Non è facile. Non è facile. Gesù lo ha fatto: si è umiliato fino alla fine, ci ha fatto vedere la strada. Ed è necessario che non passi tanto tempo: quando c’è il problema, il più presto possibile, nel momento in cui si possa fare, dopo che è passata la tormenta, avvicinarsi al dialogo, perché il tempo fa crescere il muro, come fa crescere l’erba cattiva che impedisce la crescita del grano. E quando i muri crescono è tanto difficile la riconciliazione: è tanto difficile!”.
Non è un problema se “alcune volte volano i piatti” – “in famiglia, nelle comunità, nei quartieri”. L’importante è “cercare la pace il più presto possibile”, con una parola, un gesto. Un ponte piuttosto che un muro!
Oggi, possiamo chiedere a San Francesco di Sales, Dottore della dolcezza, che dia a tutti noi la grazia di fare ponti con gli altri, mai muri”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/24/papa_francesco:_con_gli_altri_costruire_sempre_ponti_di_dialogo_non/it1-766830
del sito Radio Vaticana 


giovedì 23 gennaio 2014

cittadini digitali

l vero potere della comunicazione è la “prossimità”. 
 il Papa paragona il comunicatore al Buon Samaritano che si fa prossimo agli altri. Nell’ambiente digitale il cristiano è chiamato ad offrire la sua testimonianza e a raggiungere le “periferie esistenziali”. 
I media “possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni gli altri”. 
 La cultura dell’incontro “richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri”. 
I media ed Internet in particolare possono aiutarci, offrendoci “maggiori possibilità di incontro e di solidarietà fra tutti”. 
Ci sono degli “aspetti problematici”, innanzitutto la “velocità dell’informazione” che “supera la nostra capacità di riflessione e giudizio”. 
 “il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo”, senza dimenticare poi chi, “per diversi motivi, non ha accesso ai media sociali” e “rischia di essere escluso”.

La comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica”. Anche nell’ambiente digitale “recuperare un certo senso di lentezza e di calma”. Abbiamo bisogno di “essere pazienti se vogliamo capire chi è diverso da noi: la persona esprime pienamente se stessa non quando è semplicemente tollerata, ma quando sa di essere davvero accolta”
“Chi comunica si fa prossimo. E il buon samaritano  non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada”. Gesù inverte la prospettiva: non si tratta di riconoscere l’altro come un mio simile, ma della mia capacità di farmi simile all’altro”. 
Quando “la comunicazione ha il prevalente scopo di indurre al consumo o alla manipolazione delle persone, ci troviamo di fronte a un’aggressione violenta come quella subita dall’uomo percosso dai briganti e abbandonato lungo la strada”. Oggi corriamo il rischio che alcuni media ci condizionino al punto da farci ignorare il nostro prossimo reale”
Non basta “semplicemente essere connessi  occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero”, perché “non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi”. 
Solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento”. 
Le strade digitali, “affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza”. “Aprire le porte delle chiese significa anche aprirle nell’ambiente digitale, sia perché la gente entri”, sia “perché il Vangelo possa varcare le soglie del tempio e uscire incontro a tutti”. 
La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi ma con la volontà di donare se stessi agli altri”. 
come i discepoli di Emmaus “occorre sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze, e offrire loro il Vangelo”. 
Dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue proposte”. D
La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria”. “La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo” lungo il cammino. “Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale 


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/23/il_papa:_il_comunicatore_sia_come_il_buon_samaritano,_il_suo_potere_%c3%a8/it1-766524
del sito Radio Vaticana 

gelosia, invidia veleno che uccide

I cristiani chiudano le porte a gelosie, invidie e chiacchiere che dividono e distruggono le nostre comunità. 
la gelosia nei nostri cuori è un’inquietudine cattiva, che non tollera che un fratello o una sorella abbia qualcosa che io non ho. 

“La gelosia porta ad uccidere. 
L’invidia porta ad uccidere. 

‘Per l’invidia del diavolo è entrato il male nel mondo’. 
La gelosia e l’invidia aprono le porte a tutte le cose cattive. 
Anche divide la comunità. Una comunità cristiana, quando soffre – alcuni dei membri – di invidia, di gelosia, finisce divisa: uno contro l’altro. E’ un veleno forte questo. E’ un veleno che troviamo nella prima pagina della Bibbia con Caino”. 

