mercoledì 25 maggio 2016

relazione in preghiera

Gesù dice che bisogna «pregare sempre, senza stancarsi mai, non  si tratta di pregare qualche volta, quando mi sento. ....
Di fronte all’indifferenza del giudice, la vedova ricorre alla sua unica arma: continuare insistentemente a importunarlo, presentandogli la sua richiesta di giustizia. E proprio con questa perseveranza raggiunge lo scopo. Il giudice, infatti, a un certo punto la esaudisce, non perché è mosso da misericordia, né perché la coscienza glielo impone; semplicemente ammette: «Dato che questa vedova mi dà fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi»
Se la vedova è riuscita a piegare il giudice disonesto con le sue richieste insistenti, quanto più Dio, che è Padre buono e giusto, «farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui»; e inoltre non «li farà aspettare a lungo», ma agirà «prontamente»..

Per questo Gesù esorta a pregare “senza stancarsi”. Tutti proviamo momenti di stanchezza e di scoraggiamento, soprattutto quando la nostra preghiera sembra inefficace. Ma Gesù ci assicura: a differenza del giudice disonesto, Dio esaudisce prontamente i suoi figli, anche se ciò non significa che lo faccia nei tempi e nei modi che noi vorremmo. La preghiera non è una bacchetta magica! Essa aiuta a conservare la fede in Dio ad affidarci a Lui anche quando non ne comprendiamo la volontà. In questo, Gesù stesso – che pregava tanto! – ci è di esempio. 
La preghiera: trasforma il desiderio e lo modella secondo la volontà di Dio, qualunque essa sia, perché chi prega aspira prima di tutto all’unione con Dio, che è Amore misericordioso.
La parabola termina con una domanda: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (v. 8). E con questa domanda siamo tutti messi in guardia: non dobbiamo desistere dalla preghiera anche se non è corrisposta. E’ la preghiera che conserva la fede, senza di essa la fede vacilla! Chiediamo al Signore una fede che si fa preghiera incessante, perseverante, come quella della vedova della parabola, una fede che si nutre del desiderio della sua venuta. E nella preghiera sperimentiamo la compassione di Dio, che come un Padre viene incontro ai suoi figli pieno di amore misericordioso.

mercoledì 18 maggio 2016

Lazzaro=Dio aiuta

 parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro. Povertà e Misericordia (cfr Lc 16,19-31)
Il portone di casa del ricco è sempre chiuso al povero, che giace lì fuori, cercando di mangiare qualche avanzo della mensa del ricco. ..
 il ricco ogni giorno banchetta lautamente, mentre Lazzaro muore di fame. 
Lazzaro rappresenta bene il grido silenzioso dei poveri di tutti i tempi e la contraddizione di un mondo in cui immense ricchezze e risorse sono nelle mani di pochi.
 Ignorare il povero è disprezzare Dio!
il ricco non ha un nome, ma soltanto l’aggettivo: “il ricco”; mentre quello del povero è ripetuto cinque volte, e “Lazzaro” significa “Dio aiuta”. Lazzaro, che giace davanti alla porta, è un richiamo vivente al ricco per ricordarsi di Dio, ma il ricco non accoglie tale richiamo. 
Sarà condannato pertanto non per le sue ricchezze, ma per essere stato incapace di sentire compassione per Lazzaro e di soccorrerlo.
Nell’al di là la situazione si è rovesciata: il povero Lazzaro è portato dagli angeli in cielo presso Abramo, il ricco invece precipita tra i tormenti. ... Adesso il ricco riconosce Lazzaro e gli chiede aiuto, mentre in vita faceva finta di non vederlo. - ...
 Finché Lazzaro stava sotto casa sua, per il ricco c’era la possibilità di salvezza, spalancare la porta, aiutare Lazzaro, ma ora che entrambi sono morti, la situazione è diventata irreparabile. 
La misericordia di Dio verso di noi è legata alla nostra misericordia verso il prossimo; ...
 Se io non spalanco la porta del mio cuore al povero, quella porta rimane chiusa. Anche per Dio. E questo è terribile.
... Nessun messaggero e nessun messaggio potranno sostituire i poveri che incontriamo nel cammino, perché in essi ci viene incontro Gesù stesso: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40), dice Gesù. 