“La persona invidiosa, la persona gelosa è una persona amara: non sa cantare, non sa lodare, non sa cosa sia la gioia, sempre guarda ‘che cosa ha quello ed io non ne ho’. E questo lo porta all’amarezza, un’amarezza che si diffonde su tutta la comunità. Sono, questi, seminatori di amarezza. E il secondo atteggiamento, che porta la gelosia e l’invidia, sono le chiacchiere. Perché questo non tollera che quello abbia qualcosa, la soluzione è abbassare l’altro, perché io sia un po’ alto. E lo strumento sono le chiacchiere. Cerca sempre e vedrai che dietro una chiacchiera c’è la gelosia e c’è l’invidia. E le chiacchiere dividono la comunità, distruggono la comunità. Sono le armi del diavolo”. 



“Chi odia il suo fratello è un omicida”. E “l’invidioso, il geloso, incomincia ad odiare il fratello.
L’invidia non prenda posto nel nostro cuore, nel cuore delle nostre comunità, e così possiamo andare avanti con la lode del Signore, lodando il Signore, con la gioia. E’ una grazia grande, la grazia di non cadere nella tristezza, nell’essere risentiti, nella gelosia e nell’invidia”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/23/papa_francesco:_gelosie,_invidie_e_chiacchiere_dividono_e_distruggono/it1-766503
del sito Radio Vaticana 

mercoledì 22 gennaio 2014

la ricchezza sia al servizio dell’umanità e non la governi

approfondita riflessione sulle cause della crisi economica che ha interessato tutto il mondo negli ultimi anni, 
«si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione» (Evangelii gaudium, 52), come pure in tanti altri campi dell’agire umano, e occorre riconoscere il ruolo fondamentale che l’imprenditoria moderna ha avuto in tali cambiamenti epocali, stimolando e sviluppando le immense risorse dell’intelligenza umana. Tuttavia, i successi raggiunti, pur avendo ridotto la povertà per un grande numero di persone, non di rado hanno portato anche ad una diffusa esclusione sociale. Infatti, la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo continua a vivere ancora una quotidiana precarietà, con conseguenze spesso drammatiche. 


la dignità di ogni persona umana e il bene comune dovrebbe improntare ogni scelta politica ed economica, ma a volte sembra solo un’aggiunta per completare un discorso. 
Non si può tollerare che migliaia di persone muoiano ogni giorno di fame, pur essendo disponibili ingenti quantità di cibo, che spesso vengono semplicemente sprecate. 

Occorre, perciò, un rinnovato, profondo ed esteso senso di responsabilità da parte di tutti. «La vocazione di un imprenditore è – infatti – un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita» (Evangelii gaudium, 203). 
A partire da una apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed imprenditoriale, capace di guidare tutte le azioni economiche e finanziarie nell’ottica di un’etica veramente umana. La comunità imprenditoriale internazionale può contare su molti uomini e donne di grande onestà e integrità personale, il cui lavoro è ispirato e guidato da alti ideali di giustizia, generosità e preoccupazione per l'autentico sviluppo della famiglia umana. 
 la ricchezza sia al servizio dell’umanità e non la governi. 

Vaticano, 17 Gennaio 2014


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/21/messaggio_del_papa_al_forum_di_davos:_intollerabile_la_fame_nel/it1-766061
del sito Radio Vaticana 

differenza come ricchezza

Il nome di Cristo crea “comunione ed unità”; 
le divisioni tra i cristiani “sono uno scandalo”. 

“Certamente Cristo non è stato diviso. Ma dobbiamo riconoscere sinceramente e con dolore che le nostre comunità continuano a vivere divisioni che sono di scandalo. La divisione fra noi cristiani è uno scandalo! Non c’è un’altra parola: uno scandalo”!

“Il nome di Cristo crea comunione ed unità, non divisione! Lui è venuto per fare comunione fra noi, non per dividerci. Il Battesimo e la Croce sono elementi centrali del discepolato cristiano che abbiamo in comune. Le divisioni invece indeboliscono la credibilità e l’efficacia del nostro impegno di evangelizzazione e rischiano di svuotare la Croce della sua potenza”.
“È bello riconoscere la grazia con cui Dio ci benedice e, ancora di più, trovare in altri cristiani qualcosa di cui abbiamo bisogno, qualcosa che potremmo ricevere come un dono dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle”. 
incontrarsi per capire ciò che tutte possono ricevere di volta in volta dalle altre”:

“Questo richiede qualcosa di più. Richiede molta preghiera, richiede umiltà, richiede riflessione e continua conversione. Andiamo avanti su questa strada, pregando per l’unità dei cristiani, perché questo scandalo venga meno e non sia più fra noi”.
“la fede non sia un motivo di divisione ma uno strumento di unità e di comunione con Dio e con i fratelli”: 

“L’invocazione del nome del Signore non sia ragione di chiusura ma via per aprire il cuore all’amore che unisce e arricchisce. Preghiamo perché il Signore conceda l’unità ai cristiani vivendo la differenza come ricchezza; vedendo nell’altro un fratello da accogliere con amore”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/22/il_papa_alludienza_generale:_le_divisioni_tra_i_cristiani_sono_uno/it1-766167
del sito Radio Vaticana 

martedì 21 gennaio 2014

Ci ha scelto uno per uno. Ci ha dato un nome e ci guarda.

Custodiamo la nostra piccolezza per dialogare con la grandezza del Signore. 
il Signore ha con noi un rapporto personale, non è mai un dialogo con la massa. 
Il Signore sceglie sempre i piccoli, chi ha meno potere perché guarda alla nostra umiltà. 
E’ un dialogo “personale”: “E in un popolo, ognuno ha il suo posto. 
Mai il Signore parla alla gente così, alla massa, mai. 
Sempre parla personalmente, con i nomi. 
E sceglie personalmente. 
Il racconto della creazione: è lo stesso Signore che con le sue mani artigianalmente fa l’uomo e gli dà un nome: 'Tu ti chiami Adam'. E così incomincia quel rapporto fra Dio e la persona. E c’è un’altra cosa, c’è un rapporto fra Dio e noi piccoli: Dio, il grande, e noi piccoli. Dio, quando deve scegliere le persone, anche il suo popolo, sempre sceglie i piccoli”.

Dio sceglie il suo popolo perché è “il più piccolo”, ha “meno potere” degli altri popoli. C’è proprio un “dialogo fra Dio e la piccolezza umana”. Anche la Madonna dirà: “Il Signore ha guardato la mia umiltà”. Il Signore “ha scelto i piccoli”. 
“l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore. Il Signore sceglie secondo i suoi criteri”. E sceglie “i deboli e i miti, per confondere i potenti della terra”. Alla fine, dunque, “il Signore sceglie Davide, il più piccolo”, che “non contava per il padre”. “Non era a casa”, era “a custodire le pecore”. Eppure, proprio Davide “è stato eletto”: 

“Tutti noi col Battesimo siamo stati eletti dal Signore. Tutti siamo eletti. Ci ha scelto uno per uno. Ci ha dato un nome e ci guarda. C’è un dialogo, perché così ama il Signore. Anche Davide poi è diventato re e ha sbagliato. Ne ha fatti forse tanti, ma la Bibbia ci racconta due sbagli forti, due sbagli di quelli pesanti. Cosa ha fatto Davide? Si è umiliato. E’ tornato alla sua piccolezza e ha detto: ‘Sono peccatore’. E ha chiesto perdono e ha fatto penitenza”. 

“La fedeltà cristiana, la nostra fedeltà, è semplicemente custodire la nostra piccolezza, perché possa dialogare con il Signore. Custodire la nostra piccolezza. Per questo l’umiltà, la mitezza, la mansuetudine sono tanto importanti nella vita del cristiano, perché è una custodia della piccolezza, alla quale piace guardare il Signore. E sarà sempre il dialogo fra la nostra piccolezza e la grandezza del Signore. Ci dia il Signore, per intercessione di San Davide - anche per intercessione della Madonna che cantava gioiosa a Dio, perché aveva guardato la sua umiltà - ci dia il Signore la grazia di custodire la nostra piccolezza davanti a Lui”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/21/il_papa:_custodiamo_la_nostra_piccolezza_per_dialogare_con_il_signore/it1-765823
del sito Radio Vaticana 

lunedì 20 gennaio 2014

adattarci, adeguarci con docilità alla novità della Parola di Dio


“La Parola di Dio è viva ed efficace, discerne i sentimenti ed i pensieri del cuore”. 
Per accogliere davvero la Parola di Dio dobbiamo avere un atteggiamento di “docilità”. 
“La Parola di Dio è viva e perciò viene e dice quello che vuole dire: non quello che io aspetto che dica o quello che io spero che dica”. E’ una Parola “libera”. Ed è anche “sorpresa, perché il nostro Dio è il Dio delle sorprese”. E’ “novità”:

“Il Vangelo è novità. La Rivelazione è novità. Il nostro Dio è un Dio che sempre fa le cose nuove e chiede da noi questa docilità alla sua novità. Nel Vangelo, Gesù è chiaro in questo, è molto chiaro: vino nuovo in otri nuovi. Il vino lo porta Dio, ma dev’essere ricevuto con questa apertura alla novità. E questo si chiama docilità. 
Noi possiamo domandarci: io sono docile alla Parola di Dio o faccio sempre quello che io credo che sia la Parola di Dio? O faccio passare la Parola di Dio per un alambicco e alla fine è un’altra cosa rispetto a quello che Dio vuole fare?”. 
Adeguarsi alla Parola di Dio per poter riceverla” è “tutto un atteggiamento ascetico”:

“Quando io voglio prendere l’elettricità dalla fonte elettrica, se l’apparecchio che io ho non va, cerco un adattatore. Noi dobbiamo sempre cercare di adattarci, di adeguarci a questa novità della Parola di Dio, essere aperti alla novità. S
“il nostro Dio, non è un Dio delle abitudini: è un Dio delle sorprese”. S
 “L’ostinazione, la non docilità a fare quello che tu vuoi e non quello che vuole Dio, è peccato di idolatria”. E questo, ci fa pensare su “cosa è la libertà cristiana, cosa è l’obbedienza cristiana”:

“La libertà cristiana e l’obbedienza cristiana sono docilità alla Parola di Dio, è avere quel coraggio di diventare otri nuovi, per questo vino nuovo che viene continuamente. Questo coraggio di discernere sempre: discernere, dico, non relativizzare. Discernere sempre cosa fa lo Spirito nel mio cuore, cosa vuole lo Spirito nel mio cuore, dove mi porta lo Spirito nel mio cuore. E obbedire. Discernere e obbedire. Chiediamo oggi la grazia della docilità alla Parola di Dio, a questa Parola che è viva ed efficace, che discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/20/il_papa:_il_nostro_%C3%A8_il_dio_delle_sorprese,_accogliamo_la_novit%C3%A0_del/it1-765538
del sito Radio Vaticana 

venerdì 17 gennaio 2014

IN UN CUORE DURO NON ENTRA LA PAROLA DI DIO

l dono di essere figli di Dio non si può “vendere” per un malinteso senso di “normalità”, che induce a dimenticare la sua Parola e a vivere come se Dio non esistesse. La tentazione di voler essere “normali”, quando invece si è figli di Dio. Che in sostanza vuol dire ignorare la Parola del Padre e inseguirne una solo umana, la “parola della propria voglia”, scegliendo in certo modo di “vendere” il dono di una predilezione per immergersi in una “uniformità mondana”. Questa tentazione il popolo ebreo dell’Antico Testamento l’ha avuta più di una volta, 
“La normalità della vita esige dal cristiano fedeltà alla sua elezione e non venderla per andare verso una uniformità mondana. 
Questa è la tentazione del popolo, e anche la nostra. 
Tante volte, dimentichiamo la Parola di Dio, quello che ci dice il Signore, e prendiamo la parola di moda, no?, anche quella della telenovela è di moda, prendiamo quella, è più divertente! 
L’apostasia è proprio il peccato della rottura con il Signore, ma è chiara: l’apostasia si vede chiaramente. Questo è più pericoloso, la mondanità, perché è più sottile”.
“E’ vero che il cristiano deve essere normale, come sono normali le persone”, ma  ci sono valori che il cristiano non può prendere per sé. Il cristiano deve ritenere su di sé la Parola di Dio che gli dice: ‘Tu sei mio figlio, tu sei eletto, io sono con te, io cammino con te’”. Resistendo quindi alla tentazione di considerarsi vittime di “un certo complesso di inferiorità”, di non sentirsi un “popolo normale”:

“La tentazione viene e indurisce il cuore e quando il cuore è duro, quando il cuore non è aperto, la Parola di Dio non può entrare. Gesù diceva a quelli di Emmaus: ‘Stolti e tardi di cuore!’. Avevano il cuore duro, non potevano capire la Parola di Dio. E la mondanità ammorbidisce il cuore, ma male: mai è una cosa buona il cuore morbido! Il buono è il cuore aperto alla Parola di Dio, che la riceve. Come la Madonna, che meditava tutte queste cose in cuor suo, dice il Vangelo. Ricevere la Parola di Dio per non allontanarsi dall’elezione”. 
“Chiediamo la grazia di superare gli egoismi, chiediamo la grazia della docilità spirituale, cioè di aprire il cuore alla Parola di Dio Il Signore ci dia la grazia di un cuore aperto per ricevere la Parola di Dio e per meditarla sempre. E da lì prendere la vera strada”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/17/il_papa:_un_cristiano_non_tralascia_la_parola_di_dio_per_seguire/it1-764788
del sito Radio Vaticana 

giovedì 16 gennaio 2014

vergognarsi degli scandali a causa dell'assenza di un vivo rapporto con Dio

Gli scandali nella Chiesa avvengono perché non c'è un rapporto vivo con Dio e con la sua Parola.
Il nostro rapporto con Dio, con la Parola di Dio: è un rapporto formale? 
È un rapporto lontano? 
La Parola di Dio entra nel nostro cuore, cambia il nostro cuore, ha questo potere o no, è un rapporto formale, tutto bene? 
Ma il cuore è chiuso a quella Parola! E ci porta a pensare a tante sconfitte della Chiesa, a tante sconfitte del popolo di Dio semplicemente perché non sente il Signore, non cerca il Signore, non si lascia cercare dal Signore! E poi dopo la tragedia, la preghiera, questa: ‘Ma, Signore, che è successo? Hai fatto di noi il disprezzo dei nostri vicini. Lo scherno e la derisione di chi ci sta intorno. Ci hai reso la favola delle genti! Su di noi i popoli scuotono il capo’”. 

“Ma ci vergogniamo? 
 Ma ci siamo vergognati di quegli scandali, di quelle sconfitte di preti, di vescovi, di laici? La Parola di Dio in quegli scandali era rara; in quegli uomini e in quelle donne la Parola di Dio era rara! Non avevano un legame con Dio! Avevano una posizione nella Chiesa, una posizione di potere, anche di comodità. Ma la Parola di Dio, no! ‘Ma, io porto una medaglia’; ‘Io porto la Croce’… Sì, come questi portavano l’arca! Senza il rapporto vivo con Dio e con la Parola di Dio! Mi viene in mente quella Parola di Gesù per quelli per i quali vengono gli scandali… E qui lo scandalo è venuto: tutta una decadenza del popolo di Dio, fino alla debolezza, alla corruzione dei sacerdoti”.

“Povera gente! Povera gente! Non diamo da mangiare il pane della vita; non diamo da mangiare - in quei casi - la verità! E persino diamo da mangiare pasto avvelenato, tante volte! ‘Svegliati, perché dormi Signore!’. Questa sia la nostra preghiera! ‘Destati! Non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto? Perché dimentichi la nostra miseria ed oppressione?’. Chiediamo al Signore di non dimenticare mai la Parola di Dio, che è viva, che entri nel nostro cuore e non dimenticare mai il santo popolo fedele di Dio, che ci chiede pasto forte!”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/16/il_papa:_diamo_al_santo_popolo_di_dio_pane_di_vita,_non_pasto/it1-764460
del sito Radio Vaticana 