martedì 17 maggio 2016

IL SERVIZIO E' LA REGOLA

Gesù parla un linguaggio di umiliazione, di morte, di redenzione e i discepoli parlano un linguaggio da arrampicatori: "chi andrà più in alto nel potere?”.
i discepoli erano “tentati dal modo di pensare del mondo mondano”. Si chiedono chi sia il più grande, mentre Gesù dice loro di essere l’ultimo, “il servitore di tutti.
Nella strada che Gesù ci indica per andare avanti, il servizio è la regola. Il più grande è quello che più serve, quello che più è al servizio degli altri, non quello che si vanta, che cerca il potere, i soldi… la vanità, l’orgoglio… 
le passioni per il potere, le invidie, le gelosie  distruggono l’altro.
Il mondo parla di chi ha più potere per comandare, Gesù afferma di essere venuto al mondo “per servire”, non “per essere servito”:
Gesù insegna il servizio e i discepoli discutono su chi sia il più grande fra loro. “Gesù  è venuto per servire e ci ha insegnato la strada nella vita cristiana: il servizio, l’umiltà”.
“Quando i grandi santi dicevano di sentirsi tanto peccatori è perché avevano capito questo spirito del mondo che era dentro di loro e avevano tante tentazioni mondane”. “Nessuno di noi  può dire: no, io sono una persona santa, pulita”: "Tutti noi siamo tentati da queste cose, siamo tentati di distruggere l’altro per salire in su. E’ una tentazione mondana, ma che divide e distrugge la Chiesa, non è lo Spirito di Gesù. 
l’amore per il mondo, cioè per questo spirito mondano, è nemico di Dio”.

mercoledì 11 maggio 2016

la dignità di figlio

La gioia del cuore del Padre, che dice: «Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (vv. 23-24). 
Il padre lo abbraccia, lo aspetta con amore.  
l’unica cosa che il padre ha a cuore è che questo figlio sia davanti a lui sano e salvo e questo lo fa felice e fa festa: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (v. 20). 
Quanta tenerezza; lo vide da lontano... quel figlio che aveva combinato di tutto, ma il padre lo aspettava. Che cosa bella la tenerezza del padre!
 La misericordia del padre è traboccante, incondizionata, e si manifesta ancor prima che il figlio parli. ... 
L’abbraccio e il bacio di suo papà gli fanno capire che è stato sempre considerato figlio, nonostante tutto. 
La nostra condizione di figli di Dio è frutto dell’amore del cuore del Padre; non dipende dai nostri meriti o dalle nostre azioni, e quindi nessuno può togliercela, neppure il diavolo! Nessuno può toglierci questa dignità.
Questa parola di Gesù ci incoraggia a non disperare mai. 
… In qualunque situazione della vita, non devo dimenticare che non smetterò mai di essere figlio di Dio, essere figlio di un Padre che mi ama e attende il mio ritorno. Anche nella situazione più brutta della vita, Dio mi attende, Dio vuole abbracciarmi, Dio mi aspetta.
Nella parabola c’è un altro figlio, il maggiore; anche lui ha bisogno di scoprire la misericordia del padre. Lui è sempre rimasto a casa, ma è così diverso dal padre! Le sue parole mancano di tenerezza: «Ecco io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando… ma ora che è tornato questo tuo figlio…» (vv. 29-30). 
Povero padre! Un figlio se n’era andato, e l’altro non gli è mai stato davvero vicino!
 La sofferenza del padre è come la sofferenza di Dio, la sofferenza di Gesù quando noi ci allontaniamo o perché andiamo lontano o perché siamo vicini ma senza essere vicini.
Il figlio maggiore, anche lui ha bisogno di misericordia. I giusti, quelli che si credono giusti, hanno anche loro bisogno di misericordia. 
... Gesù ci ricorda che nella casa del Padre non si rimane per avere un compenso, ma perché si ha la dignità di figli corresponsabili. Non si tratta di “barattare” con Dio, ma di stare alla sequela di Gesù che ha donato sé stesso sulla croce senza misura.
«Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo, ma bisognava far festa e rallegrarsi» (v. 31). Così dice il Padre al figlio maggiore. La sua logica è quella della misericordia! Il figlio minore pensava di meritare un castigo a causa dei propri peccati, il figlio maggiore si aspettava una ricompensa per i suoi servizi. I due fratelli non parlano fra di loro, vivono storie differenti, ma ragionano entrambi secondo una logica estranea a Gesù: se fai bene ricevi un premio, se fai male vieni punito; e questa non è la logica di Gesù, non lo è! Questa logica viene sovvertita dalle parole del padre: «Bisognava far festa e rallegrarsi perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (v. 31). Il padre ha recuperato il figlio perduto, e ora può anche restituirlo a suo fratello! Senza il minore, anche il figlio maggiore smette di essere un “fratello”. La gioia più grande per il padre è vedere che i suoi figli si riconoscano fratelli.
I figli possono decidere se unirsi alla gioia del padre o rifiutare. Devono interrogarsi sui propri desideri e sulla visione che hanno della vita.
 Tutti abbiamo bisogno di entrare nella casa del Padre e partecipare alla sua gioia, alla sua festa della misericordia e della fraternità. Fratelli e sorelle, apriamo il nostro cuore, per essere “misericordiosi come il Padre”!

venerdì 6 maggio 2016

GIOIA E SPERANZA

la donna quando partorisce: “E’ nel dolore perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza”. Spera nel dolore ed esulta nella gioia. 
“Questo è quello che fanno la gioia e la speranza insieme, nella nostra vita, quando siamo nelle tribolazioni, quando siamo nei problemi, quando soffriamo. Non è un’anestesia. Il dolore è dolore, ma vissuto con gioia e speranza ti apre la porta alla gioia di un frutto nuovo
Con la gioia e la speranza andiamo avanti, perché dopo questa tempesta arriva un uomo nuovo, come la donna quando partorisce. E questa gioia e questa speranza Gesù dice che è duratura, che non passa”.
Gioia e speranza, non semplice allegria o ottimismo . Una gioia senza speranza è un semplice divertimento, una passeggera allegria. Una speranza senza gioia non è speranza, non va oltre di un sano ottimismo. Ma gioia e speranza vanno insieme, e tutte e due fanno questa esplosione, perché quando c’è la gioia forte, non c’è formalità: è gioia”
 “La gioia fa forte la speranza e la speranza fiorisce nella gioia.
 Il gioioso non si chiude in se stesso;
Uscire da noi stessi, con la gioia e la speranza”.
Gesù ci vuole donare una gioia che nessuno ci potrà togliere: “E’ duratura. Anche nei momenti più bui”

giovedì 5 maggio 2016

La preghiera è “la vera medicina per la nostra sofferenza”