mercoledì 15 gennaio 2014

canali della grazia gli uni per gli altri


l Battesimo è il dono attraverso il quale da venti secoli la fede in Dio viene trasmessa a ogni generazione. Ed è un dono che ha bisogno di un “nuovo protagonismo” missionario da parte dei cristiani.
“Allora la comunità si ritirò nella clandestinità, conservando la fede e la preghiera nel nascondimento. E quando nasceva un bambino, il papà o la mamma lo battezzavano, perché tutti noi possiamo battezzare. Quando, dopo circa due secoli e mezzo (...) i missionari ritornarono in Giappone, migliaia di cristiani uscirono allo scoperto e la Chiesa poté rifiorire. Erano sopravvissuti con la grazia del loro Battesimo! Ma questo è grande! Il popolo di Dio trasmette la fede, battezza i suoi figli e va avanti”. Quella comunità in Giappone sopravvisse nella fede grazie a una fiamma tenuta accesa di genitore in figlio. E questo accade da sempre, fin da quando Gesù inviò i primi Discepoli a battezzare:
“In effetti, come di generazione in generazione si trasmette la vita, così anche di generazione in generazione, attraverso la rinascita dal fonte battesimale, si trasmette la grazia. (…) C’è una catena nella trasmissione della fede per il Battesimo, e ognuno di noi è l’anello di quella catena, un passo avanti sempre, come un fiume che irriga. E così è la grazia di Dio e così è la nostra fede, che dobbiamo trasmettere ai nostri figli, trasmettere ai bambini, perché loro, quando siano adulti, la possano trasmettere ai loro figli”.
Ma c’è un’altra cosa che insegna quell’antica storia dal Giappone: chi è battezzato è per sua natura missionario. “Il Popolo di Dio è un Popolo discepolo, perché riceve la fede, e missionario, perché trasmette la fede”. Per questo serve un "nuovo protagonismo" nei cristiani di oggi. Tra i quali può accadere, che a essere maestro sia chi, in apparenza, venga ritenuto soprattutto discepolo:

Anche i vescovi e il Papa devono essere discepoli, perché se non sono discepoli non fanno il bene, non possono essere missionari, non possono trasmettere la fede. 
 tutti noi, discepoli e missionari!”.
E in questo corpo unito – in cui si entra per la “porta” del Battesimo e in cui la "dimensione comunitaria non è solo una 'cornice'" – vale anche un’altra regola:

“Nessuno si salva da solo. Questo è importante: nessuno si salva da solo. Siamo comunità di credenti, siamo popolo di Dio e in questa comunità sperimentiamo la bellezza di condividere l’esperienza di un amore che ci precede tutti, ma che nello stesso tempo ci chiede di essere ‘canali’ della grazia gli uni per gli altri, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati”.
“Le difficoltà e le persecuzioni, quando vengono vissute con affidamento, fiducia e speranza, purificano la fede e la fortificano. Siate veri testimoni di Cristo e del Suo Vangelo, autentici figli della Chiesa, pronti sempre a rendere ragione della vostra speranza, con amore e rispetto.

vivere con generosità il proprio impegno ecclesiale, perché il Signore riempia i cuori della gioia che solo Lui può donare”.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/15/udienza_generale._il_papa:_il_battesimo_ci_rende_tutti_anelli_di_una/it1-764237
del sito Radio Vaticana 

martedì 14 gennaio 2014

essere come Gesù non legalisti, ipocriti o corrotti


quattro modelli di credenti: Gesù, gli scribi, il sacerdote Eli e i suoi due figli, anch’essi sacerdoti. Il Vangelo ci dice  Gesù nella sua catechesi insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi”. Questi ultimi insegnavano, predicavano ma legavano la gente con tante cose pesanti sulle spalle, e la povera gente non poteva andare avanti.

Eli, “un povero prete, debole, tiepido” che “lasciava fare tante cose brutte ai suoi figli”. Eli era seduto davanti a uno stipite del Tempio del Signore e guarda Anna, una signora, “che pregava a suo modo, chiedendo un figlio”. Questa donna pregava come prega la gente umile: semplicemente, ma dal suo cuore, con angoscia. Anna “muoveva le labbra”, come fanno “tante donne buone” “nelle nostre chiese, nei nostri santuari”. Pregava così “e chiedeva un miracolo”. E l’anziano Eli la guardava e diceva: “Ma, questa è una ubriaca!” e “la disprezzò”. Lui era il rappresentante della fede, il dirigente della fede, ma il suo cuore non sentiva bene e disprezzò questa signora”: 