Nel momento “dello smarrimento, della commozione e del pianto” emerge nel cuore di Cristo la preghiera al Padre.
Così anche noi, pregando, “possiamo sentire la presenza di Dio, che “ci consola”, “ci sostiene” e infonde “speranza”.
Anche oggi capita di scorgere la tristezza “su tanti volti che incontriamo”:
Quante lacrime vengono versate ad ogni istante nel mondo; una diversa dall’altra; e insieme formano come un oceano di desolazione, che invoca pietà, compassione, consolazione. 
Le più amare sono quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si è visto strappare violentemente una persona cara; lacrime di nonni, di mamme e papà, di bambini”.
Ci sono occhi che spesso rimangono “fissi sul tramonto” e stentano a vedere “l’alba di un giorno nuovo”:
“Abbiamo bisogno di misericordia, della consolazione che viene dal Signore. Tutti ne abbiamo bisogno; è la nostra povertà ma anche la nostra grandezza: invocare la consolazione di Dio che con la sua tenerezza viene ad asciugare le lacrime sul nostro volto”.
“Nei momenti di tristezza, nella sofferenza della malattia, nell’angoscia della persecuzione e nel dolore del lutto”, ognuno cerca una parola di consolazione, sentendo “forte” il bisogno di qualcuno che “ci stia vicino e provi compassione per noi”. Ci sentiamo “disorientati, confusi” e la “mente si riempie di domande”, ma le risposte non arrivano: “La ragione da sola non è capace di fare luce nell’intimo, di cogliere il dolore che proviamo e fornire la risposta che attendiamo. In questi momenti, abbiamo più bisogno delle ragioni del cuore, le uniche in grado di farci comprendere il mistero che circonda la nostra solitudine”.
Storie di vita, bagnate da lacrime e asciugate dalla fede.
Nel dolore, ha detto papa Francesco “non siamo soli”, perché Gesù “sa cosa significa piangere per la perdita di una persona amata”. Le Sue lacrime hanno lavato tante anime, hanno lenito tante ferite.
“Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose. Mi scuote per farmi percepire la tristezza e la disperazione di quanti si sono visti perfino sottrarre il corpo dei loro cari, e non hanno più neppure un luogo dove poter trovare consolazione. Il pianto di Gesù non può rimanere senza risposta da parte di chi crede in Lui”.
Come Gesù consola, “così noi siamo chiamati a consolare, perché “la forza dell’amore trasforma la sofferenza nella certezza della vittoria di Cristo e nostra con Lui”, attraverso Maria che, “con il suo manto lei asciuga le nostre lacrime” e “ci accompagna nel cammino della speranza”. 

mercoledì 4 maggio 2016

uscire, trovare

Il Buon Pastore che si carica sulle spalle la pecorella smarrita rappresenta la sollecitudine di Gesù verso i peccatori e la misericordia di Dio che non si rassegna a perdere alcuno.

La nostra parabola si snoda intorno a tre personaggi: il pastore, la pecora smarrita e il resto del gregge. Chi agisce però è solo il pastore, non le pecore. Il pastore quindi è l’unico vero protagonista e tutto dipende da lui. Una domanda introduce la parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?» (v. 4). Si tratta di un paradosso che induce a dubitare dell’agire del pastore: è saggio abbandonare le novantanove per una pecora sola? E per di più non al sicuro di un ovile ma nel deserto? Secondo la tradizione biblica il deserto è luogo di morte dove è difficile trovare cibo e acqua, senza riparo e in balia delle fiere e dei ladri. Cosa possono fare novantanove pecore indifese? Il paradosso comunque continua dicendo che il pastore, ritrovata la pecora, «se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: Rallegratevi con me» (v. 6). Sembra quindi che il pastore non torni nel deserto a recuperare tutto il gregge! Proteso verso quell’unica pecora sembra dimenticare le altre novantanove. Ma in realtà non è così. L’insegnamento che Gesù vuole darci è piuttosto che nessuna pecora può andare perduta. Il Signore non può rassegnarsi al fatto che anche una sola persona possa perdersi. L’agire di Dio è quello di chi va in cerca dei figli perduti per poi fare festa e gioire con tutti per il loro ritrovamento. Si tratta di un desiderio irrefrenabile: neppure novantanove pecore possono fermare il pastore e tenerlo chiuso nell’ovile....
Lui  va a cercare quella, perchè ognuna è molto importante per lui e quella è la più bisognosa, la più abbandonata, la più scartata; e lui va a cercarla. ..
La misericordia verso i peccatori è lo stile con cui agisce Dio e a tale misericordia Egli è assolutamente fedele: nulla e nessuno potrà distoglierlo dalla sua volontà di salvezza. 
Dio non scarta nessuna persona; Dio ama tutti, cerca tutti: uno per uno! 
...Il pastore sarà trovato là dove è la pecora perduta. Il Signore quindi va cercato là dove Lui vuole incontrarci, non dove noi pretendiamo di trovarlo! In nessun altro modo si potrà ricomporre il gregge se non seguendo la via tracciata dalla misericordia del pastore. Mentre ricerca la pecora perduta, egli provoca le novantanove perché partecipino alla riunificazione del gregge. Allora non solo la pecora portata sulle spalle, ma tutto il gregge seguirà il pastore fino alla sua casa per far festa con “amici e vicini”.

Corriamo il pericolo di rinchiuderci dentro un ovile, dove non ci sarà l’odore delle pecore, ma puzza di chiuso! E i cristiani? Non dobbiamo essere chiusi, perchè avremo la puzza delle cose chiuse. Mai! Bisogna uscire e non chiudersi in sè stessi, nelle piccole comunità, nella parrocchia, ritenendosi “i giusti”. 
Per Dio nessuno è definitivamente perduto. Mai! Fino all’ultimo momento, Dio ci cerca. 
Uscire in ricerca per intraprendere un cammino di fraternità. Nessuna distanza può tenere lontano il pastore; e nessun gregge può rinunciare a un fratello. Trovare chi si è perduto è la gioia del pastore e di Dio, ma è anche la gioia di tutto il gregge! Siamo tutti noi pecore ritrovate e raccolte dalla misericordia del Signore, chiamati a raccogliere insieme a Lui tutto il gregge!

martedì 3 maggio 2016

CAMMINARE BENE

La vita della fede “è un cammino” e lungo il tragitto si incontrano diversi tipi di cristiani: cristiani-mummie, cristiani vagabondi, cristiani testardi, cristiani a metà strada – quelli che si incantano davanti a un bel panorama e rimangono piantati lì. Gente che per un motivo o per l’altro ha dimenticato che la sola “strada giusta” – lo ricorda il Vangelo del giorno – è Gesù, il quale conferma a Tommaso e Filippo: “Io sono la via”, “chi ha visto me ha visto il Padre”.
“Mummie spirituali”
il cristiano che “non cammina”, che dà l’idea di essere un po’ imbalsamato: “Un cristiano che non cammina, che non fa strada, è un cristiano non cristiano. Non si sa cos’è. E’ un cristiano un po’ ‘paganizzato’: sta lì, sta fermo, non va avanti nella vita cristiana, non fa fiorire le Beatitudini nella sua vita, non fa le Opere di misericordia... E’ fermo. Ci sono cristiani che sono ‘mummie spirituali’. Fermi, lì. Non fanno del male, ma non fanno del bene”.
I testardi , il cristiano ostinato. Quando si cammina capita di sbagliare strada, ma quella non è la cosa peggiore. La tragedia è essere testardo e dire ‘questa è la strada’ e non lasciare che la voce del Signore ci dica” che non lo è, ci dica: “Torna indietro e riprendi la vera strada”. 
 i vagabondi cristiani “che camminano, ma non sanno dove vanno”:Sono erranti nella vita cristiana loro vita è girare, di qua e di là, e perdono così la bellezza di avvicinarsi a Gesù nella vita di Gesù. 
La vita cristiana non è un fascino: è una verità! E’ Gesù Cristo!”.
Come sono io in questo cammino cristiano?
 Il “cammino cristiano che ho iniziato nel Battesimo come va? E’ fermo? Ha sbagliato strada? Sono in giro continuamente e non so dove andare spiritualmente? Mi fermo davanti alle cose che mi piacciono: la mondanità, la vanità” o vado “sempre avanti”, rendendo “concrete le Beatitudini e le Opere di misericordia?”. Perché “la via di Gesù  è tanto piena di consolazioni, di gloria e anche di croce. Ma sempre con la pace nell’anima”:
 omelia papa Francesco 3 maggio 2016