“Quante volte il popolo di Dio si sente non benvoluto da quelli che devono dare testimonianza: dai cristiani, dai laici cristiani, dai preti, dai vescovi… ‘Ma, povera gente, non capisce niente... Deve fare un corso di teologia per capire bene’. Ma, perché ho certa simpatia per quest’uomo? Perché nel cuore ancora aveva l’unzione, perché quando la donna gli spiega la sua situazione, Eli le dice: ‘Vai in pace, e il Dio di Israele ti conceda quello che gli hai chiesto’. Viene fuori l’unzione sacerdotale: pover’uomo, l’aveva nascosta dentro e la sua pigrizia… è un tiepido. E poi finisce male, poveretto”.
I figli  di Eli gestivano il Tempio, “erano briganti”. “Erano sacerdoti, ma briganti”. “Andavano dietro al potere, dietro ai soldi sfruttavano la gente, approfittavano delle elemosine, dei doni” e “il Signore li punisce forte”. Questa è la figura del cristiano corrotto”, “del laico corrotto, del prete corrotto, del vescovo corrotto, che profitta della sua situazione, del suo privilegio della fede, di essere cristiano” e “il suo cuore finisce corrotto”, come succede a Giuda. Da un cuore corrotto esce “il tradimento”. Giuda “tradisce Gesù”. I figli di Eli sono dunque il terzo modello di credente. E poi c’è il quarto, Gesù. E di Lui la gente dice: “Questo insegna come uno che ha autorità: questo è un insegnamento nuovo!” Ma dov’è la novità? E’ “il potere della santità”, “la novità di Gesù è che con sé porta la Parola di Dio, il messaggio di Dio, cioè l’amore di Dio a ognuno di noi”. Gesù avvicina Dio alla gente e per farlo si avvicina Lui: è vicino ai peccatori”. Gesù cerca il cuore delle persone, si avvicina al cuore ferito delle persone. A Gesù soltanto interessa la persona, e Dio”. Gesù vuole che la gente si avvicini, che lo cerchi e si sente commosso quando la vede come pecora senza pastore”. E tutto questo atteggiamento, ha rilevato, “è quello per cui la gente dice: ‘

“Chiediamo al Signore di essere legalisti puri, ipocriti come gli scribi e i farisei. A non essere corrotti come i figli di Eli. A non essere tiepidi come Eli, ma a essere come Gesù, con quello zelo di cercare la gente, di guarire la gente, di amare la gente e con questo dirle: ‘Ma, se io faccio questo così piccolo, pensa come ti ama Dio, come è tuo Padre!’. Questo è l’insegnamento nuovo che Dio chiede da noi. Chiediamo questa grazia”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/14/il_papa:_i_cristiani_non_siano_legalisti,_la_fede_non_%C3%A8_peso_sulle/it1-763840
del sito Radio Vaticana 


lunedì 13 gennaio 2014

bricciole di sapienza IV


il signore cammina nella nostra storia di sbagli e peccati

L’amore di Dio aggiusta i nostri sbagli, le nostre storie di peccatori, perché non ci abbandona mai, anche se noi non capiamo questo amore:
“E’ proprio di Dio, dell’amore di Dio preparare le strade … preparare le nostre vite, per ognuno di noi.  il Signore “ci prepara da tante generazioni”: 

“E quando le cose non vanno bene, Lui si immischia nella storia e arrangia la situazione e va avanti con noi. Ma pensiamo alla genealogia di Gesù Cristo, a quella lista di storia ci sono peccatori e peccatrici. 
il Signore ci aspetta sempre in questa storia 
e poi ci accompagna durante la storia. 
Questo è l’amore eterno del Signore; eterno, ma concreto! Anche un amore artigianale, perché Lui va facendo la storia, va preparando la strada a ognuno di noi. E questo è l’amore di Dio” che “ci ama da sempre e mai ci abbandona! Preghiamo il Signore di conoscere questa tenerezza del suo cuore”. 
Il nostro razionalismo dice: ‘Come il Signore, con tante persone che ha, pensa a me? Ma ha preparato la strada a me! Con le nostre mamme, le nostre nonne, i nostri padri, i nostri nonni e bisnonni… Il Signore fa così. E’ questo il suo amore: concreto, eterno e anche artigianale. Preghiamo, chiedendo questa grazia di capire l’amore di Dio. Ma non si capisce mai! Si sente, si piange, ma capirlo di qua, non si capisce. Anche questo ci dice quanto grande è questo amore. Il Signore che ci prepara da tempo, cammina con noi, preparando gli altri. E’ sempre con noi! Chiediamo la grazia di capire col cuore questo grande amore”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/13/papa_francesco:_lamore_di_dio_aggiusta_le_nostre_storie_storte_/it1-763511
del sito Radio Vaticana 

venerdì 10 gennaio 2014

CONFESSARE LA FEDE ADORANDO DIO E AFFIDANDOSI A LUI

“Chiunque rimane in Dio, chiunque è stato generato da Dio, chiunque rimane nell’amore vince il mondo e la vittoria è la nostra fede. 
Da parte nostra, la fede. 
Da parte di Dio lo Spirito Santo questa opera di grazia. 

La nostra fede può tutto! E’ vittoria! 
chi ha fede come un granello di senape può muovere le montagne. “Questa fede chiede a noi due atteggiamenti: 
confessare 

affidarci
 Innanzitutto “confessare”: “La fede è confessare Dio, ma il Dio che si è rivelato a noi, dal tempo dei nostri padri fino ad ora; il Dio della storia.
una cosa è recitare il Credo dal cuore e un’altra come pappagalli,
Confessare la fede! Tutta, non una parte! Tutta! 
E questa fede custodirla tutta, come è arrivata a noi, per la strada della tradizione: tutta la fede! E’ come posso sapere se io confesso bene la fede? C’è un segno: chi confessa bene la fede, e tutta la fede, ha capacità di adorare, adorare Dio”. 

“c’è poca capacità di adorare, perché nella confessione della fede noi non siamo convinti o siamo convinti a metà

L’altro atteggiamento è “affidarsi”: “L’uomo o la donna che ha fede si affida a Dio: si affida! Paolo, in un momento buio della sua vita, diceva: ‘Io so bene a chi mi sono affidato’. A Dio! Al Signore Gesù! Affidarsi: e questo ci porta alla speranza. 
Così come la confessione della fede ci porta all’adorazione e alla lode di Dio, 
l’affidarsi a Dio ci porta ad un atteggiamento di speranza. 
Ci sono tanti cristiani con una speranza con troppa acqua, non forte: una speranza debole. Perché? Perché non hanno la forza e il coraggio di affidarsi al Signore. 
Ma se noi cristiani crediamo confessando la fede, anche custodendo, facendo la custodia della fede, e affidandoci a Dio, al Signore, saremo cristiani vincitori. E questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede!”. 


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/10/papa_francesco:_la_fede_pu%C3%B2_tutto,_i_cristiani_convinti_a_met%C3%A0_sono/it1-762694
del sito Radio Vaticana 

giovedì 9 gennaio 2014

amore concreto che opera e dona

o è un amore altruista e sollecito, che si rimbocca le maniche e guarda ai poveri, che preferisce dare piuttosto che ricevere, o non ha niente a che vedere con l’amore cristiano. 
L’esperienza della fede, osserva il Papa, sta proprio in questo “doppio rimanere”:“Noi in Dio e Dio in noi: questa è la vita cristiana. 
Non rimanere nello spirito del mondo, 
non rimanere nella superficialità,
 non rimanere nella idolatria, 
non rimanere nella vanità. 
Rimanere nel Signore. 
 Lui rimane in noi. 
Ma, primo, rimane Lui in noi. Tante volte lo cacciamo via e noi non possiamo rimanere in Lui. E’ lo Spirito quello che rimane”. 

“Rimanere nell’amore di Dio non è tanto un’estasi del cuore, non è l’amore delle telenovele! 
 L’amore cristiano ha sempre una qualità: la concretezza.
 L’amore cristiano è concreto. 
Lo stesso Gesù, quando parla dell’amore, ci parla di cose concrete: 
dare da mangiare agli affamati,
 visitare gli ammalati 
Quando non c’è questa concretezza, si può vivere un cristianesimo di illusioni, perché non si capisce bene dove è il centro del messaggio di Gesù. Non arriva questo amore ad essere concreto: è un amore di illusioni, come queste illusioni che avevano i discepoli quando, guardando Gesù, credevano che fosse un fantasma”.
“Se tu hai il cuore indurito non puoi amare e pensi che l’amore sia quello di figurarsi cose. No, l’amore è concreto”. E questa concretezza si fonda su due criteri:
1. amare con le opere, non con le parole. Le parole le porta via il vento!  
2. nell’amore è più importante dare che ricevere. Quello che ama dà, dà ... Dà cose, dà vita, dà se stesso a Dio e agli altri. Invece chi non ama, chi è egoista, sempre cerca di ricevere, sempre cerca di avere cose, avere vantaggi. Rimanere col cuore aperto, non come era quello dei discepoli, che era chiuso, che non capivano niente: rimanere in Dio e Dio rimane in noi; rimanere nell’amore”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/09/papa_francesco:_l%E2%80%99amore_cristiano_%C3%A8_concreto_e_generoso,_non_%C3%A8_quello/it1-762379
del sito Radio Vaticana